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quantunque nessun'altra necessità di questo spostamento da principio a
conseguenza sia da porsi che stia fuori dalla mera loro ontità ossia dal mero
darsi delle due rappresentazioni all'autocoscienza, se si vuole in definitiva
che la temporalità di un intelligibile coincida con la sua transizione dal non
essere all'essere perché questo significa l'analisi fatta di questo che si
vuole, si ignora, consapevolmente o no, che un pensiero di condizione umana,
posto dinanzi a questo intelligibile sovraggiunto, alle dialettiche di cui è
principio, alla connessione in cui queste si pongono con le altre dialettiche
già autocoscienti, deve offrirsi le rappresentazione della materia relazionale
immanente nell'intelligibile, di quella nelle sue dialettiche, di quella nelle
dialettiche fra queste e le altre già autocoscienti, deve darsi siffatte
rappresentazioni come ontici che sono in sé come quelli che sono strutturati
secondo certi ontici qualitativi e secondo certi rapporti che questi
qualitativi connettono in ((o??)) unità, e insieme come ontici che oltre che in
sé sono autocoscienti come quelli che acquistano certe operazioni o la liceità
di queste operazioni, e deve assumere questa autocoscienza come il principio
sia della rappresentazione dell'intelligibile stesso sovraggiunto sia di quelle
delle dialettiche conseguenti, sicché quando procede a confrontare i due suoi
stati, quello meno ricco e quello più ricco se scende al disotto della
superficiale differenza quantitativa e ne ricerca la ragione, la ritrova nella
liceità o di proseguire le dialettiche consentite dalla prima in quelle
consentite dalla seconda secondo una continuità che libera la serie degli
spostamenti d'attenzione da qualsiasi discrezione dissolutiva o di spostare
l'attenzione dalle dialettiche che hanno a loro principio il nuovo
intelligibile alle dialettiche che si danno fuori da questo secondo un rapporto
di ragione a conseguenza o di conseguenza a ragione, e, quando pone la
questione della ragione della ragione, la ritrova nell'autocoscienza
dell'intelligibile sovraggiunto, la quale appunto è l'essenza del suo
sovraggiungersi, cioè di quell'innovazione dialettica che chiamiamo tempo
dell'intelligibilità; se si vuole che la novità o temporalità di un
intelligibile che mai è estremo di una dialettica, riguardi una specie infima
eterogenea dalle rappresentazioni autocoscienti di identico grado e quindi sia
gli intelligibili che son suoi generi fino a quello che essendo rappresentato
autocoscientemente come denotante generica relativa delle altre complanari
rende quella cogenere di queste, sia gli intelligibili che sono e denotante
specifica necessaria della specie infima infima eterogenea e denotanti dello
specifico necessario, dal punto di vista della dottrina aristotelica degli
intelligibili, ma non da quello della dottrina aristotelica della loro
conoscenza, anche in questo caso il concetto dell'acquisto della specie infima
e di quanto ne deriva come di un'operazione induttiva per astrazione non
consente di interpretare la temporalità delle loro rappresentazioni come una
transizione dal non essere all'essere che nulla abbia che fare con la funzione
di ragion sufficiente di dialettiche da attribuirsi all'autocoscienza che le
denota, perché il pensiero di condizione umana, mentre si rappresenta gli
intelligibili della specie infima e di quanto a questa si connette nella loro
impossibilità a porsi autocoscienti indipendentemente
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dalla rappresentazione fenomenica principio di astrazione e dalle
dialettiche di astrazione, si trova contemporaneamente nella necessità di
concentrare l'attenzione su tutte le dialettiche in cui specie infima e
intelligibili conseguenti sono entrati come estremi e su tutte le dialettiche
in cui quelle si son connesse con estremi con le dialettiche i cui estremi
erano gli intelligibili omogenei od eterogenei rispetto alla specie infima e
agli intelligibili conseguenti, e da ciò è condotto a distinguere i rapporti
materiali ciascuno dei quali è ragione e insieme materia di ciascuna dialettica
dalle rappresentazioni autocoscienti di cui essi rapporti son materia e ad
assumere l'autocoscienza di esse a ragione di tutti gli spostamenti
d'attenzione che sono le dialettiche o che sono attraverso le dialettiche e
quindi dalla loro ontità intelligibile: il che vale anche per la stessa specie
infima che, pensabile com'è in forza non dell'autocoscienza della sua
rappresentazione ma dell'autocoscienza delle rappresentazioni delle dialettiche
che ne costituiscono la comprensione e che, per la loro natura di spostamenti
d'attenzione tra le varie denotanti della sua comprensione e tra una o alcune
di essi e altri intelligibili denotanti altre comprensioni, attribuiscono alla
specie infima quella struttura formale di sintesi disarticolata secondo la
quale unicamente un intelligibile è tale, ritrova la sua ontità o diritto a
porsi come intelligibile in sé nei rapporti in sé che son materia delle loro
rappresentazioni in quanto dialettiche, ma ricava la sua ontità di
rappresentazione o diritto a porsi come intelligibile che è o in sé o nelle sue
denotanti estremo di dialettiche in quanto rappresentazioni autocoscienti,
dalla nota dell'autocoscienza sua come di estremo di dialettiche che son
rappresentazioni autocoscienti, tant'è vero che la sua intelligibilità sta nel
suo porsi ad estremo di dialettiche autocoscienti che lo polarizzano con gli
altri intelligibili e non dalla sua genesi induttiva; e questa peculiare
funzione di ragion sufficiente che acquista la sua denotante
dell'autocoscienza, scindendo al cospetto dell'attenzione di un pensiero di
condizione umana il ruolo che i rapporti, instaurantisi fra le note materiali
della specie infima o fra esse e altre note che siano ontici intelligibili
investiti dall'attenzione nella loro materiali(tà)(?), hanno o rispetto a se
stessi o rispetto a qualsivoglia altro rapporto di cui sian principio
necessario e il ruolo che l'autocoscienza degli stessi rapporti ha nei
confronti loro e dei rapporti che ne derivano come da principio necessario, fa
del primo un ontico la cui materia presa in assoluto è quel che è
indipendentemente da qualunque modo ontico che sia fuori di esso, fa del
secondo un ontico la cui materia è condizione di tutti gli spostamenti
d'attenzione ad esso interessati che chiamiamo pensiero di condizione umana,
con la conseguenza che l'ontità del primo è di utilità zero per il pensiero di
condizione umana come quella che è ragione della materia della sua
rappresentazione autocosciente ma non dell'autocoscienza della sua
rappresentazione, mentre l'ontità del secondo è ragion necessaria e sufficiente
dell'ontità di tutto ciò che nel pensiero di condizione umana è ad esso
interessato; il che è essenza della temporalità anche dell'intelligibile che
sia specie infima consenziente dialettiche altre da quelle articolate
direttamente
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o indirettamente sugli intelligibili complanari con essa -; la
temporalità degli intelligibili è dunque la nota che è loro essenziale quando
il loro insieme vien rappresentato come pensiero di condizione umana, e la sua
essenza sta nella funzione che essa sola riveste di ragion sufficiente delle
dialettiche che o costituiscono o coinvolgono la rappresentazione intelligibile
di cui essa è denotante; per la necessità che ogni nozione sia sempre
rapportata a un'altra che abbia la liceità di esserle ragion sufficiente,
l'essenza che è della temporalità degli intelligibili di avere nella propria
autocoscienza la loro funzione di ragion sufficiente dev'essere oltrepassata e
ridotta a conseguenza di un'altra rappresentazione la quale non patisca il suo
difetto di essere intelligibile alla condizione di entrare in rapporto con
rappresentazioni che son altre da essa; non pare che, di fronte a questa
richiesta, sia lecito pensare l'accidentalità [[Nota a matita
dell'autore:”nota sull’accidente”]]dell'autocoscienza come ragion sufficiente prima della
temporalità di ciò che essa affetta, perché da un lato l'autocoscienza come
denotante necessaria della comprensione di un intelligibile in un pensiero di
condizione umana è denotata dalla funzione di esclusivo fondamento della
funzione di ragion sufficiente dell'intelligibile stesso e perciò non pare in
rapporto necessario con le restanti denotanti materiali e formali, secondo
un'irrelatezza che sarebbe argomentabile anche dall'impossibilità di attribuire
all'autocoscienza una delle due funzioni di generico o di specifico che una
nota che sia essenziale assume in una comprensione, dall'altro la stessa
autocoscienza, se risulta necessaria per le dialettiche con cui l'intelligibile
autocosciente s'identifica, non riveste lo stesso attributo di necessità nelle
dialettiche con cui coincide un intelligibile che sia in sé come forma o se si
vuole come razionalità di un ontico che non è per un ((??me??)) pensiero; ma,
se rimaniamo sul piano dell'interpretazione aristotelica, è impossibile
trattare per accidentale un'autocoscienza la quale nella sua connotazione
appare identica sia che denoti un intelligibile di una dialettica di condizione
umana sia che denoti gli intelligibili delle dialettiche di condizione divina
nelle quali la denotante autocosciente, in quanto liceità degli spostamenti
dialettici simultanei ciascuno in sé e con gli altri, fa tutt'uno con gli
spostamenti stessi, sicché la sua apoditticità di denotante di intelligibili
autocoscienti divini non solo è la stessa delle altre denotanti e delle loro
dialettiche ma è la stessa perché coincide con le denotanti e le loro dialettiche
medesime - da tal punto di vista la questione del modo d'essere
dell'autocoscienza non è risolvibile né sul piano logico né sul piano
gnoseologico né su quello metafisico, perché è essenza dello stesso
intelligibile, ma si pone sul piano dell'ontità esistenziale, ossia dell'ontità
che è non dell'essere, ma dell'ontico in quanto predicabile di un'ontità per un
pensiero e di un'ontità che è indipendente da essa e se una dottrina
aristotelica è tenuta a distinguere l'autocoscienza di condizione divina e
l'autocoscienza di condizione fisica, non ha il diritto di fondare la
distinzione sulla sostanzialità della prima e sull'accidentalità della seconda,
e tanto meno ha il diritto di superare la difficoltà attraverso una distinzione
del pensiero dal pensato e la essenzialità dell'autocoscienza al primo,
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