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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 216
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- 211 -


[pag 211 (216 F1/2)]

quantunque nessun'altra necessità di questo spostamento da principio a conseguenza sia da porsi che stia fuori dalla mera loro ontità ossia dal mero darsi delle due rappresentazioni all'autocoscienza, se si vuole in definitiva che la temporalità di un intelligibile coincida con la sua transizione dal non essere all'essere perché questo significa l'analisi fatta di questo che si vuole, si ignora, consapevolmente o no, che un pensiero di condizione umana, posto dinanzi a questo intelligibile sovraggiunto, alle dialettiche di cui è principio, alla connessione in cui queste si pongono con le altre dialettiche già autocoscienti, deve offrirsi le rappresentazione della materia relazionale immanente nell'intelligibile, di quella nelle sue dialettiche, di quella nelle dialettiche fra queste e le altre già autocoscienti, deve darsi siffatte rappresentazioni come ontici che sono in sé come quelli che sono strutturati secondo certi ontici qualitativi e secondo certi rapporti che questi qualitativi connettono in ((o??)) unità, e insieme come ontici che oltre che in sé sono autocoscienti come quelli che acquistano certe operazioni o la liceità di queste operazioni, e deve assumere questa autocoscienza come il principio sia della rappresentazione dell'intelligibile stesso sovraggiunto sia di quelle delle dialettiche conseguenti, sicché quando procede a confrontare i due suoi stati, quello meno ricco e quello più ricco se scende al disotto della superficiale differenza quantitativa e ne ricerca la ragione, la ritrova nella liceità o di proseguire le dialettiche consentite dalla prima in quelle consentite dalla seconda secondo una continuità che libera la serie degli spostamenti d'attenzione da qualsiasi discrezione dissolutiva o di spostare l'attenzione dalle dialettiche che hanno a loro principio il nuovo intelligibile alle dialettiche che si danno fuori da questo secondo un rapporto di ragione a conseguenza o di conseguenza a ragione, e, quando pone la questione della ragione della ragione, la ritrova nell'autocoscienza dell'intelligibile sovraggiunto, la quale appunto è l'essenza del suo sovraggiungersi, cioè di quell'innovazione dialettica che chiamiamo tempo dell'intelligibilità; se si vuole che la novità o temporalità di un intelligibile che mai è estremo di una dialettica, riguardi una specie infima eterogenea dalle rappresentazioni autocoscienti di identico grado e quindi sia gli intelligibili che son suoi generi fino a quello che essendo rappresentato autocoscientemente come denotante generica relativa delle altre complanari rende quella cogenere di queste, sia gli intelligibili che sono e denotante specifica necessaria della specie infima infima eterogenea e denotanti dello specifico necessario, dal punto di vista della dottrina aristotelica degli intelligibili, ma non da quello della dottrina aristotelica della loro conoscenza, anche in questo caso il concetto dell'acquisto della specie infima e di quanto ne deriva come di un'operazione induttiva per astrazione non consente di interpretare la temporalità delle loro rappresentazioni come una transizione dal non essere all'essere che nulla abbia che fare con la funzione di ragion sufficiente di dialettiche da attribuirsi all'autocoscienza che le denota, perché il pensiero di condizione umana, mentre si rappresenta gli intelligibili della specie infima e di quanto a questa si connette nella loro impossibilità a porsi autocoscienti indipendentemente


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[pag 212 (216 F3/4)]

dalla rappresentazione fenomenica principio di astrazione e dalle dialettiche di astrazione, si trova contemporaneamente nella necessità di concentrare l'attenzione su tutte le dialettiche in cui specie infima e intelligibili conseguenti sono entrati come estremi e su tutte le dialettiche in cui quelle si son connesse con estremi con le dialettiche i cui estremi erano gli intelligibili omogenei od eterogenei rispetto alla specie infima e agli intelligibili conseguenti, e da ciò è condotto a distinguere i rapporti materiali ciascuno dei quali è ragione e insieme materia di ciascuna dialettica dalle rappresentazioni autocoscienti di cui essi rapporti son materia e ad assumere l'autocoscienza di esse a ragione di tutti gli spostamenti d'attenzione che sono le dialettiche o che sono attraverso le dialettiche e quindi dalla loro ontità intelligibile: il che vale anche per la stessa specie infima che, pensabile com'è in forza non dell'autocoscienza della sua rappresentazione ma dell'autocoscienza delle rappresentazioni delle dialettiche che ne costituiscono la comprensione e che, per la loro natura di spostamenti d'attenzione tra le varie denotanti della sua comprensione e tra una o alcune di essi e altri intelligibili denotanti altre comprensioni, attribuiscono alla specie infima quella struttura formale di sintesi disarticolata secondo la quale unicamente un intelligibile è tale, ritrova la sua ontità o diritto a porsi come intelligibile in sé nei rapporti in sé che son materia delle loro rappresentazioni in quanto dialettiche, ma ricava la sua ontità di rappresentazione o diritto a porsi come intelligibile che è o in sé o nelle sue denotanti estremo di dialettiche in quanto rappresentazioni autocoscienti, dalla nota dell'autocoscienza sua come di estremo di dialettiche che son rappresentazioni autocoscienti, tant'è vero che la sua intelligibilità sta nel suo porsi ad estremo di dialettiche autocoscienti che lo polarizzano con gli altri intelligibili e non dalla sua genesi induttiva; e questa peculiare funzione di ragion sufficiente che acquista la sua denotante dell'autocoscienza, scindendo al cospetto dell'attenzione di un pensiero di condizione umana il ruolo che i rapporti, instaurantisi fra le note materiali della specie infima o fra esse e altre note che siano ontici intelligibili investiti dall'attenzione nella loro materiali()(?), hanno o rispetto a se stessi o rispetto a qualsivoglia altro rapporto di cui sian principio necessario e il ruolo che l'autocoscienza degli stessi rapporti ha nei confronti loro e dei rapporti che ne derivano come da principio necessario, fa del primo un ontico la cui materia presa in assoluto è quel che è indipendentemente da qualunque modo ontico che sia fuori di esso, fa del secondo un ontico la cui materia è condizione di tutti gli spostamenti d'attenzione ad esso interessati che chiamiamo pensiero di condizione umana, con la conseguenza che l'ontità del primo è di utilità zero per il pensiero di condizione umana come quella che è ragione della materia della sua rappresentazione autocosciente ma non dell'autocoscienza della sua rappresentazione, mentre l'ontità del secondo è ragion necessaria e sufficiente dell'ontità di tutto ciò che nel pensiero di condizione umana è ad esso interessato; il che è essenza della temporalità anche dell'intelligibile che sia specie infima consenziente dialettiche altre da quelle articolate direttamente


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[pag 213 (216 F3/4)]

o indirettamente sugli intelligibili complanari con essa -; la temporalità degli intelligibili è dunque la nota che è loro essenziale quando il loro insieme vien rappresentato come pensiero di condizione umana, e la sua essenza sta nella funzione che essa sola riveste di ragion sufficiente delle dialettiche che o costituiscono o coinvolgono la rappresentazione intelligibile di cui essa è denotante; per la necessità che ogni nozione sia sempre rapportata a un'altra che abbia la liceità di esserle ragion sufficiente, l'essenza che è della temporalità degli intelligibili di avere nella propria autocoscienza la loro funzione di ragion sufficiente dev'essere oltrepassata e ridotta a conseguenza di un'altra rappresentazione la quale non patisca il suo difetto di essere intelligibile alla condizione di entrare in rapporto con rappresentazioni che son altre da essa; non pare che, di fronte a questa richiesta, sia lecito pensare l'accidentalità [[Nota a matita dell'autore:”nota sull’accidente”]]dell'autocoscienza  come ragion sufficiente prima della temporalità di ciò che essa affetta, perché da un lato l'autocoscienza come denotante necessaria della comprensione di un intelligibile in un pensiero di condizione umana è denotata dalla funzione di esclusivo fondamento della funzione di ragion sufficiente dell'intelligibile stesso e perciò non pare in rapporto necessario con le restanti denotanti materiali e formali, secondo un'irrelatezza che sarebbe argomentabile anche dall'impossibilità di attribuire all'autocoscienza una delle due funzioni di generico o di specifico che una nota che sia essenziale assume in una comprensione, dall'altro la stessa autocoscienza, se risulta necessaria per le dialettiche con cui l'intelligibile autocosciente s'identifica, non riveste lo stesso attributo di necessità nelle dialettiche con cui coincide un intelligibile che sia in sé come forma o se si vuole come razionalità di un ontico che non è per un ((??me??)) pensiero; ma, se rimaniamo sul piano dell'interpretazione aristotelica, è impossibile trattare per accidentale un'autocoscienza la quale nella sua connotazione appare identica sia che denoti un intelligibile di una dialettica di condizione umana sia che denoti gli intelligibili delle dialettiche di condizione divina nelle quali la denotante autocosciente, in quanto liceità degli spostamenti dialettici simultanei ciascuno in sé e con gli altri, fa tutt'uno con gli spostamenti stessi, sicché la sua apoditticità di denotante di intelligibili autocoscienti divini non solo è la stessa delle altre denotanti e delle loro dialettiche ma è la stessa perché coincide con le denotanti e le loro dialettiche medesime - da tal punto di vista la questione del modo d'essere dell'autocoscienza non è risolvibile né sul piano logico né sul piano gnoseologico né su quello metafisico, perché è essenza dello stesso intelligibile, ma si pone sul piano dell'ontità esistenziale, ossia dell'ontità che è non dell'essere, ma dell'ontico in quanto predicabile di un'ontità per un pensiero e di un'ontità che è indipendente da essa e se una dottrina aristotelica è tenuta a distinguere l'autocoscienza di condizione divina e l'autocoscienza di condizione fisica, non ha il diritto di fondare la distinzione sulla sostanzialità della prima e sull'accidentalità della seconda, e tanto meno ha il diritto di superare la difficoltà attraverso una distinzione del pensiero dal pensato e la essenzialità dell'autocoscienza al primo,




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