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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 218
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[pag 222 (218 F1/2)]

attitudini di cui la materia stessa non è ragione, in particolare quella di ripetersi secondo modi di ripetizione che almeno per gli intelligibili son quelli già detti, e in ripetuti la cui ragione è altra da quella dei ripetuti che si danno per ontici presunti inautocoscienti; ma, se dell'autocoscienza si fa per dir così il dato evidente di un rapporto tra un ontico che è il pensiero e un ontico che è o suo posseduto o sua modificazione o parte di esso che coincide con esso e insieme ne differisce per natura per funzioni per modo d'essere, e si descrive il rapporto come un'appartenenza o una proprietà o un nesso inscindibile almeno fin che è dato all'ontità come nesso e ((o??)) la conseguenza di esso come un trasferimento di una qualità essenziale, l'autocoscienza, dall'uno all'altro, si fanno delle metafore che per di più non rendon certo congruente il metaforizzato con la struttura che loro è origine, perché a) il pensiero ha il diritto di trattare un ontico autocosciente come un posseduto alla condizione di darsi un altro ontico autocosciente che ha a sua materia il diritto che il pensiero avrebbe di compiere indisturbato una certa serie di operazioni sul posseduto, operazioni che fanno tutt'uno col pensiero, e sicché quindi è lecito dire, che siffatto rapporto di possesso fa tutt'uno con le modificazioni subite dallo stesso posseduto, che la distinzione fra un pensiero le operazioni che esso compie su qualcosa d'altro e il diritto di queste a verificarsi sono una sola cosa e che quindi il rapporto si dissolve nell'unità dell'ontico autocosciente modificato in certo modo con le sue modificazioni, b) il fare dell’ ontico autocosciente una modificazione del pensiero è la stessa cosa che dire o che si danno due ontici autocoscienti l'uno dei quali è il complesso degli ontici autocoscienti entro cui si danno certe operazioni e l'altro è lo stesso complesso ma aumentato di un'unità che si sottopone alle stesse operazioni e insieme è ragione di loro nuovi modi conseguenti all'aumento e che i due ontici son rapportati da una successione diacronica o che il pensiero entra in equivalenza sia con un ontico autocosciente insieme delle operazioni che son mutamenti del modo ontico di ontici che li patiscono sia con  lo stesso ontico autocosciente con le stesse operazioni, che son mutamenti del modo ontico degli stessi ontici, ma modificate in forza dell'aggiunta a questi di uno primo assente essendo i due ontici con cui il pensiero è equivalente posti in successione diacronica, ma - a parte che l'immagine dell'ontico del pensiero come di un sussistente o per sé o per altro la cui quantità ontica muta per l'aggiunta di un' unità ontica, il che sarebbe la natura della funzione dell'ontico autocosciente in quanto modificazione del pensiero nel caso non si voglia fare del pensiero un ontico a caratteri spaziali sulla cui superficie prima o omogenea o resa eterogenea da certi ontici che la compongono assieme ad altri si delinea un segno che è un ontico omogeneo con quello ed eterogeneo da questi, è descrittiva di ciò che chiamiamo pesiero in quanto però arricchito di una componente metafisica che non si ha il diritto di ritrovarvi immediatamente - le due interpretazioni di questa funzione di modificante dell'ontico autocosciente fan tutt'uno perché non si ha il diritto quando si rifletta su ciò che chiamiamo pensiero di distinguerlo da un ontico autocosciente che è un insieme di operazioni


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[pag 223 (218 F2/3)]

che son modificazioni di ontici, sicché nozione di possesso e nozione di modificazione ottengono lo stesso risultato di darsi alla condizione che esistano due rapportati i quali però non sono legittimamente distinguibili neppure per astrazione e quindi di vanificarsi per la nullità di quella relazione che dovrebbe far loro da supporto, c) la natura di parte che l'autocoscienza un ontico nei confronti di quel tutto che gliela dovrebbe donare o si rifà a una definizione o direttamente o indirettamente metafisica del pensiero, il che non le è legittimo se non altro perché il discorso comune intorno all'autocoscienza pretende di esser frutto di una presa di contatto del pensiero con se stesso per quel che si manifesta fenomenicamente e se permette a sé di inoltrarsi nel terreno metafisico si attribuisce tutt'al più la funzione di principio di considerazioni metafisiche e non certo una loro conseguenza, oppure ricava la propria ragione dal fatto che in successione all'ontico autocosciente che è un insieme di ontici modificati in certo modo secondo certe operazioni deve porsi un secondo ontico autocosciente che è lo stesso insieme entro cui è andato a inserirsi l'ontico della cui natura di parte si parla per sottoporsi alle modificazioni secondo quelle certe operazioni e insieme per variare le modificazioni precedenti, sicché l'ontico autocosciente è sì parte di un tutto quando però il tutto sia un complesso di ontici autocoscienti entro cui si svolgono certe operazioni - della quale interpretazione è prova il fatto che chi vuol trattare un ontico autocosciente, se ne fa una parte del pensiero, deve da un lato identificarlo con questo dall'altro differenziarlo essendo un pensiero senza un pensato un ontico che mai avrà autocoscienza, ossia un impensabile, ed avendo un pensato parecchi attributi che non ha il pensiero, e con ciò cadere nell'aporia di porre in coincidenza per identità  due diversi se non due contrari, dalla quale aporia si esce quando la natura di parte di un ontico autocosciente gli spetti nei confronti di un'unità che è unificazione operativa di altri ontici -, d) il trasferimento dell'autocoscienza che è attributo del pensiero all'ontico che ne è pensato da un lato esige che sia posto un ontico autocosciente la cui materia sarà tutto ciò con cui si denota il presunto intelligibile del pensiero in quanto in sé e astrattamente assolutizzato rispetto ai suoi pensati, dall'altro richiede che l'ontico che la riceve, ossia un pensato, abbia tra la materia del presunto intelligibile che gli è genere formale una nota che è l'autocoscienza ininferibile da tutti gli intelligibili che gli son generi di diritti e inferibile solo dal concetto del pensiero: ora secondo il primo intelligibile dovrebbe esser dato un ontico che ripete se stesso, trae la ragione della ripetizione da sé, ma si ripete secondo una ripetizione che deve essere e insieme non è lecito che sia quella che ha a sua ragione un'autocoscienza in quanto i due ripetuti debbono essere assolutamente identici e insieme simultanei della simultaneità di tipo spaziale e insieme debbono essere contemporanemente inidentici in alcunchè e insieme simultaneità ma della simultaneità che si per ripetizione da autocoscienza - tralascio le altre aporie di questo ontico autocosciente, che dovrebbe essere e ripetersi come un unificato con altri ontici autocoscienti, che diciamo i suoi pensati,


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[pag 224 (218 F3/4)]

, e insieme assoluto da essi, che dovrebbe essere denotato da note la cui materia è l'attività e alle quali non è data materia che la patisca, che dovrebbe pensare sé come un assoluto irrelato con altro e in rapporto con altro per un vincolo di ragione con questo che è conseguente suo per l'ontità non per la sua materia, e insieme come un irrimediabilmente relativo con altro e in rapporto con esso per un vincolo di ragione che pone la necessità dell'ontità e insieme della materia di questo, che dovrebbe, almeno relativamente alla sua denotante dell'autocoscienza, esser preda di quell'incapacità a ripetersi in ontici autocoscienti e identificabili con esso di cui Herbart ha parlato, tutte aporie queste che non serve diachiarare apparenti sulla base dell'unità inscindibile di pensante e di pensato e della natura meramente astratta dell'intelligibile del pensante, in primo luogo perché un intelligibile anche se astratto è vero e valido formalmente se solo dal punto di vista dell'ontità della sua materia ritrae il diritto di legittimità dalla sua unità col tutto di cui è parte e non anche dal punto di vista del suo diritto ad esser pensato, in secondo luogo perché la postazione della nozione dell'autocoscienza nei comuni modi suddetti e insieme la legittimità di cui gode il pensato ad esser posto come un intelligibile la cui legittimità anche in astrazione dal correlato senza cui non dovrebbe godere di ontità ha la sua ragione non già nel fatto che la sua nozione si pone in sé e nelle dialettiche che lo costituiscono senz'altro appello al correlato se non il modo dell'autocoscienza che da questo deriva, ma perché per un pensiero di condizione umana non è affatto apodittico fare dell'autocoscienza la condizione necessaria e sufficiente della sua ontità se non nel caso in cui o si pretenda che essa autocoscienza sia tale o si rilevi che essa dev'essere data perché tale intelligibile sia un ontico per un pensiero, in terzo luogo perché, se è vero che al pensiero di condizione umana è lecito porre delle unità che sono unificazioni inscindibili di almeno una dualità di ontici, è del pari vero che questa liceità ha la sua condizione nella liceità di assumere i due per contraddittori e quindi per pensabili con rappresentazioni reciprocamente esclusive e che l'ontico autocosciente dell'unità al pari di quelli dei due contraddittori che vi si unificano non sono degli intelligibili se non alla condizione che abbiano il diritto di essere ciascuno estremo di dialettiche o coi loro coesistenti o con altri intelligibili le quali li assumono come ontici che rispetto alla verità e validità formale loro e dei moti d'attenzione che li investono si pongono come aventi la ragione della propria ontità in sé e non in altro ossia come degli assoluti irrelati dagli intelligibili da cui son stati astratti, sicché, poiché l'illiceità di siffatto modo autocosciente che tocchi contraddittori inscindibili di fatto l'uno dall'altro e dall'unità che li unifica, fa di tutt'e tre ontici autocoscienti che il pensiero non ha il diritto di trattare per intelligibili e per rappresentativi di intelligibili, l'unità del pensiero e del pensato e gli stessi pensiero e pensato in sé debbono e insieme non hanno il diritto di essere intelligibili né in sé né per un pensiero che li ponga con autocoscienza, aporie quelle, infine, che le metafisiche dell'uno risolvono e contemporaneamente rilevano,




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