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e non solo negli intelligibili con funzione di soggetto bensì anche in
quelli con funzione di predicato, come dimostra il convertito per accidens dal
giudizio categorico universale affermativo il cui soggetto è la trasformazione
di un intelligibile da denotante rappresentato in sé fuor di qualsivoglia
immanenza a denotante rappresentata nell'immanenza nelle connotazioni di alcuni
intelligibili; ma questa modificazione formale il cui intervento lascia
dubitare della legittimità della conversione anzitutto è più apparente che reale,
poi rimanda a una dialettica ontica che se da un lato è un po' più complessa di
quel che la modificazione farebbe pensare, dall'altro ha le sue ragioni nello
stato in cui il giudizio che è principio della conversione ha posto il
pensiero: l'assolutezza in cui è posta la denotante quando prende le funzioni
di predicato nel giudizio convertito e con cui verrebbe a contraddire la
relatività di immanente in molte connotazioni quando conserva le funzioni di
soggetto nel giudizio principio della conversione, è di diritto e di fatto
inesistente perché anche nel giudizio convertito la denotante è posta dalla
dialettica in una condizione di immanenza entro connotazioni di intelligibili
in quanto il giudizio convertito è la manifestazione della dialettica di un'attenzione
che dalla rappresentazione delle connotazioni-soggetti nella loro unità si
porta alla rappresentazione dell'intelligibile-predicato come immanente in
quelle per poi ritornare da questa seconda rappresentazione alla prima; parlare
di assolutezza per la denotante -predicato significa sostituire all'analisi
della dialettica di cui essa fa parte l'analisi del segno linguistico della
dialettica ossia della serie di parole che lo indicano, ciascuna delle quali è
un assoluto e un discreto ma in sé, nella sua funzione verbale, non per lo
stato intelligibile di cui è segno, per la sua funzione suppositiva; quel che
invece si ha di mutato nella dialettica in seguito alla conversione è il gioco
degli spostamenti entro le connotazioni: nel giudizio collettivo che è
principio di conversione la rappresentazione, che è termine primo
dell'attenzione ossia soggetto è una dialettica dalla totalità di una serie di
connotazioni a una delle denotanti che è comune a tutte, e questa dialettica
entra in una seconda dialettica che è dalla denotante comune agli specifici
necessari che s'articolano su di essa e che in forza della loro eterogeneità
spezzano l'unità della classe in una pluralità di classi che debbono esser
pensate immanenti in essa; nel giudizio convertito dal collettivo l'attenzione
parte da una rappresentazione che è dialettica fra la totalità di una serie di
connotazioni e i differenti specifici necessari che le denotano con la comune
funzione di articolarsi su di un'unica denotante per poi spostarsi da questa dialettica
all'altra che muove dalla prima rappresentazione alla rappresentazione di
questa denotante entro tutte le connotazioni; dal che risulta che la funzione
relativa della nota generica che è ragione della classe sostanzialmente non
muta al mutare della sua partecipazione a un rappresentazione che prima è
soggetto, poi predicato; d'altra parte, la dialettica che è soggetto del
giudizio principio della conversione ha
portato il pensiero ad allineare in via formale se non materialmente, tutti gli
intelligibili nella cui connotazione la nota generica ha le stesse funzioni
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che ha in qualcuno o anche in uno solo e con ciò ha messo il pensiero
nella condizione di rappresentarsi in simultaneità una serie più o meno grande
di intelligibili prima dispersi ed atomisticamente disgiunti l'uno dall'altro,
soggetti perciò ad entrare in una rappresentazione presente e consapevole solo
nel momento in cui un qualsivoglia rapporto di immanenza li attirava in un
gioco dialettico; che se questa unità o compresenza è il nuovo modo che tutti
quegli intelligibili hanno assunto nella rappresentazione è naturale che
divengano lecite nuove dialettiche provocate dallo spostarsi dell'attenzione
dalla nota generica comune alle altre denotanti che o immangono nella
connotazione di questa o immangono fuori di essa nella connotazione cui questa
stessa appartiene, dialettiche di cui alcune sono il sillogismo categorico, il
giudizio collettivo, quel convertito da questo che è il giudizio che ha a
soggetto la serie delle classi in cui l'intera classe si divide e a predicato
la classe comune a cui le classi appartengono; sotto questo punto di vista, la
conversione in un giudizio affermativo ossia in una dialettica che dalla
rappresentazione della serie delle classi in cui una classe si divide si sposta
alla rappresentazione dell'unica classe con cui tutta la serie coincide è
legittima solo se operata dal giudizio collettivo in cui la predicazione è
fondata sulla stessa indifferenza di articolazione degli eterogenei specifici
sulla nota generica comune su cui si fonda la predicazione del convertito, non
se operata dal giudizio disgiuntivo la cui predicazione parte da una differenza
di tale articolazione che poi è negata e sostituita dall'indifferenza nel suo
convertito; un'analisi delle varie conversioni mostra che questo passaggio di
giochi dialettici si ripete come forma costante della conversione in generale.
Una larga parte della dottrina
della conoscenza di Kant ha il suo appoggio sulla distinzione tra la verità
formale e la verità materiale, essendo la prima la perfetta identità che lega i
rapporti costanti e uniformi che vincolano le rappresentazioni determinate di
un certo discorso e che consentono all'attenzione di scorrere dall'una
all'altra sia per prendere atto della continuità nella separazione sia per
proseguire in qualche nuova direzione che necessariamente scaturisce
dall'articolata connessione, ai rapporti costanti e uniformi che debbono
trovarsi in qualunque discorso perché questo sia valido, essendo la seconda la
perfetta identità che unifica i rapporti costanti e uniformi con cui il
pensiero ha composto in una sintetica struttura discorsiva varie rappresentazioni, coi rapporti costanti e
uniformi che si ritrovano tra gli
ontici di cui le rappresentazioni pretendono di essere riproduzioni; mi pare
che i due concetti di verità siano un po' confusi perché in essi non si
distinguono i due a cui ciascuno dovrebbe essere ricondotto, quello di verità e
quello di validità; a lato di una verità formale e di una verità materiale così
come Kant le intende ci sono una validità formale e una validità materiale; la
prima è l'ontica esistenza di una rappresentazione in seno a un pensiero di
condizione umana, la seconda è la perfetta corrispondenza che intercorre fra
una rappresentazione onticamente data in un pensiero di condizione umana e
l'ontico che la rappresentazione pretende riprodurre; se da un lato la
legittimità di una rappresentazione in quanto rappresentazione
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