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Prot. 201 - 251
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o B e C sono segni delle rappresentazioni delle specie o sono segni
delle differenze specifiche delle specie; nel primo caso la premessa minore o è
un giudizio tetico((??)) -esistenziale, per cui “è B" è equivalente a
"B è esistente", e allora l'inferenza di un'impossibilità di
esistenza ossia di pensabilità di C dall'esistenza o pensabilità di A e di B è
illegittima, in quanto la postazione delle due specie in funzione della
postazione del genere è simultanea e valida per entrambe, oppure la premessa
minore è un giudizio categorico in cui B è predicato ad A, essendo "è
B" equivalente a "A è B", e allora la premessa minore è falsa e
illegittima perché a nessuna specie è lecito immanere in un genere; che se
invece B e C sono segni delle rappresentazioni delle due differenze specifiche,
sia che la premessa minore sia un giudizio tetico sia che si ponga come
giudizio categorico, l'inferenza è illegittima perché nell'un caso dalla
rappresentazione o esistenza di una differenza specifica e del corrispondente genere non è lecito
scendere alla negazione delle altre differenze specifiche articolabili sullo
stesso genere, nell'altro caso nessuna differenza specifica di specie è predicabile al genere della specie; non resta che mutare
l'ipotesi e attribuire ad A la funzione di indice della rappresentazione di una
specie sottordinata al genere indicato dallo stesso segno e simultaneamente
sottordinata a una delle specie indicate dal predicato, ma in questo caso la
forma ipotetica della premessa maggiore è meramente verbale e illegittima dal
punto di vista formale, per quanto già altrove si è detto essere un
qualsivoglia giudizio categorico irriducibile a un ipotetico per
l'impossibilità di inferire dalla mera esistenza di un intelligibile la
necessità della sua qualificazione; in altri termini, nella nuova ipotesi il
giudizio "se A è è o B o C " è una malformazione del giudizio
"uno degli A è o B o C "-; se nessuno dei due nessi che costituiscono
la forma del giudizio categorico e del giudizio ipotetico è verificato dal
disgiuntivo, non resta che sia data al pensiero una terza forma connettiva
peculiare del disgiuntivo in generale: è quel che afferma Kant quando deduce
dal giudizio disgiuntivo la categoria di azione e reazione, ossia quando
attribuisce all'espressione del giudizio disgiuntivo il ruolo di segno di una
dialettica tra soggetto e predicato che è spostamento d'attenzione dal
pensamento del primo alla rappresentazione della necessità del pensamento di un
solo membro del secondo e insieme spostamento d'attenzione dal pensamento di un
solo membro scelto ad arbitrio nella serie del predicato alla rappresentazione
della necessità del pensamento del soggetto; in tal modo i rapporti formali di
predicazione reciproca degli intelligibili introdurrebbero nella sfera del
rappresentato quei principi di connessione che la natura fenomenica materiale
attua in sé come criteri primi del suo ordine razionale, il principio di
conservazione, il principio di causa, il principio di azione e reazione; ma a
guardar bene il giudizio disgiuntivo è ricco di una struttura che non ripete
puntualmente la struttura, con tutte le sue modalità, che dovrebbe ritrovarsi
nella dialettica dei concetti interpretata alla luce del rapporto di azione e
reazione: i concetti del genere e delle specie dovrebbero allacciarsi
vicendevolmente in modo tale che la rappresentazione in generale del genere
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e la rappresentazione delle modalità qualitative del genere in
particolare sono ragion sufficiente della rappresentazione generica o della
rappresentazione qualificata di una sola tra le specie, e che la
rappresentazione in quanto rappresentazione o la rappresentazione articolata
nelle denotanti di una sola tra le specie è simultaneamente ragion sufficiente
della rappresentazione in genere e della rappresentazione dell'organismo in
particolare del genere; ma di fatto il pensiero né attua né ha il diritto di
attuare tale rapporto fra un genere e le sue specie, perché da un lato il
genere è simultaneamente ragion sufficiente della pensabilità in generale e della pensabilità articolata nelle
denotanti di tutte le sue specie, dall'altro il pensamento dal complesso delle
specie in generale e in particolare il pensamento di tutte le specie in quanto
denotate dalle differenti differenze specifiche è la ragion sufficiente della
conoscenza del genere in quanto ontità intelligibile indeterminata che
raggiunge lo stato di determinazioni alla condizione di essere pensato nel
nesso necessario che lo lega a ciascuna e insieme a tutte le denotanti
specifiche che lo definiscono -sia dato il genere A e le sue specie B e C, le
cui rispettive connotazioni son da pensarsi come l'articolazione della
differenza specifica B1 su A e come l'articolazione della differenza
specifica C1 su A; è evidente che la rappresentazione della
connotazione di A è ragion sufficiente del diritto e della necessità di
rappresentarsi non solo B1 ma anche C1 come articolantisi
su di essa onde definirla o completarla nei suoi aspetti deficitari, ed è anche
evidente che la rappresentazione simultanea sia di B1 che di C1
è la ragion sufficiente del diritto e della necessità di rappresentarsi A come
la connotazione che deve essere data al pensiero onde B1 e C1
siano pensati nella loro funzione di denotanti specifiche, sicché nulla
impedisce di concepire la dialettica fra A e B-C come un giuoco alterno di
inferenze di necessità di B-C da A e di A da B-C; ma nulla, sotto questo punto
di vista, consente di limitare a una sola delle specie, o a B o a C, il ruolo
simultaneo di ragion sufficiente e di conseguente nei confronti di A, perché se
le differenze specifiche articolabili su A sono due, non si vede motivo per cui
la postazione di A lasci adito all'inferenza o di B1 o di C1
e quindi o di B o di C e per cui la postazione o del solo B1 o del
solo C1 e quindi o del solo B o del solo C lasci adito all'inferenza
di A; l'interpretazione kantiana della categoria o forma pura del giudizio
disgiuntivo non regge neppure al confronto della teoria rigorosamente
aristotelica degli intelligibili: se per una logica aristotelica ogni
intelligibile è, in quanto rappresentazione, una sfera di attualità immersa in
una materia rappresentativa allo stato potenziale, le rappresentazioni che son
specie infime si opporranno alle altre in virtù di un grado minimo di
potenziale e di un grado massimo di attuato e i generi si opporranno alle
specie per un grado superiore di potenziale rappresentativo una parte del quale
si dà in atto nelle specie; nei confronti del loro genere un complesso di
specie costituiscono, allora, il principio attivo che ha promosso il movimento
dalla ((della??))sfera potenziale del genere all'atto, e questa loro funzione
detengono sia singolarmente prese, ciascuna in discrezione
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e separazione dalle cogeneri, sia nel loro insieme, ciascuna in unità
con le altre, mentre il genere si pone come lo strumento per la attuazione
delle varie differenze specifiche delle sue specie e quindi delle specie
stesse, e in quanto strumento acquista anche la portata di principio di
esistenza per tutte le specie con le loro differenze specifiche, come quello
che con la propria parzialità e insufficienza promuove l'attuazione sia di
ciascuna differenza specifica che per dir così la completa sotto un punto di
vista, sia di tutte le differenze specifiche che ne soddisfano la completezza
sotto tutti i possibili punti di vista da cui la sua ontica deficienza viene
riguardata; ma anche in questi termini rigorosamente aristotelici il rapporto di
azione e reazione denota il generico rapporto fra un genere e tutte le sue
specie prese in blocco, ma a nulla serve per l'intellezione di quel nesso fra
un genere e le sue specie che è del giudizio disgiuntivo -; se dunque neppure
l'interpretazione formale kantiana rende conto del giudizio disgiuntivo il cui
soggetto sia, per ipotesi, la rappresentazione di un genere, non resta che o
formulare una quarta interpretazione
che non riduca il nesso fra una delle specie e il suo genere a immanenza o a
effetto o azione subita e compiuta al tempo stesso; ma debbo confessare che la
mia immaginazione non riesce a trovare una categoria per un tale rapporto di
predicazione la quale accolga una rappresentazione che non sia né di immanenza
di una parte in un tutto autosussistente né di apodittica connessione univoca
di causa ad effetto né di apodittica connessione biunivoca fra due enti l'uno
dei quali è causa di certi modi dell'altro e insieme è effetto, in certi suoi
modi propri, dell'altro, perché si tratterrebbe sempre di stabilire l'essenza
di un rapporto fra un ontico o un altro che vien scelto fra più ontici
differenti in modo esclusivo e insieme indeterminato; fin che si rimane da un
punto di vista aristotelico, la pretesa di trattare il soggetto del giudizio disgiuntivo
come la rappresentazione di un genere non rende conto dell'intera natura del
disgiuntivo stesso, ossia della dialettica che lo costituisce, perché è
evidente che non si ha nessun diritto di escludere dalle attitudini proprie di
una sfera intelligibile a entrare in necessaria connessione con un certo numero
di ontici intelligibili non immanenti in essa tutte le attitudini stesse ad
eccezione di una scelta a piacere: una volta che si escludono la liceità di
trattare le specie o, il che è lo stesso, le corrispettive differenze
specifiche come note immanenti in atto nel genere, e il diritto di pensare una
specie soltanto come il necessario conseguente del genere, il rapporto
genere-specie non lascia altra via se non o quella dell'accordo o congruenza o concordanza
di tipo lockiano il quale accordo però non si ha ragione di ritenere valido per
una coppia solo del genere o di una sua specie e non per le altre, o quella
della partecipazione, nel senso o di un'appartenenza delle specie al genere per
quanto questo ha di potenziale o di un'appartenenza del genere alla specie per
quanto questa ha di attuato, la quale appartenenza però non si vede perché
debba essere negata a tutte le specie tranne una, quella arbitrariamente
prescelta, o quella della dipendenza, nel senso di un condizionamento o dal
genere alla specie o dalla specie al genere
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