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un ontico insomma da cui è esclusa la contingenza e la finalità; la
seconda è un modo che sovraggiunto a un ontico ne fa da un lato un oggetto,
ossia un ontico che è per altro e che ha il diritto di esser per altro per
l'essenziale eterogeneità in cui vien posto di contro a questo, dall'altro una
rappresentazione, ossia un ontico che è riproduzione di un altro
finalisticamente tesa a far esistere l'ontità e i modi ontici del riprodotto
per quell'eterogeneo, di cui l'ontico riproducente è oggetto, e offrirgliene la
conoscenza, in quanto attitudine dell'eterogeneo a porre sé in rapporto col
riprodotto e in quanto liceità dell'eterogeneo a riprodurre a proprio libito il
riproducente per operare su di esso ogni modificazione a suo libito, essendo
ogni riproduzione l'identico perfetto della copia precedente; l'eterogeneità
materiale e formale della dialettica e dell'autocoscienza e l'illegittimità di
uno spostamento d'attenzione fra le due che le renda biffe di una dialettica e
con ciò le doti di una delle funzioni reciproche in cui due denotanti vengono
dialettizzate, dimostrano l'impossibilità di farle sia pure indirettamente
conclassari di una stessa classe a unica ragione, e l'apoditticità di una loro
qualsivoglia relazione di cogenerità che non sia quella dell'ontità in genere,
e di conseguenza pongono l'ininferibilità dell'autocoscienza dalla dialettica e
viceversa e quindi l'inessenzialità e accidentalità della prima rispetto alla
seconda e perciò rispetto alla comprensione materiale e formale
dell'intelligibile con la quale la dialettica coincide - il discorso è chiaro
solo alla superficie; anzitutto, se il determinismo della sfera intelligibile
di condizione umana è molto meno scisso da inarbitrarietà di quanto appaia,
avendo una catena dialettica la liceità di muovere da un solo e stesso
principio per procedere lungo catene che son diverse nella materia delle biffe
ma non nella funzione formale in cui ciascuna delle materialmente diverse si
pone con le altre dialettizzate con essa in quelle e in altre catene, e che
perciò sono sostituibili l'una all'altra per l'identità del principio e del
valore formale di ciascuna biffa, sicché c'è da chiedersi quanto di arbitrio
non entri di fatto in una dialettica, se lo stesso dubbio insorge dinanzi a uno
spettacolo di dialettiche che si coesionano in gruppi per la necessità che
connette le biffe di ciascun gruppo, ma i cui gruppi non sono affatto legati
l'un l'altro dalla stessa coesione perché la concentrazione d'attenzione pare
molto se non del tutto indeterminata, almeno dal punto di vista
dell'apoditticità del suo antecedente, nel suo muoversi da un intelligibile a
un altro assolutamente irrelato da questo e nel fare di ciascuno dei principi
di due catene o gruppi dialettici discontinui e con ciò reciprocamente
indeterminati, se il determinismo logico di condizione umana non è mai in sé,
ma per altro, nel senso che l'apoditticità di una catena dialettica è tale per
ciascuno dei suoi componenti, quando questo si dà perché le discontinuità e
quindi l'indeterminatezza di una biffa rispetto o all'antecedente o al
conseguente o a entrambi sono esperienze quotidiane che i nostri ragionamenti
ci offrono, qualsivoglia poi ne sia la causa, ma comunque non è mai tale nella
sua totalità sulla cui necessità nessuno può giurare, se il finalismo è
estraneo alle dialettiche di condizione umana in grado molto minore di quel che
si crede,
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perché è sempre lecito chiedersi da che cosa mai dipenda la
concentrazione d'attenzione sull'intelligibile fatto principio di una catena
dialettica e se sia mai rappresentabile siffatta concentrazione come totalmente
incondizionata da rappresentazioni precedenti e ricercanti come loro
complemento i risultati della dialettica che deve o si presume debba avere a
suo principio quel certo intelligibile, se quell'effetto della natura di
conoscenza acquisita da un intelligibile pel tramite della sua autocoscienza,
precisamente la sua riproducibilità, si dà con modi arbitrari, pei quali
ciascun riproducente è equazionabile o inequazionabile col riproducente di cui
è copia, ma solo fuori della sfera delle dialettiche intelligibili entro la
quale la riproduzione ha la liceità di lasciare inalterata la materia, ma non
la forma e le funzioni o rapporti formali della copia e del suo riproducente,
in quanto una dialettica sarà sempre riproducibile quando ogni suo
riproducente è biffa di un'altra
dialettica e in questa si connette a un altro intelligibile con una forma però
altra dalla sua copia e ogni biffa di una dialettica è sempre riproducibile ma
o con un intelligibile altro dalla biffa con cui era correlata o con la stessa
biffa alla condizione che le sue funzioni formali siano altre dalla precedente,
mentre la stessa dialettica non sarà mai riproducibile in equazione con se
stessa se non per funzioni che sono altre da quelle intelligibili e se non
quindi fuori della sfera intelligibile, se una delle conseguenze
dell'autocoscienza, la conoscenza di un ontico, pare molto meno incondizionata
dalla dialettica di quel che si pretende, giacché è evidente che tutto ciò o
buona parte di ciò che fa di un intelligibile una rappresentazione cognitiva
non ha ontità alcuna fuori dalle dialettiche che non tanto completano la
rappresentatività dell'intelligibile, quanto anzitutto sono principio della sua
pretesa di mettere il pensiero in grado di rapportarsi con un ontico secondo
rapporti che debbono tener conto degli attributi di intelligibilità di questo,
l'eterogeneità assoluta o inclassificabilità della dialettica e
dell'autocoscienza in una classe che sia altra da quella che ha a sua ragione
la mera ontità o se si vuole l'ontità di condizione umana, risulta tanto poco
argomentabile da lasciar adito a molti attributi comuni che son ragione di una
loro omogeneità; si tratterebbe allora di vedere se questa conclassificabilità
lascia sussistere l'inessenzialità loro; d'altra parte, la pretesa che siano
l'una l'altra inessenziali fa tutt'uno con la pretesa sia di una loro
ininferibilità reciproca, sia di un certo loro rapporto per dir così causale
per cui l'una sola di esse, l'autocoscienza, è assumibile a ragione dell'ontità
in genere dell'altra: ora, a parte il fatto dell'inintelligibilità di un
rapporto causale tra due inessenziali, se il rapporto di ragione, rispetto
all'ontità in genere, autocoscienza -dialettica coincide con lo spostamento
d'attenzione dall'autocoscienza in quanto denotante un intelligibile allo
spostamento d'attenzione che è dialettica da esso a una sua denotante, il quale,
dinanzi alla pretesa che la prima sia principio dell'esistere in generale del
secondo, rileva che siffatta pretesa è valida per l'ontità dell'autocoscienza
che denota il secondo, ma non per il secondo nella sua totalità, le ragioni
della cui ontità in genere stanno non nell'autocoscienza
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dell'intelligibile che è sua biffa diretta o indiretta, ma nella
concentrazione d'attenzione su di esso, se, entrando un intelligibile nelle
condizioni dialettiche che dirompono l'unità di cui gode quando sia con
inautocoscienza in una molteplicità articolata e disarticolabile di denotanti
eterogenee alla condizione che si dia con autocoscienza e insieme avendosi
autocoscienza di un intelligibile in quanto tale alla condizione che esso si dia
articolato e disarticolabile in forza
della dialettica di cui è biffa diretta o indiretta, è un po' difficile
riservare il rapporto di causalità a uno spostamento d'attenzione che vada
dall'autocoscienza alla dialettica e non estenderlo anche allo spostamento
inverso, se, essendo l'inferenza uno spostamento d'attenzione da intelligibile
ad intelligibile per il quale l'ontità apodittica del primo pone il pensiero
nella necessità di porre come apodittica quella del secondo in modo tale che il
pensiero debba rappresentare se stesso come costretto ad accogliere nelle sue
dialettiche il secondo dal fatto che ha accolto nelle stesse dialettiche il
primo, e se ciò si dà alla condizione però che le comprensioni dei due
intelligibili partecipino in uno o in
altro modo l'una dell'altra, a parte che si pone allora contraddittoria la
pretesa di un'ininferibilità reciproca di autocoscienza e dialettica con la
pretesa di almeno un loro rapporto di ragione a unica direzione, il pensiero
non è capace di accordare la discrezione assoluta delle comprensioni
dell'autocoscienza e della dialettica sotto cui per pretesa o per diritto
rapporta i due intelligibili quando sposta la sua attenzione dall'uno all'altro
con la necessità in cui si trova di pensare almeno uno dei due come ragione
dell'altro, soprattutto anche la nozione di condizione, ammesso che questa sia
un intelligibile e non un parzialmente ignorato assunto, ciononostante, ad
intelligibile, è insufficiente a legittimare e insieme a costituire questo
rapporto di ragione, perché delle due l'una o l'autocoscienza è mera condizione
della dialettica in quanto sovraggiungendosi all'ontità di un intelligibile
arricchisce questo della liceità di trasformare se ((sé??)) in una comprensione
articolata in denotanti che sono, assieme al tutto della comprensione, biffe di
dialettiche, con la conseguenza che l'intelligibile in genere è da ritenersi un
ontico la cui essenza ha due modi ontici secondo che o s'accompagna
all'autocoscienza o ne resta disgiunta, e in questo caso non si hanno ragione
di parecchi fenomeni di siffatto stato dialettico, la sua parzialità, la sua
mutevolezza, la molteplicità di certi suoi modi che dovrebbero essere un unico
e solo e non una pluralità, la sua simultaneità che non è quella spaziale,
fenomeni tutti che sono accidentali rispetto a una dialettica che sia veramente
coessenziale a un intelligibile, o l'autocoscienza ha il ruolo della condizione
in quanto, sovraggiungendosi a un intelligibile, gli dà la liceità di porsi a
termine di una concentrazione d'attenzione che è principio degli spostamenti
d'attenzione delle dialettiche conseguenti, e allora non solo diventa
illegittima la convertibilità di pensiero e di autocoscienza, non solo
l'autocoscienza si riduce a condizione indiretta della dialettica, ma neppure
ha più il diritto di pretendere a quel ruolo di unità fra il pensante e il
pensato che l'attributo di accidentalità gli garantisce, se, infine,
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