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che arricchito
di un particolare altro modo non consegue ancora sufficienza ontica se non
lasciandosi completare da un ulteriore specifico, e così via sino a quel modo
di cui è complemento la differenza specifica del soggetto; ora le due serie di
giudizi che sono da toccarsi necessariamente dalla seconda dialettica sono in
sé ragioni di intelligibilità del giudizio di immanenza del generico assoluto
nella specie infima alla condizione però che per intelligibilità si intenda non
tanto l'aumento di conoscenza che alla rappresentazione della specie infima
deriva dalla conoscenza piena del generico assoluto e dalla serie successiva
delle rappresentazioni delle successive articolazioni degli specifici su di
esso, quanto l'esplicitazione dai vincoli mediati e sottaciuti che
costituiscono di fatto la connessione di diritto posto fra il generico assoluto
e la specie infima: in un certo senso le dialettiche polisillogistiche toccando
i singoli aggregati della connotazione della specie infima deducono dal loro
concatenamento reciproco la necessità e la legittimità dell'anello tra il
generico assoluto e la specie infima; a guardar bene i due polisillogismi, se
per intelligibilità si pretende uno sprigionarsi di luce da una certa
dialettica che soddisfi a tutte le ignoranze dubbi problemi domande che una
connotazione impone a un pensiero di condizione e se per dimostrazione si intende
una dialettica che al suo ultimo operato dia tale intelligibilità, ci si illude
perché ben poco si sa, attraverso essa, e della natura del generico assoluto e
di quello di ciascun specifico necessario e delle ragioni e condizioni per le
quali uno specifico necessario entra in gioco a questo momento
dell'articolazione successiva dei componenti e non a quello; ma non basta: il
ritenere che la seconda dialettica si spezzi per dir così in due tappe l'una
delle quali è costituita dallo spostamento d'attenzione dal generico assoluto
alla specie infima, e l'altra dalla serie degli spostamenti d'attenzione che
forniscono al primo il diritto ad essere posto, è forse altrettanto illusorio
che il farne una sorgente di intelligibilità, nel senso comune e nella speranza
comune del termine: si prenda un qualsivoglia giudizio a predicato generico:
delle due l'una, o il predicato è in connessione immediata col soggetto o la
sua connessione col soggetto è mediata; nel primo caso solo il ricorso alla
connotazione del soggetto disarticolata dall'analisi è di fondamento e di
ragione al giudizio; se la connessione è mediata, l'ipotesi che la dialettica
che da esso deriva insorga dalla necessità di fornire al giudizio una ragion
sufficiente di validità e quindi di necessità, costringe a situare il giudizio
stesso in due stati l'uno dei quali almeno è problematico e come tale la sua
ontica presenza nel pensiero di condizione umana è da verificarsi, sicché qui
la si accetta solo come ipotesi conseguente dalla prima: o la predicazione
mediata del predicato al soggetto è un ontico di cui è in discussioe la
necessità, e allora il giudizio è assertorio, o la stessa predicazione è un
dubbio o un'opinione o comunque una rappresentazione di cui il pensiero non
ritiene neppur lecito accettarla come ontica, e in questo caso il giudizio è
problematico: di fronte a un giudizio siffatto di modo assertorio non resta che
costruire l'intera catena
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delle
connessioni immanenti nella connotazione del soggetto o della sua specie
infima, nel caso che i due non coincidano, e notare la necessità che vincola il
predicato al soggetto pel medio delle connessioni intercedenti che sono
necessarie per la necessità dell'ontica rappresentazione della connotazione
stessa e che estendono la loro necessità alla predicazione del giudizio fattosi
così apodittico; di fronte a un giudizio di identica relazione, ma
problematico, la strada da battersi è la stessa, ossia disarticolare la
connotazione del soggetto e dalla successione dei nessi immediati inferire la
necessità o l'impossibilità della predicazione mediata del giudizio, fattosi in
tal modo da problematico o apodittico e quindi assertorio o ((??a??)) falso;
ma, se guardiamo bene quest'ultimo processo, forse ci pare abbastanza certo che
tutta la descrizione dei due comportamenti sia meno una presupposizione di
condizioni che debbono sorreggere la dicotomia della dialettica dimostratrice
((dimostrativa??)), che l'effettiva presa di contatto coll'operare del nostro
pensiero; infatti, la predicazione problematica non è né il principio né il
termine della dialettica che prenderà poi veste dal polisillogismo, ma ne è
l'impulso motore, nel senso che l'incontro con un intelligibile la cui
sussunzione sotto gli intelligibili generici di livello superiore o supremo non
è certa, null'altro è che la scoperta dell'ignoranza in cui l'intelligibile si
trova, e l'incertezza della sussunzione null'altro è che la liceità
indifferenziata di qualsivoglia altra sussunzione; da questo stato il pensiero
esce per l'unica strada che gli si apre, quella non di dedurre la sussunzione
problematica dalle sussunzioni intermedie che evidentemente saranno altrettanto
problematiche della prima, ma di disgregare la sintesi unitaria dell'intelligibile
nella serie disarticolata delle sue note e di costruire su questa nuova
rappresentazione tutte le dialettiche che essa consente, tra cui non
necessariamente compare anche la problematica sussunzione di partenza; dunque,
il processo che muove dal giudizio problematico ci rimanda allo stato di un
pensiero che dovrebbe enunciare il giudizio assertorio per poi procedere a
fondarlo sull'apoditticità; in questo stato dovrebbero esser dati al pensiero
un giudizio meramente assertorio e la connotazione disarticolata del soggetto e
quindi dovrebbe esser consentito e insieme imposto allo stesso pensiero di
ricostruire tutte quelle articolazioni di cui la predicazione dell'assertorio è
una conseguenza necessaria; di fatto però tale "teoria" o visione dei
giochi del pensiero non offre nessuna ragione sufficiente per la quale al
pensiero sia dato il diritto di formulare la predicazione in modo né apodittico
né problematico, anzi sotteraneamente si presuppone per il pensiero uno stato
di contradditorietà nel quale egli non dovrebbe possedere nessuna legittima
rappresentazione che fondi l'immanenza del predicato nel soggetto, e perciò
dovrebbe procedere alla formulazione problematica, e insieme dovrebbe possedere
ragioni sufficienti a stabilire che l'immanenza è data al difuori dalla nozione
della comprensione disarticolata del soggetto e quindi al di là
dell'apoditticità, ma fuori dell'incertezza: è vero che la
contradditorietà verrebbe meno se fosse
lecito al pensiero cogliere per un atto parziale e limitato di analisi nel
soggetto o meglio
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