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all'oggettività come modo dell'autocoscienza in genere, che, quando si
tratti di un intelligibile, è l'eterogeneità autocosciente di un ontico che è
per altro da questo altro, e quindi l’eterogeneità autocosciente fra uno
spostamento d'attenzione da uno ad altro ontico, che sono autocoscienti per la
stessa eterogeneità autocosciente, e un ontico, il pensiero, che deve essere
diverso, tien dietro che il pensiero non debba consistere né in una
concentrazione di attenzione né nel conseguente spostamento d'attenzione i
quali starebbero tutti dalla parte dell'oggetto e lo costituirebbero, sicché
delle due l'una o la dialettica è di per sé uno spostamento d'attenzione per
concentrazione d'attenzione, e acquista il ruolo di riproduzione di quel
ch'essa è per il sovraggiungersi di un'autocoscienza che è il principio della
consapevolezza dell'eterogeneità dell'intelligibile in quanto dialettica dal
pensiero, e in questo caso l'intelligibile dovrebbe trarre da sé l'attenzione,
sicché si avrebbe l'assurdo che un atto, l'attenzione, che pare coessenziale
all'autocoscienza e quindi al pensiero, diverrebbe((ro??)) inessenziale e per
di più contrario ad essi, o la dialettica in quanto oggetto che è tale per
autocoscienza si manifesta eterogenea dal pensiero per il fatto che essa è il
termine passivo dell'attività dell'attenzione che è pensiero, e allora si
avrebbe ancora l'assurdo di dover diversificare come due ontici distinti quel
che è in realtà ((è??)) un unico ontico perché la dialettica conterrà sì dei
passivi rispetto all'attenzione, ma questi sono non la dialettica, ma le
ragioni delle sue validità e verità formali e materiali e insieme le biffe su
cui s'esercitano i giochi d'attenzione, senza i quali non c'è dialettica, se
dunque tutto ciò è, l'inessenzialità non ha il diritto di caratterizzare il
rapporto reciproco fra dialettica e autocoscienza e quindi di fondare
l'accidentalità di questa -; d) il confronto fra le dialettiche rileva la loro
diversità materiale e formale e insieme la diversità strutturale e funzionale
degli spostamenti d'attenzione con cui coincidono, ossia sottolinea che questo
spostamento d'attenzione è da un intelligibile a un altro come tra due
formalmente e funzionalmente diversi e insieme è esso stesso un intelligibile
che ha il diritto solo di farsi biffa di un altro spostamento alla condizione
di assumere in essa una e non altra forma e funzione, e che sotto questo punto
di vista non è posto in equazione con nessun altro spostamento d'attenzione,
neppure con se stesso, mentre ogni autocosienza che si dà con una dialettica è
sempre equazionabile con qualsiasi altra che si dia con altra dialettica;
infatti, essa costituisce certi modi ontici che si ripetono identici
qualsivoglia sia la dialettica che essi affettano; di qui, l'eterogeneità
irriducibile di dialettica ed autocoscienza, l'inessenzialità di questa
rispetto a quella e la sua accidentalità nei suoi confronti - l'argomento
varrebbe, se una qualsivoglia dialettica non offrisse una propria
intelligibilità distinta dalla materia e articolata su certe forme che si danno
identiche in tutte le dialettiche, lo spostamento d'attenzione, la particolare
simultaneità per autocoscienza delle due biffe, la reciproca funzionalità di
queste rilevata e generata dallo spostamento, il rapporto formale e materiale
di esse biffe in quanto apodittico e in quanto ragione necessaria della
necessità dello spostamento, la ripetibilità dello spostamento secondo le
modalità di una ripetizione
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che si dia in una sfera di dialettiche intelligibile, la sostituzione
nella ripetizione della funzione di biffa di un nuovo spostamento d'attenzione
alla funzione meramente dialettica che lo spostamento ha in sé e per sé e la
legittimità della ripetizione solo a questa condizione, l'autocoscienza dello
spostamento in sé in quanto spostamento e in quanto intelligibile;
l'inessenzialità reciproca della dialettica e dell'autocoscienza, una volta
eliso il suo fondamento della mutabilità costante e molteplicità irriducibile a
classe della prima e della unità e unicità e molteplicità per ripetizione di equazionabili
della seconda, dovrebbe ricondursi alla differenza reciproca di tutte le
denotanti delle due comprensioni; ma abbiam già visto che una dottrina che si
limiti ad esser descrizione dei fenomeni intelligibili assume l'autocoscienza
di un intelligibile come lo spostamento d'attenzione in atto che direttamente o
indirettamente lo coinvolge secondo una simultaneità delle due biffe estremi
dello spostamento, secondo una ripetizione dello spostamento, secondo un
rapporto fra il rapporto reciproco delle due biffe e lo spostamento che è da
principio a conseguenza per l'ontità e i modi ontici di questo e da conseguenza
a principio per l'ontità e i modi ontici della funzionalità reciproca di
quelle; che, se non è lecito parlare di un'identificazione delle due, neppure è
lecito parlare di una loro discrezione assoluta -; e) l'autocoscienza è un modo
che non è solo delle dialettiche, ma anche degli altri ontici che per questa
concomitanza son detti coscienti o psichici, intuizioni sensoriali, intenzioni
percettive, fenomeni della memoria, intuizioni estetiche, moti affettivi, ecc.;
l'impossibilità di identificare l'un l'altra nella forma, nella materia, nella
legislazione le varie classi di fenomeni, e l'identità dell'autocoscienza che
accompagna ciascun ontico, fonda l'inessenzialità dell'autocoscienza alla
natura dell'ontico e quindi l'accidentalità nei suoi confronti - l'argomento
sarebbe persuasivo, se di ciascuna classe fosse dato pensare un'essenza che si
rapportasse al pensiero, con cui deve necessariamente essere correlata una
volta che si faccia dell'autocoscienza un accidente in quanto ontico che non ha
la sua ragione né da ciò di cui è concomitante né da sé, secondo una relazione
di eterogeneità assoluta principio dell'illegittimità di una loro conclassificazione
per ragione altra dall'ontità in generale, e in più se fosse lecito porre
l'ontità della classe come incondizionata dall'autocoscienza sì che ciascun
conclassario sia un ontico indipendentemente e discretamente
dall'autocoscienza; ma quel che si è detto delle dialettiche che è lecito
rappresentarsi inautocoscienti o discrete da un'autocoscienza di condizione
umana, purché o siano concomitante di un'autocoscienza che diremo divina che le
fa altre da quelle di condizione umana, o non abbiano ontità per l'unità
indifferenziata e la irrelatezza degli intelligibili -specie infime che in esse
entrano mediata- o immediatamente come biffe, vale per tutti gli altri ontici
psichici la cui inautocoscienza o è la concomitante di una loro ontità altra da
quella che hanno se con autocoscienza di condizione umana o è addirittura
illegittima per l'impossibilità di porla fuori dal rapporto col pensiero per il
quale è; tutti gli ontici psichici ritraggono queso loro attributo non
semplicemente dalla modalità ontica che
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acquistano con l'autocoscienza, ma soprattutto da questo che debbon
esser pensate porzioni o prodotti del pensiero di condizione umana, divenendo
in tal modo l'essenza che è ragione della loro classe, coessenziale al pensiero,
sicché vien meno l'eterogeneità assoluta che l'autocoscienza dovrebbe rilevare
e l'eterogeneità posta dall'autocoscienza dovrebbe ridursi alla distinzione o
fra il rappresentante e il rappresentato o fra l'attivo e il passivo o fra ciò
che è in sé e questo stesso "ciò" in quanto riflettentesi su di sé al
fine di prender contatto con sé e di instaurare un rapporto fra sé e sé o fra
ciò che è in sé con sé e per sé e ciò che è in altro con altro e per altro; ma
le aporie che viziano ciascuno di questi rapporti eterogenei tolgono verità e
validità formali alle dialettiche con cui coincidono e le privano di
intelligibilità: il rapporto rappresentante-rappresentato dovrebbe essere da un
ontico che è esclusivo tendere ad assumere qualcosa in un rapporto tale con sé
stesso che l'ontità e i modi ontici dell'assunto siano in sé e per sé e insieme
in altro e per altro, a un ontico che è esclusivo porsi della sua ontità e dei
suoi modi ontici in altro e per altro senza che questa sua modalità si
differenzi formalmente e materialmente in nulla dall'in sé e per sé della sua
ontità e dei suoi modi ontici, il qual rapporto sarebbe intelligibilmente
legittimo se il primo estremo sussistesse senza l'apodittico suo sdoppiarsi a
sua volta in un rappresentante e in un rappresentato in mutuo rapporto identico
a quello in cui entra, senza cioè la necessità per il pensante di avere
autocoscienza di sé come rappresentante, il che porta da un lato alla scomparsa
di un'eterogeneità assoluta dei due anche sotto questo punto, dall'altro a un
processo all'infinito perché il rapporto da pensiero a pensiero come da
rappresentante in genere a rappresentato in genere presuppone analogo
sdoppiamento della prima biffa in un rapporto fra un rappresentante e il
rappresentante in generale in quanto rappresentazione o rappresentato del
rappresentante in genere, cioè fra questo e quel suo correlato che è il
rappresentante che sarà a sua volta rapporto fra un rappresentante e il
rappresentato di ciò che si rappresenta il rappresentante un rappresentante in
generale, e così via, e se il secondo estremo non dovesse a sua volta
conservarsi autocosciente anche nel suo entrare in rapporto, in quanto
rappresentato, col rappresentante, ossia mantenere un'autocoscienza di sé sia
nella sua materia-forma sia nella sua funzione di rappresentato, il che pure
elide l'eterogeneità sua dal rappresentante e porta a un processo all'infinito;
lo stesso discorso vale anche per il rapporto fra attività e passività di cui
sarebbe segno e principio l'autocoscienza, nel quale la biffa dell'attività è
tale alla condizione di albergare in sé della passività e precisamente quel
tanto di passivo che è dato sia dall'identità materiale che è fra essa e la
biffa della passività sia dal fatto che quelle qualsivogliano modificazioni che
l'attività esercita sul passivo e di cui l'autocoscienza del passivo è segno,
sono alla condizione che l'attività si faccia essa stessa con autocoscienza e
quindi eserciti su di sé le stesse modificazioni, donde il processo
all'infinito che investe anche da questo punto di vista l'estremo
dell'attività, e nel quale la biffa della passività conserva queste sue
funzioni
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