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Sembra al
nostro pensiero che nessun discorso che non sia umanistico sia falso,
menzognero, o, se non altro, illusorio: la mia mente quando avverte che una
successione di concetti si attua senza che di essi faccia parte in uno o in
altro modo essa stessa, o immediatamente come ragione pensante o mediatamente
come parte organica di un tutto sostanziale e più vasto, tale successione sia o
ripiena di errore in cui si cade irriflessivamente o pervasa da erroneità
consapevolmente vissuta e rappresentata e altrettanto abilmente celata e,
comunque, sempre privo di reale efficacia che è quella di conoscere un vero
nuovo; e la mia mente è nel giusto: essa, o parte di un tutto o tutto essa
stessa, è presente in implicito o in esplicito e, nel caso che lo sia in
implicito, è compito del discorso particolare rendersi totalmente aperto e
palese e con ciò portare alla luce quel
soggetto pensante e conoscente che si cela sotto il discorso; non importa che
la presenza nel soggetto individuale sia in funzione del necessario dettame dei
modi gnoseologici che reggono l’intero discorso o sia in funzione delle
finalità che immediatamente o
mediatamente il discorso persegue, le quali sono pur sempre finalità umane, e
non importa perché l’una o l’altra presenza è pur sempre condizionamento ab
ante o a retro del discorso stesso: il chimico che enuncia e dimostra per
raziocinio o per esperimento questa
formula presuppone le strutture discorsive, le ragioni matematiche, i canoni di
verifica, ossia la soggettività e la presuppone, come una condizione che si
sovraordina all’oggetto stesso che è questa reazione chimica, e nel medesimo
giro di concetti sottintende il fine utilitaristico che, a maggiore o minor
vicinanza dalla sua operazione puramente contemplativa, è pur sempre lì in
attesa di essere attuato. Ignorare l’umanesimo immanente in qualunque problema
o soluzione significa sbagliare o mentire, e, comunque, illudere e illudersi.
Il nostro discorso pare finor aver ignorato l’elemento condizionatore
dell’umanesimo onnipresente: la conoscibilità del principio è stata risolta con
un discorso che ha ignorato l’uomo; la conoscibilità del principio dev’essere
posta e risolta con un discorso che ridia all’uomo, al soggetto pensante
vivente e valente il posto che gli spetta di diritto. Ma
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se facciam
questo l’enunciato stesso del problema muta: infatti non si tratterà più di
sapere quel che del principio si debba conoscere in generale, ma si tratterà di
stabilire in che modo si debba connotare il concetto del principio onde dedurre
il soggetto individuale umano nella sua effettiva essenza qual è da noi
avvertito. Spostare i termini del problema instaurando un rapporto generico tra
un principio conoscibile e un conosciuto fenomenico significa ignorare che i
termini del problema sono sì tre, un rapporto e due rapportati dalla relazione,
essendo il rapporto una relazione di predicabilità della connotazione dell’uno
alla connotazione dell’altro, ma che la connotazione nota dev’essere non
assunta in genere, ma in funzione del modo d’essere essenziale del soggetto
umano fenomenico. E’ in fondo questa obiezione che ogni metafisica
umanisticamente determinata ha levato contro quella formulazione e impostazione
che ho dato al primo problema e che pare propria di una metafisica cosmica
determinata in funzione dell’oggetto. Indubbiamente in ciò vi sarebbe del vero
se in quella formulazione l’umanistico fosse
veramente implicito e insieme ignorato. Ma consideriamo la postazione
del problema metafisico fondamentale che una metafisica umanistica o
proclamantesi tale assume e insieme
l’opposizione che essa
contemporaneamente stabilisce tra la sua postazione e qualsivoglia altra che
non può essere se non contraria e quindi falsa: il perno dell’attenzione
pensante si sposta dalle condizioni della conoscibilità effettiva del principio
e gli effetti che la conoscenza del principio provocano per la conoscibilità
del soggetto umano empirico; principio di argomentazione non è più il diritto
che abbiamo di pensare il principio nell’essere secondo questa o quella parte
oppure secondo il tutto del noto fenomenico, ma è la ragion sufficiente di un
certo modo di essere dell’uomo che dev’essere offerta dal primo nell’essere e
quindi argomentata anzitutto nella sua natura di nota del principio. Questo
discorso a base umanistica può essere appena abbozzato: se
il noto fenomenico
fosse omogeneo, se cioè tutte le nozioni che sono qualitativamente
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congruenti
col reale sensorialmente conosciuto fossero tutte classi di una sola e univoca
classe, non farebbe alcuna differenza assumere questa o quella delle nozioni o
delle classi di nozioni per connotare il concetto del principio, e tutt’al più
si tratterebbe di stabilire quante e quali di siffatte nozioni o classi si
potessero predicare del concetto del principio e se una predicazione ricca di
tutte le classi fosse sufficiente a coprire l’area dell’intera sua
comprensione; ma di fatto o di diritto le nozioni non sono omogenee, in quanto
debbono essere classificate in due ordini, l’uno denotato dalla nozione
dell’indeterminatezza libertaria,
l’altro dalla nozione del determinismo ripetitivo, entrambi contraddittori,
contrari, impredicabili sia sostanzialmente sia causativamente sia
consequenziariamente; non si tratta più, dunque, di assumere tutte o qualcuna a
piacere delle nozioni del fenomenico, e di costruire con esse un predicato che
renda noto il primo nell’essere; nell’impossibilità di predicare il concetto di
principio con la totalità delle due classi del noto fenomenico o con una parte
attinta dall’una o insieme dall’altra classe, impossibilità imposta dall’esclusione
del contraddittorio, la predicazione dovrà aver luogo o con l’una o con l’altra
classe, che sia preso in tutto o in parte poco importa; la scelta non è
indifferente: pare che la connotazione del concetto del principio con nozioni
dell’ordine deterministico renda illecita la deduzione dall’enunciato primo
metafisico delle nozioni della seconda classe, quella del libertario
indeterminato, con la conseguenza che siffatte nozioni risultano o indeducibili
dal principio e quindi inintegrabili in un sistema armonico e univoco delle
cose o illusorie e apparenti in un’universale interpretazione naturalistica
delle cose; pare invece che la connotazione contraria con le o alcune delle
nozioni dell’ordine dell’indeterminato consenta immediatamente la liceità della
deduzione dall’enunciato metafisico primo dell’intera classe e mediatamente la
liceità di analoga deduzione dell’altra classe, bastando per mantenere
inalterata l’unità e univocità del quadro metafisico universale, attribuire al
principio una produttività, qualunque ne
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sia la
natura e la modalità, ricca della nota della contraddittorietà, ossia
svincolata dalla legge di contraddizione; ragioni di ordine gnoseologico e
ragioni di ordine psicologico sono a principio dell’una o dell’altra scelta; la
superiorità delle ragioni che fondano la seconda scelta è fondamento della
validità della scelta stessa. E ‘ questo il discorso di Fichte, non molto
perspicuo e non completamente tradotto in fattori concettuali ineccepibili dal
punto di vista logico e razionale; comunque, non alieno, forse per quella sua
penombra e per quel suo abbandono a una certa intuitività lirica, da
contraddizioni interiori: infatti, non del tutto convincenti sono le ragioni
sufficienti dell’introduzione di quella nota di esenzione dal giogo della legge
di contraddizione, nota che pure deve giustapporsi alle altre connotanti il
principio nell’essere, se se ne vuol fare la fonte dei fenomeni della natura
retta dalla legge di causa; se si vuol evitare che analoga esenzione venga giustapposta
alle altre di una connotazione del primo nell’essere che sia costituita da
nozioni del fenomenico deterministico - nulla in linea di pura teoria impedisce
che, come si è fatto del principio dell’essere un soggetto puro libertario o
indeterminato capace però di determinare se stesso in un suo contraddittorio
((e??)) in tal maniera sufficiente a restar principio di entrambi i reali
contraddittori e irriducibili che lo hanno a primo nell’essere e nel conoscere,
allo stesso modo si attribuisca allo stesso principio ma connotato dalle
nozioni dell’ordine causale identica capacità di determinarsi in un
contraddittorio e identica sufficienza ad essere primo nell’essere e nel
conoscere per i fenomeni della libertà e per i fenomeni della determinazione -;
solo una ragion sufficiente può argomentare l’esenzione dalla legge di
contraddizione; donde la complicazione della conoscenza del principio
metafisico che non solo deve accogliere la giustapposizione dello spirituale e
dell’a-contraddittorio, ma deve anche soffrire una riduzione, ossia una
rapportazione che dia congruenza ai giustapposti, dell’uno all’altro secondo
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