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dell'autocoscienza, assumendosi tuttavia il carico di offrire ragioni
vere e valide formalmente e materialmente qualora tale attributo tratti come un
non essenziale o un non univoco la cui presenza o assenza non priva un fenomeno
della sua appartenenza alla classe della psichicità, e non è tenuta a cercare
la ragion sufficiente dell'ontità e del modo ontico dell'autocoscienza; ma un
tentativo di analizzare completamente gli ontici autocoscienti e di offrire una
descrizione, oltre le leggi, dell'intelligibilità totale di ciò che è
autocosciente, fallisce se l'analisi è limitata all'autocoscienza come nota
particolare di certi ontici e alla comprensione materiale e formale di questi
-; mi sono ben presenti una buona parte delle nozioni che necessariamente si
danno quando l'attenzione si concentra sul dato dell'autocoscienza: a) che non
è lecito ridurre a una classe di
omogenei tutti gli ontici che hanno l'autocoscienza fra i loro attributi senza
al tempo stesso fondare tale classe su di una unità che non è dalla ragione
della classificazione come per le altre classi, e neppure si limita al fatto di
essere autocosciente di sé (cioè di avere la liceità di ripetersi in un ontico
autocosciente che è equivalente a ciò che ripete ma che in più rileva in sé con
altrettanti atti di concentrazione attentiva le sue denotanti di essere
un'unità, di aver autocoscienza -checché questo sia veramente -, di essere
l'unificazione di ontici aventi ciascuno la stessa autocoscienza e unificantisi
l'un l'altro in grazia dell'autocoscienza dello spostamento d'attenzione
dall'uno all'altro, di porre la liceità di tutti i modi ontici comunque
correlati all'autocoscienza per sé e per i suoi conclassari in forza proprio
dell'autocoscienza propria e di questi), perché fare della natura di
quest'unità qualcosa di diverso dall'unità di qualsiasi altra classe solo per
l'autocoscienza che le è essenziale come vuole John Stuart Mill, significa
eliderne come inessenziali tutti gli altri attributi di cui la dotiamo quando
la poniamo come ontico autocosciente
senza legittimare l'elisione; e infatti l'unità della classe è denotata
o ha la pretesa di essere denotata come un ontico che è in sé e da sé o che di
fatto sente se stesso come in sé e da sé, anche se di diritto è in altro e da
altro, come un ontico dotato dell'attitudine a certe operazioni che per
attuarsi avranno bisogno di ontici altri da render propria materia, ma che non
si inferiscono da questi se non per la mera materia, come un ontico che
rapportando a sé gli ontici della cui classe è ragione e della cui
autocoscienza è principio li arricchisce di certe funzioni e di certi
attributi, ad esempio quello di riprodurre qualcosa che è diverso e insieme identico
ad essi, quello di fare di siffatta riproduzione la condizione sufficiente per
mutare lo stato dell'ontico che vien riprodotto secondo modificazioni che non
ne alterano per nulla l'ontità, ecc., funzioni ed attributi la ragione della
cui verità e validità solo in parte coincide con la materia degli ontici
conclassari, così come solo in parte la ragione del loro essere coincide con la
loro autocoscienza, dovendosi per il resto andare a cercarla negli attributi di
quell'unità, come un ontico infine che è tutto ciò che chiamiamo pensiero o
coscienza; b) che l'autocoscienza che è nota di un ontico, se è vero che dà
alla materia della sua comprensione la liceità
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di ripetersi secondo i modi già detti, è altrettanto vero che fa di
questa materia una rappresentazione o immagine o conoscenza o nozione o sapere,
sotto i quali termini si pone sì la loro funzione di riprodurre simmetricamente
qualche ontico altro da essi, autocosciente o inautocosciente, ma si pone anche
la necessità loro di entrare in rapporto con un ontico per il quale sono in
tale loro funzione, perché il semplice fatto di riprodurre qualcosa d'altro sì
che per questo atto si dia all'ontità una simmetria perfetta di due ontici, che
si dà anche il caso che non siano neppure differenziabili per la presenza o
l'assenza di un'autocoscienza in uno di essi, rende intelligibile quel pensato autocosciente di cui siffatti
termini son supposizioni, solo se si accompagna all'altro fatto di assegnare
agli ontici riprodotti dall'immagine un'ontità anche per quell'ontico che è il
pensiero, sicché la ripetizione o riproduzione ha le sue ragioni in quel
rapporto che lega l'ontico chiamato immagine all'ontico chiamato pensiero,
rapporto che è funzionale come quello che instaurandosi assegna all'ontico
immagine il compito di garantire l'ontità di sé e dei suoi modi ontici
all'ontico di cui è immagine sia in sé sia in relazione all'ontico pensiero:
qualunque sia la ragione dell'essere, l'origine, le operazioni produttive, la
finalità, la natura di siffatto raddoppiamento, è certo che un ontico
autocosciente non appena è colto nella sua nota di immagine ossia di
conosciuto, non trova nessun altro ontico autocosciente che sia principio o
ragione di questa sua natura di atto conoscitivo che sta tutto nella pretesa di
essere per così dire il "doppio" di un altro ontico e di fare di
questa sua "duplicazione" il principio di un'ontità dell'ontico
"doppiato" che non è in sé, ma è per altro, se non la rappresentazione
di questo altro, ossia la nozione del pensiero; ora, poiché queste nozioni non
hanno il diritto di essere elise pena la parzialità dell'intelligenza
dell'autocoscienza, e poiché danno origine alla catena di aporie su cui sopra
mi son soffermato, non mi resta che erigere il concetto stesso di pensiero a
problema, ossia ad assenza di legittimità della sua esistenza, ad assenza di
legittimità delle pretese formali e materiali delle sue denotanti e a ricerca
di principi che sian ragione delle due legittimità; in parole povere, è posto il
problema dell'esistenza di fatto e ((o??))di diritto di un pensiero come ontico
unitario in sé e dei modi che sono attributi di esso in quanto ontico in sé;
questa ricerca, di cui senz'altro posso dire che non ha la liceità di partire
dall'autocoscienza e dai meri ontici autocoscienti pena l'invischiarsi in
circoli viziosi e in aporie, non investe tuttavia il discorso di questo mio
lavoro e perciò è dato effettuarla altrove, senza che la questione che qui
abbiamo affrontato dell'accidentalità dell'autocoscienza entro la classe di
quegli ontici autocoscienti che sono intelligibili per un pensiero umano riceva
pregiudizio; abbiamo il diritto di stabilire il rapporto formale che lega la
denotante dell'autocoscienza alle altre materiali e formali di un intelligibile
non solo non risolvendo il problema dell'esistenza e dei modi di esistenza di
un pensiero in genere, ma anche presupponendo che tale esistenza non sia, alla
condizione però di trattare il pensiero in generale come una qualsivoglia
teoria o dottrina della logica fa
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