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quando Schopenauer, dopo aver definito l'ontico autocosciente una
rappresentazione, e con ciò uno spostamento d'attenzione intuitivo fra quel
complesso autocosciente che è il rappresentante e quel complesso che è il
rappresentato, trova il modo di parlare di una trascendentalità del soggetto e
di giustificarla con la dotazione di certi apriori fra cui è quello stesso
rapporto causale che fa del rappresentato un oggetto che non è più per un
soggetto ma è un in sé causatore, non fa altro che arrogarsi il diritto di
isolare in seno al rappresentante una porzione di comprensione la cui
intelligibilità, frutto di dialettiche che s'instaurano in seno all'unità della
comprensione della porzione, garantisce la sua pensabilità autonoma da quella
del rappresentato e di procedere nello stesso modo nei confronti di questo, che
è idea e fenomenicità di idea e quindi intelligibilità di per sé e in sé; e con
ciò riconduce l'impensabilità del soggetto senza un oggetto e dell'oggetto
senza un soggetto alla liceità dell'autocoscienza di una loro almeno parziale
ontità e modalità ontica come fondamento necessario all'illiceità di una loro
irrelazione assoluta, che se poi equaziona l'intellezione assoluta del soggetto
e dell'oggetto a una sorta di alterazione snaturante imposta ai due
intelligibili dall'indebita e illegittima astrazione su di essa operata dal
pensante stesso, evita il pericolo di rendere non solo inintelligibile ma anche
inintuibile la dialettica insuperabile dal primo al secondo e dal secondo al
primo, e quindi di privare di fondamento logico ed ontico la sua descrizione
dell'autocosciente con l'inferenza di ciascuno dei due intelligibili o intuiti
da un ontico primo assoluto che non è rappresentazione ma è principio di tutte
le rappresentazioni e quindi della distinguibilità di diritto del
rappresentante e del rappresentato per
la distinzione di fatto dell'idea dell'uno dall'idea dell'altro; ma tutto ciò è
metafisica e l'appello alla metafisica rileva l'aporia o circolo vizioso in cui
la riduzione dell'autocosciente a uno spostamento d'attenzione fra i poli
indisgiungibili della sua unità si dibatte quando si pretenda di farne un dato
immediato o intuito, da un lato cioè la necessità che tale spostamento ha di
darsi una ragione non tanto della sua necessità quanto della sua ontità in una
distinzione di fatto dei poli la quale a sua volta rimanda all'intelligibilità
loro in quanto assoluti e quindi a una loro distinzione almeno parziale di
diritto come a ragione, dall'altro la necessità cui soggiacciono
l'intelligibilità di ciascuno dei due polarizzati in quanto incondizionato in
sé e intelligibilmente indipendente dall'altro e la distinzione di fatto che ne
deriva di ciascuno dei due complessi intuiti di rifarsi come a loro ragione
allo spostamento d'attenzione che di fatto si dà dal primo al secondo e dal
secondo al primo; che se si confuta il circolo vizioso sulla base del fatto che
il dato di fatto dell'ontico autocosciente con la dualità inscindibile dei
complessi che lo compongono e con lo spostamento d'attenzione fra i due che lo
accompagna è un immediatamente intuito, al pari di tutti i dati di fatto
pervasi di causalità nei quali, come ad esempio nell'aggregato intuito di un
fenomeno di repulsione che si dà autocosciente e che fonda l'unità dell'oggetto
assaporato con la lingua assaporante, sono simultaneamente intuiti
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l'unità inscindibile del tutto e la sua inscindibile composizione nel
complesso causatore e nel complesso causato, il contatto oggetto-lingua e la
repulsione che sono due complessi sensoriali, e sulla base del dato di fatto
che in siffatte intuizioni lo spostamento d'attenzione è intuito e insieme
oggetto ((affetto??)) di necessità indipendentemente da concentrazioni
d'attenzione sul dato che lo scompongono in una dualità di intelligibili in sé
e in un rapporto reciproco non disarticolabile e insieme intelligibile e che
facciano di sé e della scomposizione il principio logico e diacronico dello
spostamento in quanto intuito, si ha il diritto di rispondere che in primo
luogo una siffatta intuizione che è di un dato di fatto e di uno spostamento
immediato d'attenzione fra i due suoi componenti non disarticolabile, è tale
quando è effettivamente data con autocoscienza nella sua natura di intuito, il
che non pare sia lecito attribuire all'unità articolata dell'ontico
autocosciente come quella che è stata per dir così scoperta nel suo aspetto di
ontico con cui è simultaneo lo spostamento d'attenzione fra i suoi due
complessi componenti millenni dopo che di un ontico autocosciente immediato si
è avuta l'intuizione e come quella di cui tutt'al più si è sempre avuta
l'intuizione come di un rapporto contingente e disarticolabile fra un ontico in
sé, il pensiero, e un ontico in sé, l'intuito autocosciente, e quindi come di
uno spostamento d'attenzione in forza di una connessione reciproca che non è di
condizionamento reciproco rispetto alle due ontità e ai due modi ontici, ma
tutt'al più è, rispetto a questi, di condizionamento del primo sul secondo, in
secondo luogo che l'intuizione non è mai lasciata dal pensiero umano nel suo
stato brado originario ma vien sempre elaborata, attraverso una concentrazione
d'attenzione, e per dir così sdoppiata nell'intelligibilità del rapporto,
fondata sull'intelligibilità e discontinuità dei rapportati, e quindi
nell'intellezione del condizionamento reciproco dei rapportati in quanto tali,
e nell'intuizione originaria, sdoppiamento che fonda la verità e validità
materiali di questa sulla sua intelligibilità, il che avviene per qualsiasi
dato di fatto intuito in simultaneità con lo spostamento d'attenzione di tipo
causale, ma che le aporie di cui sopra non concedono per il dato di fatto che è
l'ontico autocosciente; resta ancora da considerare quell'attributo di
inautocoscienza che dev'esser proprio di ontici, pei quali l'autocoscienza è un
accidentale, quando la loro essenza non è arricchita da questo accidente; per
tutti gli ontici autocoscienti che sono sensazioni o percezioni esterne una
loro inautocoscienza pare abbastanza legittima, quando la loro ontità in
siffatto stato sia dotata di certi attributi che non sono contraddittori alla
loro essenza; ma le cose non stanno così per quegli ontici la cui autocoscienza
è concomitante con la loro predicabilità con coessenzialità e coesistenza con
l'ontico che sarebbe principio dell'autocoscienza, ossia in parole povere con
gli ontici psichici che son tali non per l'autocoscienza ma per la loro
essenza; già si è detto dell'aporia che farebbe di essi dei coessenziali a un
ontico, la cui essenza prima è l'autocoscienza, atti a conservare questa loro
coessenzialità fuori dalla partecipazione all'ontico che è pienamente
((primamente??)) coessenziale all'ontico della cui essenza partecipano,
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, sicché dovrebbero essere parti di un frutto senza partecipare se non
in parte alla natura di questo tutto, la quale aporia sarebbe superabile se
fosse lecito fare dell'autocoscienza un accidentale dello stesso pensiero, un
sovraggiunto ad essa da altro che sarebbe pur sempre pensiero ma che avrebbe
l'autocoscienza come sua essenza, il che fa appunto Leibniz; ma anche qui le aporie
non scompaiono del tutto, perché, a parte che il termine pensiero sarebbe
ambiguo e dovrebbe venir supposto da due ontici eterogenei, si dovrebbe pure
andare a cercare qualcosa di comune e di coessenziale ai due che sarebbe
ragione di quella contemplazione cui i due partecipano, e non si vede dove si
dovrebbe trovarlo se non nella loro attitudine a far di qualcosa che fa
tutt'uno con essi un oggetto di contemplazione e quindi nella loro attitudine a
investirlo di un'autocoscienza che da un lato dovrebbe far tutt'uno con essi e
dall'altro dovrebbero sovraggiungersi ad essi, con la conseguenza che o si fa
dell'autocoscienza un potenziale, la potenza o capacità del pensiero ad essere
quello che è, e in questo caso l'unicità del pensiero che è tutto autocoscienza
in atto non sarebbe primo ontico sufficiente a render ragione dei modi ontici
dell'ontità universale, o si riducono i pensieri ad autocoscienza contingente
ad ontici che sono autocoscienti del pensiero ad autocoscienza essenziale e
sono per dir così coessenziali alla sua ontità dalla coessenzialità con la
quale ritraggono la loro ontità e quel loro modo di autocoscienza accidentale e
parziale, e, allora, se si giustificano questi per la loro conseguenza da un
principio che è ragione di entrambi, si moltiplicano le aporie, perché i
pensieri ad autocoscienza accidentale dovrebbero essere in sé con sé per sé e
insieme sono per altro con altro in altro, perché gli stessi pensieri
dovrebbero intuirsi come in sé per sé da sé e insieme non potrebbero intuirsi
se non in altro con altro e per altro, perché il pensiero ad autocoscienza
essenziale e totale dovrebbe coincidere con l'autocoscienza di sé come pensiero
ad autocoscienza essenziale e totale e insieme dovrebbe coincidere con
l'autocoscienza di tanti sé che non sono tali ma sono ad autocoscienza derivata
e parziale, quanti sono i gradi di autocoscienza che un pensiero ad
autocoscienza accidentale e parziale tocca, perché il pensiero ad autocoscienza
essenziale e totale dovrebbe negare ontità a qualunque ontico altro da esso e
insieme dovrebbe attingere da un ontico altro da esso la ragione di quelle
tante immagini autocoscienti che di sé si dà, che sono i pensieri di gradualità
diversa nella loro autocoscienza accidentale e parziale e che non essendo in grado
di negare a sé, sia pure in quanto rappresentati di un rappresentante, la
liceità di un'autocoscienza essenziale e totale dovrebbero giustificare
l'illiceità di fatto di questo con l'azione di una causa che non è il pensiero
primo ontico costretto com'è a pensare solo se stesso, cioè a darsi
autocoscienza di autocoscienti dotati di autocoscienza essenziale e totale, ed
escluso com'è dalla liceità di pensare qualcosa d'altro; ma si escluda l'ontità
di un pensiero cui sia coessenziale l'autocoscienza e si limiti l'ontità ad
ontici la cui essenza è inautocosciente, ma non dell'inautocoscienza di un
mondo esterno i cui ontici componenti si arricchiscono or sì or no
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