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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 224
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[pag 242 (224 F1 /2)]

un ontico insomma da cui è esclusa la contingenza e la finalità; la seconda è un modo che sovraggiunto a un ontico ne fa da un lato un oggetto, ossia un ontico che è per altro e che ha il diritto di esser per altro per l'essenziale eterogeneità in cui vien posto di contro a questo, dall'altro una rappresentazione, ossia un ontico che è riproduzione di un altro finalisticamente tesa a far esistere l'ontità e i modi ontici del riprodotto per quell'eterogeneo, di cui l'ontico riproducente è oggetto, e offrirgliene la conoscenza, in quanto attitudine dell'eterogeneo a porre sé in rapporto col riprodotto e in quanto liceità dell'eterogeneo a riprodurre a proprio libito il riproducente per operare su di esso ogni modificazione a suo libito, essendo ogni riproduzione l'identico perfetto della copia precedente; l'eterogeneità materiale e formale della dialettica e dell'autocoscienza e l'illegittimità di uno spostamento d'attenzione fra le due che le renda biffe di una dialettica e con ciò le doti di una delle funzioni reciproche in cui due denotanti vengono dialettizzate, dimostrano l'impossibilità di farle sia pure indirettamente conclassari di una stessa classe a unica ragione, e l'apoditticità di una loro qualsivoglia relazione di cogenerità che non sia quella dell'ontità in genere, e di conseguenza pongono l'ininferibilità dell'autocoscienza dalla dialettica e viceversa e quindi l'inessenzialità e accidentalità della prima rispetto alla seconda e perciò rispetto alla comprensione materiale e formale dell'intelligibile con la quale la dialettica coincide - il discorso è chiaro solo alla superficie; anzitutto, se il determinismo della sfera intelligibile di condizione umana è molto meno scisso da inarbitrarietà di quanto appaia, avendo una catena dialettica la liceità di muovere da un solo e stesso principio per procedere lungo catene che son diverse nella materia delle biffe ma non nella funzione formale in cui ciascuna delle materialmente diverse si pone con le altre dialettizzate con essa in quelle e in altre catene, e che perciò sono sostituibili l'una all'altra per l'identità del principio e del valore formale di ciascuna biffa, sicché c'è da chiedersi quanto di arbitrio non entri di fatto in una dialettica, se lo stesso dubbio insorge dinanzi a uno spettacolo di dialettiche che si coesionano in gruppi per la necessità che connette le biffe di ciascun gruppo, ma i cui gruppi non sono affatto legati l'un l'altro dalla stessa coesione perché la concentrazione d'attenzione pare molto se non del tutto indeterminata, almeno dal punto di vista dell'apoditticità del suo antecedente, nel suo muoversi da un intelligibile a un altro assolutamente irrelato da questo e nel fare di ciascuno dei principi di due catene o gruppi dialettici discontinui e con ciò reciprocamente indeterminati, se il determinismo logico di condizione umana non è mai in sé, ma per altro, nel senso che l'apoditticità di una catena dialettica è tale per ciascuno dei suoi componenti, quando questo si perché le discontinuità e quindi l'indeterminatezza di una biffa rispetto o all'antecedente o al conseguente o a entrambi sono esperienze quotidiane che i nostri ragionamenti ci offrono, qualsivoglia poi ne sia la causa, ma comunque non è mai tale nella sua totalità sulla cui necessità nessuno può giurare, se il finalismo è estraneo alle dialettiche di condizione umana in grado molto minore di quel che si crede,


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[pag 243 (224 F3/4)]

perché è sempre lecito chiedersi da che cosa mai dipenda la concentrazione d'attenzione sull'intelligibile fatto principio di una catena dialettica e se sia mai rappresentabile siffatta concentrazione come totalmente incondizionata da rappresentazioni precedenti e ricercanti come loro complemento i risultati della dialettica che deve o si presume debba avere a suo principio quel certo intelligibile, se quell'effetto della natura di conoscenza acquisita da un intelligibile pel tramite della sua autocoscienza, precisamente la sua riproducibilità, si con modi arbitrari, pei quali ciascun riproducente è equazionabile o inequazionabile col riproducente di cui è copia, ma solo fuori della sfera delle dialettiche intelligibili entro la quale la riproduzione ha la liceità di lasciare inalterata la materia, ma non la forma e le funzioni o rapporti formali della copia e del suo riproducente, in quanto una dialettica sarà sempre riproducibile quando ogni suo riproducente  è biffa di un'altra dialettica e in questa si connette a un altro intelligibile con una forma però altra dalla sua copia e ogni biffa di una dialettica è sempre riproducibile ma o con un intelligibile altro dalla biffa con cui era correlata o con la stessa biffa alla condizione che le sue funzioni formali siano altre dalla precedente, mentre la stessa dialettica non sarà mai riproducibile in equazione con se stessa se non per funzioni che sono altre da quelle intelligibili e se non quindi fuori della sfera intelligibile, se una delle conseguenze dell'autocoscienza, la conoscenza di un ontico, pare molto meno incondizionata dalla dialettica di quel che si pretende, giacché è evidente che tutto ciò o buona parte di ciò che fa di un intelligibile una rappresentazione cognitiva non ha ontità alcuna fuori dalle dialettiche che non tanto completano la rappresentatività dell'intelligibile, quanto anzitutto sono principio della sua pretesa di mettere il pensiero in grado di rapportarsi con un ontico secondo rapporti che debbono tener conto degli attributi di intelligibilità di questo, l'eterogeneità assoluta o inclassificabilità della dialettica e dell'autocoscienza in una classe che sia altra da quella che ha a sua ragione la mera ontità o se si vuole l'ontità di condizione umana, risulta tanto poco argomentabile da lasciar adito a molti attributi comuni che son ragione di una loro omogeneità; si tratterebbe allora di vedere se questa conclassificabilità lascia sussistere l'inessenzialità loro; d'altra parte, la pretesa che siano l'una l'altra inessenziali fa tutt'uno con la pretesa sia di una loro ininferibilità reciproca, sia di un certo loro rapporto per dir così causale per cui l'una sola di esse, l'autocoscienza, è assumibile a ragione dell'ontità in genere dell'altra: ora, a parte il fatto dell'inintelligibilità di un rapporto causale tra due inessenziali, se il rapporto di ragione, rispetto all'ontità in genere, autocoscienza -dialettica coincide con lo spostamento d'attenzione dall'autocoscienza in quanto denotante un intelligibile allo spostamento d'attenzione che è dialettica da esso a una sua denotante, il quale, dinanzi alla pretesa che la prima sia principio dell'esistere in generale del secondo, rileva che siffatta pretesa è valida per l'ontità dell'autocoscienza che denota il secondo, ma non per il secondo nella sua totalità, le ragioni della cui ontità in genere stanno non nell'autocoscienza


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[pag 244 (224 F3/4)]

dell'intelligibile che è sua biffa diretta o indiretta, ma nella concentrazione d'attenzione su di esso, se, entrando un intelligibile nelle condizioni dialettiche che dirompono l'unità di cui gode quando sia con inautocoscienza in una molteplicità articolata e disarticolabile di denotanti eterogenee alla condizione che si dia con autocoscienza e insieme avendosi autocoscienza di un intelligibile in quanto tale alla condizione che esso si dia articolato e disarticolabile  in forza della dialettica di cui è biffa diretta o indiretta, è un po' difficile riservare il rapporto di causalità a uno spostamento d'attenzione che vada dall'autocoscienza alla dialettica e non estenderlo anche allo spostamento inverso, se, essendo l'inferenza uno spostamento d'attenzione da intelligibile ad intelligibile per il quale l'ontità apodittica del primo pone il pensiero nella necessità di porre come apodittica quella del secondo in modo tale che il pensiero debba rappresentare se stesso come costretto ad accogliere nelle sue dialettiche il secondo dal fatto che ha accolto nelle stesse dialettiche il primo, e se ciò si alla condizione però che le comprensioni dei due intelligibili partecipino  in uno o in altro modo l'una dell'altra, a parte che si pone allora contraddittoria la pretesa di un'ininferibilità reciproca di autocoscienza e dialettica con la pretesa di almeno un loro rapporto di ragione a unica direzione, il pensiero non è capace di accordare la discrezione assoluta delle comprensioni dell'autocoscienza e della dialettica sotto cui per pretesa o per diritto rapporta i due intelligibili quando sposta la sua attenzione dall'uno all'altro con la necessità in cui si trova di pensare almeno uno dei due come ragione dell'altro, soprattutto anche la nozione di condizione, ammesso che questa sia un intelligibile e non un parzialmente ignorato assunto, ciononostante, ad intelligibile, è insufficiente a legittimare e insieme a costituire questo rapporto di ragione, perché delle due l'una o l'autocoscienza è mera condizione della dialettica in quanto sovraggiungendosi all'ontità di un intelligibile arricchisce questo della liceità di trasformare se ((sé??)) in una comprensione articolata in denotanti che sono, assieme al tutto della comprensione, biffe di dialettiche, con la conseguenza che l'intelligibile in genere è da ritenersi un ontico la cui essenza ha due modi ontici secondo che o s'accompagna all'autocoscienza o ne resta disgiunta, e in questo caso non si hanno ragione di parecchi fenomeni di siffatto stato dialettico, la sua parzialità, la sua mutevolezza, la molteplicità di certi suoi modi che dovrebbero essere un unico e solo e non una pluralità, la sua simultaneità che non è quella spaziale, fenomeni tutti che sono accidentali rispetto a una dialettica che sia veramente coessenziale a un intelligibile, o l'autocoscienza ha il ruolo della condizione in quanto, sovraggiungendosi a un intelligibile, gli la liceità di porsi a termine di una concentrazione d'attenzione che è principio degli spostamenti d'attenzione delle dialettiche conseguenti, e allora non solo diventa illegittima la convertibilità di pensiero e di autocoscienza, non solo l'autocoscienza si riduce a condizione indiretta della dialettica, ma neppure ha più il diritto di pretendere a quel ruolo di unità fra il pensante e il pensato che l'attributo di accidentalità gli garantisce, se, infine,




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