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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 151 - 200
    • 200
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[pag 160 (200 F1/2)]

che si nella specie ad autosussistere fuori dalla sua articolazione sulla comprensione del genere inferisce un primato ontico del genere sulla specie, dall'altro essa si prospetta il giudizio categorico come un rapporto di rappresentazioni entro cui quella a funzione di soggetto è principio di esistenza dell'altro a funzione di predicato, essendo l'esistenza del cui principio si tratta un attributo in cui ontità in sé e pensabilità o ontità di diritto per il pensiero fan tutt'uno; è evidente, allora, che, se nessun giudizio categorico dovrebbe assumere a soggetto una specie e a predicato un genere del soggetto per l'incongruenza che verrebbe a instaurarsi fra il primato ontico in sé e il primato ontico per il pensiero, a nessun giudizio categorico sarebbe data neppure la liceità di darsi a soggetto un genere e a predicato una specie del soggetto in forza della maggiore ricchezza qualitativa del predicato rispetto al soggetto; al che si ovvia attribuendo legittimità solo al giudizio categorico il cui soggetto sia un genere e il cui predicato la serie completa delle specie del soggetto, perché in questa forma la maggior ampiezza rappresentativa del predicato è una deformazione fenomenica patita dal soggetto che di fatto e di diritto comprende in sé le specie e in più quel che alle specie manca, l'unità cioè di tutte le rispettive differenze specifiche e l'unità di queste col generico; da questo punto di vista, tutti i giudizi categorici legittimi per un aristotelismo si fanno illegittimi per un platonismo e viceversa, nel senso che la predicazione di un genere a una sua specie è, per una logica platonica, invalida perché offensiva delle leggi del giudizio stesso, mentre la predicazione inversa, se per una logica aristotelica è viziata dallo stesso errore, per quella platonica è ancora invalida perché pretende di rilevare una parte nel tutto ignorando le connessioni necessarie che vincolano la parte rilevata alle altre illegittimamente ignorate; ma ciononostante l'essenza dei due atteggiamenti, identica per entrambi, sta nell'attribuire al giudizio categorico l'ufficio di identificatore di un primato ontico nel pensiero e nell'ontità in sé e nel subordinarlo al condizionamento di una certa interpretazione dell'ontico in sé e quindi delle rappresentazioni che dovrebbero rappresentarlo.

 Di qui il differente comportamento che le due logiche attribuiscono al pensiero nei confronti della sistemazione di una serie di rappresentazioni che stiano tra loro nel rapporto di un genere alle sue specie, entro lo schema del giudizio categorico: il punto di vista aristotelico pone la liceità di predicare la totalità delle specie al genere alla condizione che ogni specie sia rappresentata in siffatta discrezione dalle altre che divenga impossibile per il pensiero rappresentarsi la simultanea immanenza della totalità degli intelligibili predicati nell'unico soggetto, ma sia legittimo solo pensare l'immanenza nel soggetto di uno dei predicati; il punto di vista platonico pone la necessità di predicare la totalità delle specie al genere alla condizione che il complesso delle specie sia pensato come costituente un'unità che in certo modo immane nell'unità del soggetto; dato l'intelligibile A genere delle sue specie B e C la predicazione di queste a quello è lecita per la logica aristotelica


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[pag 161(200 F2/3)]

nella forma A è o B o C, per la logica platonica nella forma A è B e C; quest'ultima non lascia adito a dubbi o questioni, perché si tratta di accettare che la specie sia una sorta di impoverimento del genere, un precipitare dell'intelligibile determinato in uno stato di indeterminatezza che ricerca la pienezza primitiva con l'associarsi per giustapposizione agli altri indeterminati speciali e con il riprendere contatto sia pure in unità frazionata con l'unità originaria. Ma non altrettanto può dirsi della formulazione aristotelica: qui il linguaggio serve più a deformare e annebbiare il reale gioco dei concetti che a fissarlo in chiarezza; da un lato abbiamo il genere A, dall'altro le specie B e C, la loro connessione in un giudizio in cui A faccia da soggetto comporta la predicazione di B e C secondo lo schema A è o B o C; conviene distinguere nettamente A in quanto rappresentazione del genere da A in quanto termine o parola che è segno della rappresentazione, e lo stesso si deve fare nei confronti di B e di C, o in altre parole conviene abbandonare le suggestioni che provengono dalla frase A è o B o C per riportarsi alla dialettica fra le corrispondenti immagini; e appunto qui si pongono due problemi, anzitutto se quando si pronuncia il termine A esso rimandi effettivamente alla rappresentazione del genere o se per caso l'ambiguità del termine A che vale a indicare insieme un genere e tutte le sue specie non deformi la precisa consapevolezza che qui il pensiero dovrebbe avere di sé in quanto pensante o il genere o una specie di questo, in secondo luogo in quale relazione il pensiero pone le rappresentazioni con funzioni di predicato con la rappresentazione in funzione di soggetto; evidentemente la soluzione di entrambe le questioni deve tener conto di tutti i presupposti aristotelici; si ponga per ipotesi che A sia la rappresentazione del genere, ossia di quella materia intelligibile che si offre come perno di articolazione degli specifici necessari la cui necessaria connessione su A con funzioni di differenze specifiche pone le specie sussunte sotto A: anzitutto non sarà lecito parlare di un'immanenza delle specie-predicati nel genere -soggetto in quanto, sebbene l'intera comprensione di ciascuna delle specie immanga nella connotazione del genere, ciononostante l'area intelligibile contrassegnata dagli specifici necessari che son differenze specifiche delle specie è secondo la potenza o indeterminazione con attitudine a determinarsi in sé nel genere, è secondo l'atto o determinazione con attitudine a determinarsi per altro nella specie, sicché, se si assume il rapporto di immanenza come la relazione che connette un complesso di determinati in sé a un altro complesso di determinati in sé i quali hanno ricevuto determinatezza e da sé e da altro, l'interpretare la connessione del giudizio disgiuntivo come immanenza capovolgerebbe la definizione del rapporto o darebbe vita a due notazioni contrarie del concetto, e quindi a un'antinomia che salvaguardando al giudizio disgiuntivo la natura di categorico priverebbe questo della sua stessa essenza; il giudizio disgiuntivo quindi non verifica, data l'ipotesi, la relazione del categorico, e giustamente Kant nega al primo la sussunzione sotto la categoria di sostanza e di accidente da cui il giudizio categorico è sussunto; ma, nella stessa ipotesi, neppure è lecito individuare nella relazione fra predicato


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[pag 162 (200 F3/4)]

e soggetto del disgiuntivo il rapporto proprio dell'ipotetico: se il rapporto di questo è la necessità della pensabilità di un intelligibile in funzione della problematica pensabilità di un altro intelligibile, se cioè tale rapporto è un nesso funzionale fra una variabile indipendente che è l'esistenza del soggetto dell'ipotetico, e una variabile dipendente che è l'esistenza del predicato dell'ipotetico, l'affermazione di un'equivalenza del giudizio A è o B o C con il giudizio se A è, è o B o C, comporta che il pensiero debba attribuire a se stesso la liceità o di rappresentarsi una sola delle specie del genere come conseguenza della rappresentazione del genere stesso nel caso che ai termini B e C venga assegnata la funzione di indicare gli intelligibili-specie, o di rappresentarsi necessariamente una sola delle differenze specifiche delle specie in seguito alla rappresentazione del genere nel caso che a B e a C venga attribuita la funzione di indicare le modalità specifiche delle specie stesse; ma entrambi i corni del dilemma contraddicono non solo alla condizione di fatto del pensiero che necessariamente deve porre la rappresentazione o di tutte le specie di un genere o di tutti gli specifici necessari che s'articolano su di un genere a costituirne le specie in funzione della rappresentazione del genere stesso, ma anche alla definizione aristotelica della genesi della pensabilità che è posta in funzione della specie e non del genere; in altri termini, posto il giudizio A è o B o C equivalente al giudizio se A è è o B o C, delle due l'una o si afferma in generale che il pensamento del genere A si come ragion sufficiente della genesi del pensamento di una delle sue specie B o C, il che contraddice alla derivazione del pensamento del genere A dalle specie B e C, o si afferma in particolare che in funzione del pensamento del genere A si pone necessariamente la rappresentazione di uno solo degli intelligibili o B o C, e allora delle due l'una o il pensamento di B e di C, posto come conseguenza del pensamento del genere A di B e di C, è la rappresentazione delle specie, il che è assurdo perché il pensamento di un genere è ragion sufficiente della rappresentazione di tutte le sue specie simultaneamente e non di una sola di esse, o il pensamento di B e ((o??)) di C, conseguente necessario del pensamento del genere A, è la rappresentazione delle differenze specifiche B1 e C1  che denotano le specie B e C di A, il che è assurdo perché al pensamento simultaneo delle specie in connessione colla rappresentazione del loro genere non va disgiunto il pensamento simultaneo di tutte le differenze specifiche connotanti le specie e non è dato il pensamento alternativo o in successione di tali differenze specifiche; donde si conclude che la connessione delle specie al loro genere secondo il rapporto del giudizio disgiuntivo non ricalca le modalità della relazione formale propria di un giudizio ipotetico in generale, e che ha pienamente ragione Kant quando sotto la categoria di causa ad effetto esclude che sia lecito sussumere il giudizio disgiuntivo -la liceità di ridurre per equivalenza la forma disgiuntiva del giudizio A è o B o C nella forma ipotetica se A è è o B o C non pare che sia dedotta dall'esistenza del ragionamento disgiuntivo del tipo se A è è o B o C, ma è B, ergo non è C: si mantenga l'ipotesi che A sia segno della rappresentazione del genere, delle due l’una,




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