- 222 -
[pag 222 (218 F1/2)]
attitudini di cui la materia stessa non è ragione, in particolare
quella di ripetersi secondo modi di ripetizione che almeno per gli
intelligibili son quelli già detti, e in ripetuti la cui ragione è altra da
quella dei ripetuti che si danno per ontici presunti inautocoscienti; ma, se
dell'autocoscienza si fa per dir così il dato evidente di un rapporto tra un
ontico che è il pensiero e un ontico che è o suo posseduto o sua modificazione
o parte di esso che coincide con esso e insieme ne differisce per natura per
funzioni per modo d'essere, e si descrive il rapporto come un'appartenenza o
una proprietà o un nesso inscindibile almeno fin che è dato all'ontità come
nesso e ((o??)) la conseguenza di esso come un trasferimento di una qualità
essenziale, l'autocoscienza, dall'uno all'altro, si fanno delle metafore che
per di più non rendon certo congruente il metaforizzato con la struttura che
loro è origine, perché a) il pensiero ha il diritto di trattare un ontico
autocosciente come un posseduto alla condizione di darsi un altro ontico
autocosciente che ha a sua materia il diritto che il pensiero avrebbe di compiere
indisturbato una certa serie di operazioni sul posseduto, operazioni che fanno
tutt'uno col pensiero, e sicché quindi è lecito dire, che siffatto rapporto di
possesso fa tutt'uno con le modificazioni subite dallo stesso posseduto, che la
distinzione fra un pensiero le operazioni che esso compie su qualcosa d'altro e
il diritto di queste a verificarsi sono una sola cosa e che quindi il rapporto
si dissolve nell'unità dell'ontico autocosciente modificato in certo modo con
le sue modificazioni, b) il fare dell’ ontico autocosciente una modificazione
del pensiero è la stessa cosa che dire o che si danno due ontici autocoscienti
l'uno dei quali è il complesso degli ontici autocoscienti entro cui si danno
certe operazioni e l'altro è lo stesso complesso ma aumentato di un'unità che
si sottopone alle stesse operazioni e insieme è ragione di loro nuovi modi
conseguenti all'aumento e che i due ontici son rapportati da una successione
diacronica o che il pensiero entra in equivalenza sia con un ontico autocosciente
insieme delle operazioni che son mutamenti del modo ontico di ontici che li
patiscono sia con lo stesso ontico
autocosciente con le stesse operazioni, che son mutamenti del modo ontico degli
stessi ontici, ma modificate in forza dell'aggiunta a questi di uno primo
assente essendo i due ontici con cui il pensiero è equivalente posti in
successione diacronica, ma - a parte che l'immagine dell'ontico del pensiero
come di un sussistente o per sé o per altro la cui quantità ontica muta per
l'aggiunta di un' unità ontica, il che sarebbe la natura della funzione
dell'ontico autocosciente in quanto modificazione del pensiero nel caso non si
voglia fare del pensiero un ontico a caratteri spaziali sulla cui superficie
prima o omogenea o resa eterogenea da certi ontici che la compongono assieme ad
altri si delinea un segno che è un ontico omogeneo con quello ed eterogeneo da
questi, è descrittiva di ciò che chiamiamo pesiero in quanto però arricchito di
una componente metafisica che non si ha il diritto di ritrovarvi immediatamente
- le due interpretazioni di questa funzione di modificante dell'ontico
autocosciente fan tutt'uno perché non si ha il diritto quando si rifletta su
ciò che chiamiamo pensiero di distinguerlo da un ontico autocosciente che è un
insieme di operazioni
- 223 -
[pag 223 (218 F2/3)]
che son modificazioni di ontici, sicché nozione di possesso e nozione
di modificazione ottengono lo stesso risultato di darsi alla condizione che
esistano due rapportati i quali però non sono legittimamente distinguibili
neppure per astrazione e quindi di vanificarsi per la nullità di quella
relazione che dovrebbe far loro da supporto, c) la natura di parte che
l'autocoscienza dà un ontico nei confronti di quel tutto che gliela dovrebbe
donare o si rifà a una definizione o direttamente o indirettamente metafisica
del pensiero, il che non le è legittimo se non altro perché il discorso comune
intorno all'autocoscienza pretende di esser frutto di una presa di contatto del
pensiero con se stesso per quel che si manifesta fenomenicamente e se permette
a sé di inoltrarsi nel terreno metafisico si attribuisce tutt'al più la
funzione di principio di considerazioni metafisiche e non certo una loro
conseguenza, oppure ricava la propria ragione dal fatto che in successione
all'ontico autocosciente che è un insieme di ontici modificati in certo modo
secondo certe operazioni deve porsi un secondo ontico autocosciente che è lo
stesso insieme entro cui è andato a inserirsi l'ontico della cui natura di
parte si parla per sottoporsi alle modificazioni secondo quelle certe
operazioni e insieme per variare le modificazioni precedenti, sicché l'ontico
autocosciente è sì parte di un tutto quando però il tutto sia un complesso di
ontici autocoscienti entro cui si svolgono certe operazioni - della quale
interpretazione è prova il fatto che chi vuol trattare un ontico autocosciente,
se ne fa una parte del pensiero, deve da un lato identificarlo con questo
dall'altro differenziarlo essendo un pensiero senza un pensato un ontico che
mai avrà autocoscienza, ossia un impensabile, ed avendo un pensato parecchi
attributi che non ha il pensiero, e con ciò cadere nell'aporia di porre in
coincidenza per identità due diversi se
non due contrari, dalla quale aporia si esce quando la natura di parte di un
ontico autocosciente gli spetti nei confronti di un'unità che è unificazione
operativa di altri ontici -, d) il trasferimento dell'autocoscienza che è
attributo del pensiero all'ontico che ne è pensato da un lato esige che sia
posto un ontico autocosciente la cui materia sarà tutto ciò con cui si denota
il presunto intelligibile del pensiero in quanto in sé e astrattamente
assolutizzato rispetto ai suoi pensati, dall'altro richiede che l'ontico che la
riceve, ossia un pensato, abbia tra la materia del presunto intelligibile che
gli è genere formale una nota che è l'autocoscienza ininferibile da tutti gli
intelligibili che gli son generi di diritti e inferibile solo dal concetto del
pensiero: ora secondo il primo intelligibile dovrebbe esser dato un ontico che
ripete se stesso, trae la ragione della ripetizione da sé, ma si ripete secondo
una ripetizione che deve essere e insieme non è lecito che sia quella che ha a
sua ragione un'autocoscienza in quanto i due ripetuti debbono essere
assolutamente identici e insieme simultanei della simultaneità di tipo spaziale
e insieme debbono essere contemporanemente inidentici in alcunchè e insieme
simultaneità ma della simultaneità che si dà per ripetizione da autocoscienza -
tralascio le altre aporie di questo ontico autocosciente, che dovrebbe essere e
ripetersi come un unificato con altri ontici autocoscienti, che diciamo i suoi
pensati,
- 224 -
[pag 224 (218 F3/4)]
, e insieme assoluto da essi, che dovrebbe essere denotato da note la
cui materia è l'attività e alle quali non è data materia che la patisca, che
dovrebbe pensare sé come un assoluto irrelato con altro e in rapporto con altro
per un vincolo di ragione con questo che è conseguente suo per l'ontità non per
la sua materia, e insieme come un irrimediabilmente relativo con altro e in
rapporto con esso per un vincolo di ragione che pone la necessità dell'ontità e
insieme della materia di questo, che dovrebbe, almeno relativamente alla sua
denotante dell'autocoscienza, esser preda di quell'incapacità a ripetersi in ontici
autocoscienti e identificabili con esso di cui Herbart ha parlato, tutte aporie
queste che non serve diachiarare apparenti sulla base dell'unità inscindibile
di pensante e di pensato e della natura meramente astratta dell'intelligibile
del pensante, in primo luogo perché un intelligibile anche se astratto è vero e
valido formalmente se solo dal punto di vista dell'ontità della sua materia
ritrae il diritto di legittimità dalla sua unità col tutto di cui è parte e non
anche dal punto di vista del suo diritto ad esser pensato, in secondo luogo
perché la postazione della nozione dell'autocoscienza nei comuni modi suddetti
e insieme la legittimità di cui gode il pensato ad esser posto come un
intelligibile la cui legittimità anche in astrazione dal correlato senza cui
non dovrebbe godere di ontità ha la sua ragione non già nel fatto che la sua
nozione si pone in sé e nelle dialettiche che lo costituiscono senz'altro
appello al correlato se non il modo dell'autocoscienza che da questo deriva, ma
perché per un pensiero di condizione umana non è affatto apodittico fare
dell'autocoscienza la condizione necessaria e sufficiente della sua ontità se
non nel caso in cui o si pretenda che essa autocoscienza sia tale o si rilevi
che essa dev'essere data perché tale intelligibile sia un ontico per un
pensiero, in terzo luogo perché, se è vero che al pensiero di condizione umana
è lecito porre delle unità che sono unificazioni inscindibili di almeno una
dualità di ontici, è del pari vero che questa liceità ha la sua condizione
nella liceità di assumere i due per contraddittori e quindi per pensabili con
rappresentazioni reciprocamente esclusive e che l'ontico autocosciente
dell'unità al pari di quelli dei due contraddittori che vi si unificano non
sono degli intelligibili se non alla condizione che abbiano il diritto di
essere ciascuno estremo di dialettiche o coi loro coesistenti o con altri
intelligibili le quali li assumono come ontici che rispetto alla verità e
validità formale loro e dei moti d'attenzione che li investono si pongono come
aventi la ragione della propria ontità in sé e non in altro ossia come degli
assoluti irrelati dagli intelligibili da cui son stati astratti, sicché, poiché
l'illiceità di siffatto modo autocosciente che tocchi contraddittori inscindibili
di fatto l'uno dall'altro e dall'unità che li unifica, fa di tutt'e tre ontici
autocoscienti che il pensiero non ha il diritto di trattare per intelligibili e
per rappresentativi di intelligibili, l'unità del pensiero e del pensato e gli
stessi pensiero e pensato in sé debbono e insieme non hanno il diritto di
essere intelligibili né in sé né per un pensiero che li ponga con
autocoscienza, aporie quelle, infine, che le metafisiche dell'uno risolvono e
contemporaneamente rilevano,
|