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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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Sembra al nostro pensiero che nessun discorso che non sia umanistico sia falso, menzognero, o, se non altro, illusorio: la mia mente quando avverte che una successione di concetti si attua senza che di essi faccia parte in uno o in altro modo essa stessa, o immediatamente come ragione pensante o mediatamente come parte organica di un tutto sostanziale e più vasto, tale successione sia o ripiena di errore  in cui si cade  irriflessivamente o pervasa da erroneità consapevolmente vissuta e rappresentata e altrettanto abilmente celata e, comunque, sempre privo di reale efficacia che è quella di conoscere un vero nuovo; e la mia mente è nel giusto: essa, o parte di un tutto o tutto essa stessa, è presente in implicito o in esplicito e, nel caso che lo sia in implicito, è compito del discorso particolare rendersi totalmente aperto e palese  e con ciò portare alla luce quel soggetto pensante e conoscente che si cela sotto il discorso; non importa che la presenza nel soggetto individuale sia in funzione del necessario dettame dei modi gnoseologici che reggono l’intero discorso o sia in funzione delle finalità che immediatamente  o mediatamente il discorso persegue, le quali sono pur sempre finalità umane, e non importa perché l’una o l’altra presenza è pur sempre condizionamento ab ante o a retro del discorso stesso: il chimico che enuncia e dimostra per raziocinio  o per esperimento questa formula presuppone le strutture discorsive, le ragioni matematiche, i canoni di verifica, ossia la soggettività e la presuppone, come una condizione che si sovraordina all’oggetto stesso che è questa reazione chimica, e nel medesimo giro di concetti sottintende il fine utilitaristico che, a maggiore o minor vicinanza dalla sua operazione puramente contemplativa, è pur sempre in attesa di essere attuato. Ignorare l’umanesimo immanente in qualunque problema o soluzione significa sbagliare o mentire, e, comunque, illudere e illudersi. Il nostro discorso pare finor aver ignorato l’elemento condizionatore dell’umanesimo onnipresente: la conoscibilità del principio è stata risolta con un discorso che ha ignorato l’uomo; la conoscibilità del principio dev’essere posta e risolta con un discorso che ridia all’uomo, al soggetto pensante vivente e valente il posto che gli spetta di diritto. Ma

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se facciam questo l’enunciato stesso del problema muta: infatti non si tratterà più di sapere quel che del principio si debba conoscere in generale, ma si tratterà di stabilire in che modo si debba connotare il concetto del principio onde dedurre il soggetto individuale umano nella sua effettiva essenza qual è da noi avvertito. Spostare i termini del problema instaurando un rapporto generico tra un principio conoscibile e un conosciuto fenomenico significa ignorare che i termini del problema sono sì tre, un rapporto e due rapportati dalla relazione, essendo il rapporto una relazione di predicabilità della connotazione dell’uno alla connotazione dell’altro, ma che la connotazione nota dev’essere non assunta in genere, ma in funzione del modo d’essere essenziale del soggetto umano fenomenico. E’ in fondo questa obiezione che ogni metafisica umanisticamente determinata ha levato contro quella formulazione e impostazione che ho dato al primo problema e che pare propria di una metafisica cosmica determinata in funzione dell’oggetto. Indubbiamente in ciò vi sarebbe del vero se in quella formulazione l’umanistico fosse  veramente implicito e insieme ignorato. Ma consideriamo la postazione del problema metafisico fondamentale che una metafisica umanistica o proclamantesi tale assume  e insieme l’opposizione  che essa contemporaneamente stabilisce tra la sua postazione e qualsivoglia altra che non può essere se non contraria e quindi falsa: il perno dell’attenzione pensante si sposta dalle condizioni della conoscibilità effettiva del principio e gli effetti che la conoscenza del principio provocano per la conoscibilità del soggetto umano empirico; principio di argomentazione non è più il diritto che abbiamo di pensare il principio nell’essere secondo questa o quella parte oppure secondo il tutto del noto fenomenico, ma è la ragion sufficiente di un certo modo di essere dell’uomo che dev’essere offerta dal primo nell’essere e quindi argomentata anzitutto nella sua natura di nota del principio. Questo discorso a base umanistica può essere appena abbozzato: se

il noto fenomenico fosse omogeneo, se cioè tutte le nozioni che sono qualitativamente

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congruenti col reale sensorialmente conosciuto fossero tutte classi di una sola e univoca classe, non farebbe alcuna differenza assumere questa o quella delle nozioni o delle classi di nozioni per connotare il concetto del principio, e tutt’al più si tratterebbe di stabilire quante e quali di siffatte nozioni o classi si potessero predicare del concetto del principio e se una predicazione ricca di tutte le classi fosse sufficiente a coprire l’area dell’intera sua comprensione; ma di fatto o di diritto le nozioni non sono omogenee, in quanto debbono essere classificate in due ordini, l’uno denotato dalla nozione dell’indeterminatezza  libertaria, l’altro dalla nozione del determinismo ripetitivo, entrambi contraddittori, contrari, impredicabili sia sostanzialmente sia causativamente sia consequenziariamente; non si tratta più, dunque, di assumere tutte o qualcuna a piacere delle nozioni del fenomenico, e di costruire con esse un predicato che renda noto il primo nell’essere; nell’impossibilità di predicare il concetto di principio con la totalità delle due classi del noto fenomenico o con una parte attinta dall’una o insieme dall’altra classe, impossibilità imposta dall’esclusione del contraddittorio, la predicazione dovrà aver luogo o con l’una o con l’altra classe, che sia preso in tutto o in parte poco importa; la scelta non è indifferente: pare che la connotazione del concetto del principio con nozioni dell’ordine deterministico renda illecita la deduzione dall’enunciato primo metafisico delle nozioni della seconda classe, quella del libertario indeterminato, con la conseguenza che siffatte nozioni risultano o indeducibili dal principio e quindi inintegrabili in un sistema armonico e univoco delle cose o illusorie e apparenti in un’universale interpretazione naturalistica delle cose; pare invece che la connotazione contraria con le o alcune delle nozioni dell’ordine dell’indeterminato consenta immediatamente la liceità della deduzione dall’enunciato metafisico primo dell’intera classe e mediatamente la liceità di analoga deduzione dell’altra classe, bastando per mantenere inalterata l’unità e univocità del quadro metafisico universale, attribuire al principio una produttività, qualunque ne

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sia la natura e la modalità, ricca della nota della contraddittorietà, ossia svincolata dalla legge di contraddizione; ragioni di ordine gnoseologico e ragioni di ordine psicologico sono a principio dell’una o dell’altra scelta; la superiorità delle ragioni che fondano la seconda scelta è fondamento della validità della scelta stessa. E ‘ questo il discorso di Fichte, non molto perspicuo e non completamente tradotto in fattori concettuali ineccepibili dal punto di vista logico e razionale; comunque, non alieno, forse per quella sua penombra e per quel suo abbandono a una certa intuitività lirica, da contraddizioni interiori: infatti, non del tutto convincenti sono le ragioni sufficienti dell’introduzione di quella nota di esenzione dal giogo della legge di contraddizione, nota che pure deve giustapporsi alle altre connotanti il principio nell’essere, se se ne vuol fare la fonte dei fenomeni della natura retta dalla legge di causa; se si vuol evitare che analoga esenzione venga giustapposta alle altre di una connotazione del primo nell’essere che sia costituita da nozioni del fenomenico deterministico - nulla in linea di pura teoria impedisce che, come si è fatto del principio dell’essere un soggetto puro libertario o indeterminato capace però di determinare se stesso in un suo contraddittorio ((e??)) in tal maniera sufficiente a restar principio di entrambi i reali contraddittori e irriducibili che lo hanno a primo nell’essere e nel conoscere, allo stesso modo si attribuisca allo stesso principio ma connotato dalle nozioni dell’ordine causale identica capacità di determinarsi in un contraddittorio e identica sufficienza ad essere primo nell’essere e nel conoscere per i fenomeni della libertà e per i fenomeni della determinazione -; solo una ragion sufficiente può argomentare l’esenzione dalla legge di contraddizione; donde la complicazione della conoscenza del principio metafisico che non solo deve accogliere la giustapposizione dello spirituale e dell’a-contraddittorio, ma deve anche soffrire una riduzione, ossia una rapportazione che dia congruenza ai giustapposti, dell’uno all’altro secondo




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