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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 217
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- 214 -


[pag 214 (217 F1/2)]

non tanto perché definisce il divino un pensiero del pensiero, quanto perché se un pensiero divino è la simultaneità di tutte le dialettiche ontiche, il pensato divino è la stessa cosa e in tale situazione quella descrizione che abbiam fatto dell'autocoscienza come di un'operazione dialettica e insieme della sua liceità di compierla e di ripeterla non è più adeguata qui dove non è liceità, ma ontità di fatto; una teoria aristotelica della logica, se deve distinguere gli intelligibili sotto il punto di vista della loro autocoscienza, deve accettare il dato di fatto che questa o non è loro nota o è loro nota secondo il modo divino o è loro nota secondo il modo umano, deve ammettere che l'immanenza o la privazione di questa denotante non inficia la struttura materiale e formale degli intelligibili e delle loro dialettiche, ma non ha il diritto di trattare l'autocoscienza ora come un essenziale ora come un accidentale, restando così preda di una difficoltà nel compiere gli intelligibili che solo una metafisica di tipo cristiano supera -; ma, se dell'aristotelismo conserviamo solo quel che dice del pensiero di condizione umana, anche qui è impossibile prendere l'autocoscienza per accidentale, perché, se è vero che essa è l'operazione dialettica di una qualsiasi intelligibilità e la liceità di compierla o di ripeterla, è altrettanto vero che essa deve coincidere con l'operazione stessa e che, se questa coincide con gli spostamenti d'attenzione da denotante a denotante di una comprensione e con la concomitante utilizzazione delle denotanti correlate secondo la funzione formale che è loro peculiare e che è ragione della correlazione secondo cui la concentrazione attentiva si sposta su di esse, la apoditticità delle funzioni correlanti le denotanti e del dialettico spostamento d'attenzione spetta anche all'autocoscienza che cessa di essere un inessenziale accidentale all'intelligibile; che se poi il pensiero di condizione umana fa dell'autocoscienza una rappresentazione intelligibile autocosciente a sé stante e procede, così come io stesso sopra ho fatto, ad erigerla a nota a sé denotante una comprensione in unione con le denotanti sue che son generici e specifici e con ciò scinde nella comprensione di un intelligibile una serie in connessione dialettica di note la cui materia rappresentativa, mentre si differenzia da quella di altre note e rimane costante in sé, nello stesso modo conserva e varia i suoi rapporti funzionali o modi formali a seconda delle dialettiche in cui entra, da una nota, quella dell'autocoscienza, la cui denotazione permane immutata nella materia rappresentativa e nella funzione formale che acquista in qualsivoglia dialettica di cui sia estremo, e se ancora nel rapporto in cui questa nota è posta con le altre denotanti di un qualsivoglia intelligibile non risultano quei modi di apoditticità che caratterizzano i nessi tra le altre denotanti e quel rapporto di essenzialità che vincola le altre denotanti all'unicità dell'atto con cui queste molte denotanti son pensate in unità in forza dell'apoditticità dei nessi che le vincolano, si tratta di vedere se questo fenomeno del pensiero di condizione umana al quale sono da ricondurre come a ragion sufficiente non solo la differenziazione dell'autocoscienza di un intelligibile dalle altre denotanti di questo, ma anche l'assunzione dell'autocoscienza come un assolutizzabile, se non come un assoluto, - e di questa assunzione


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[pag 215 (217 F2/3)]

io stesso mi son valso per ricondurre all'esclusività della funzione di ragion sufficiente tipica dell'autocoscienza, come essenza della temporalità degli intelligibili di condizione umana - e insieme l'attribuzione all'autocoscienza di una natura e di una funzione che non son quelle degli intelligibili in sé, la sua distinzione ontologica da tutti gli intelligibili in genere, la sua erezione, in forza della costanza e identità della sua materia rappresentativa e della sua funzione indipendentemente da quelle delle dialettiche intelligibili di cui è componente e in forza della sua funzione di condizione necessaria e sufficiente al loro essere operate, ad attributo essenziale di un ontico, il pensiero o coscienza, che è consapevolmente connotato o inconsapevolmente trattato o come un sostanziale o come un ontico altro dagli altri, la convertibilità delle due rappresentazioni dall'autocoscienza e del pensiero come ontico in sé, infine l'erezione del pensiero come ontico in sé e quindi dell'autocoscienza con cui si è finito per identificarlo ad unico ed assoluto ontico principio di sé e di quanto è altro da esso; ora di questo fenomeno di assolutizzazione o, se si vuole discrezione dell'autocoscienza, il cui darsi mi pare proprio dei primordi del pensiero che chiamo indoeuropeo per riferirmi con questo termine alle dialettiche fra le cui conseguenze fu il sottofondo rappresentativo del reale su cui ionici e pitagorici costruirono le loro teorie, ma soprattutto l'aporia in cui s'invischiò Parmenide quando dovette inferire da certe premesse l'onticità di un pensiero cui non era la liceità di far tutt'uno con l'ontico in generale, io credo che sia dato almeno tentare di ripercorrere il discorso di cui è conclusione: si è soliti dire che l'attribuzione agli intelligibili autocoscienti di verità e validità materiale in quanto siano riproduzioni di ontici in sé ha a sua ragione la rappresentazione di ontici che hanno tutti i caratteri dell'intelligibilità ma la cui ontità è indipendente da un pensiero che se li rappresenti; poiché le considerazioni che qui stiam facendo hanno presupposto che l'ontità di un pensiero in sé si abbia il diritto di trattarla non come un dato cognitivo e primo ma come una rappresentazione che è mediata da tutti gli attributi spettanti all'autocoscienza in quanto assolutizzata, la quale in questo suo modo è stata qui posta come mediato da altre rappresentazioni che ne son principio, non pare che la definizione degli intelligibili inautocoscienti come di ontici indipendenti da un pensiero che li pensi sia legittima e pare piuttosto che pecchi di petizione di principio qualora fosse mai dato di trovare che la materia della rappresentazione della loro ontità stia tra quelle rappresentazioni fra le quali e la rappresentazione del pensiero come ontico in sé è medio l'assolutizzazione dell'autocoscienza; si tratta dunque di stabilire quale rappresentazione di intelligibili, di cui gli intelligibili autocoscienti dovrebbero essere riproduzioni per esser materialmente veri e validi e della cui ontità qui non si fa questione, sia legittima per il ripudio di rappresentazione che son suo conseguente; il pensiero di condizione umana ha il diritto di predicare siffatti intelligibili con le note di un'assoluta identità con gli intelligibili autocoscienti, di una loro ontità che è una dialettica che si in ciascuno di essi e tra essi, e che è la stessa degli intelligibili autocoscienti,


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[pag 216 (217 F3/4)]

di una loro ontità alla quale è lecito darsi secondo una ripetizione che non necessariamente nell'atto in cui è e nelle relazioni simultanee con cui si pone con gli ontici che son loro omogenei e simultanei nullifica tutti gli ontici identici ad eccezione del ripetuto, il che equivale a dire che è loro lecito sussistere in una molteplicità simultanea, e di una loro ontità la cui ragion sufficiente non è data dalla semplice dialettica con cui ciascuno di essi identifica la propria struttura, ma è data da altro, sia questo o la totalità degli intelligibili inautocoscienti che ponendopone ciascuno dei suoi momenti con siffatto modo di moltiplicazione simultanea o la stessa totalità che, ponendo sé e ciascuno degli intelligibili che la compone in modo che nessuno di essi patisca mai ripetizione o in simultaneità o in successione, trova poi, per uno o per altro motivo, se stessa ripetuta ma col modo della moltiplicazione di ciascuno dei suoi intelligibili in simultaneità o un ontico di cui la totalità degli intelligibili è per dir così una porzione e che ponendo se stesso, pone insieme la totalità e ciascuno di essi secondo quella moltiplicazione di questi in simultaneità o un ontico del quale quella porzione che è la totalità degli intelligibili affetta da un modo per cui nessuno di questi si moltiplica né in successione né in simultaneità, trova poi, per uno o altro motivo, ripetuta quella sua totalità ma con il modo della ripetibilità o moltiplicazione di ciascun suo intelligibile in simultaneità; ora questi due ultimi predicati degli intelligibili inautocoscienti, ossia la liceità di cui ciascuno gode di sussistere simultaneamente con altri identici con esso in sé e in tutti i rapporti sotto cui si danno, e la necessità di ciascuno di essi di avere la propria ragion sufficiente in un ontico che è altro da esso, non son altro che la rappresentazione della dialettica di ciascuno come di un ontico che si giustappone o ha la liceità di giustapporsi ad altri che sono ad esso identici sotto tutti i punti di vista e che sono inautocoscienti; che se si vuole ancor più analizzare questi caratteri, è dato ritrovare al disotto a loro principio l'illiceità di intelligibili in siffatto modo a trovare una ragion sufficiente in se stessi e quindi a mutuarla in un altro da sé la cui liceità di porre necessariamente per il proprio essere l'essere della sua conseguenza e di porre necessariamente per il suo modo d'essere il modo d'essere della sua conseguenza non coincide totalmente con i modi formali della sua intelligibilità se non altro per questo che le sue conseguenze hanno la liceità di ripetersi simultaneamente in una serie giustapposta ciascuno anche del tutto e sotto tutti i punti di vista identico all'altro; questi attributi si differenziano  dagli intelligibili che si affermano ontici per un pensiero in questo che gli intelligibili per un pensiero traggono la loro ontità dalla dialettica che li costituisce e non da altro e insieme dall'illiceità di ripetersi simultaneamente al tutto identici, perché, anche ammesso che lo spostamento d'attenzione da uno di questi intelligibili a ciò con cui è dialettizzato, esiga della stessa simultaneità sotto cui è pensata l'ontità degli intelligibili inautocoscienti, ogniqualvolta lo spostamento d'attenzione è attraverso almeno tre intelligibili di cui due sembrano identificarsi di diritto l'uno con l'altro di fatto la simultaneità non è concomitante di identità




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