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alla condizione di albergare in sé dell'attività e precisamente quella per
cui partecipa essenzialmente del suo correlato attivo e quella per la quale non
si fa oggetto di modificazioni da parte di questo, se non si mantiene
autocosciente e quindi in unità inscindibile con il segno delle modificazioni
stesse, il qual modo di guardare all'estremo passivo è principio anche per esso
di un processo all'infinito; l'autocoscienza come riflessione del pensiero su
di sé, a parte che diviene intelligibile alla condizione che sia presupposta
un'ontità del pensiero totale e una particolare modalità di esso a illuminare
se stesso in qualche sua zona secondo la visione spazializzata alla Leibniz, a
parte cioè che non ha senso se non si distingue un pensiero come ontico
inautoconsapevole e un pensiero come ontico autocosciente in rapporto reciproco
di tutto a parte, secondo una distinzione che da un lato si fonda
sull'accidentalità dell'autocoscienza con la contraddizione di fare di questa
un essenziale del pensiero che è al tempo stesso un accidentale e di porla come
qualcosa che deve coincidere con il tutto del pensiero del pensiero stesso e
insieme come qualcosa che è soggetta a diciamo così graduazioni quantitative,
dall'altro deve triplicare le modalità dell'ontità psichica in genere
affiancando alla materia del pensiero in quanto inerte, una materia del
pensiero che si fa attiva su di sé e un principio di questa attività che non è
lecito sia dal pensiero, ma dev'essere da altro che a sua volta non è lecito
che sia altro dal pensiero, fa appello ad ontici la cui ontità non si ha il
diritto di ammettere se si parte dall'intuizione immediata per autocoscienza di
un ontico psichico, ossia dal dato di fatto e di diritto che l'autocoscienza
pone da un lato l'ontico psichico dall'altro la liceità che questo sia
immediatamente intuito, e che le due posizioni fan tutt'uno fra loro e con la
legittima ontità del dato psichico stesso, in quanto deve presupporre una
preesistenza dell'ontico psichico all'atto della riflessione che su di esso
opera il pensiero e deve fondarsi sulla differenza fra ontico psichico
autocosciente e ontico psichico inautocosciente, della cui ontità non si ha il
diritto di parlare, almeno partendo dalle ragioni necessarie dell'ontità di uno
psichico in generale; che se si vuole che l'atto di riflessione su di sé del
pensiero faccia tutt'uno coll'ontità di quel pensiero che si riflette su di sé
e di quel pensiero che accoglie la riflessione, sicché verrebbero meno la
distinzione fra il tutto riflettente e la parte di questo su cui la riflessione
è esercita((ta??)) e insieme la contraddizione di una preesistenza
inintelligibile dal((del??)) tutto e di un'autocoscienza essenziale e insieme
accidentale al pensiero, delle due l'una o si nega una qualsivoglia diacronia
fra pensiero riflettente e pensiero oggetto della riflessione, e in questo caso
la distinzione fra i due e la funzione dell'autocoscienza come distinta dal
pensiero sfumano diventando l'autocoscienza non un essenza che è altra
dall'ontico cui s'accompagna e coincidendo con questo, o ci si ostina a far di
questa qualcosa d'altro e di sovraggiunto all'ontico che attraverso essa resta
quel che è in sé e in più diventa autocosciente, e allora non si vede come una
distinzione diacronica non debba darsi fra l'ontico psichico da per sé e
l'ontico psichico autocosciente onde il secondo sia la riflessione su di sé
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