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consistente nel non di ciò che
è con autocoscienza, in terzo luogo non è lecito fare dell'autocoscienza una
mera per così dire presa di contatto con l'inautocosciente, sia perché si deve
reintrodurre surrettiziamente un pensiero ad autocoscienza coessenziale per il
quale l'autocoscienza coincida con la sua presa sull'autocosciente, sia perché
o siffatta presa lascia inalterata l'essenza materiale e formale
dell'inautocosciente, il che impone che il pensiero con autocoscienza
coessenziale faccia tutt'uno con quello ad inautocoscienza essenziale con
conseguente elisione dell'eterogeneità delle due sfere e conseguente inintelligibilità
della duplicazone o, se si vuole che la sfera dell'autocosciente essenziale non
differisca in nulla da quella dell'inautocosciente essenziale, di un' analoga
duplicazione, o modifica lo stato formale dell'ontico inautocosciente e con
ciò, se lascia immodificata la distinzione o dei due pensieri o delle due sfere
e quindi l'intelligibilità della loro dualità, priva se stessa della pretesa di
riprodurre fedelmente ciò su cui ha fatto presa e si pone nell'obbligo di trovare e legittimare i modi dell'inferenza
dello stato formale eterogeneo dal proprio o è investimento dell'ontico
inautocosciente di una materia o di un forma totalmente eterogenea e con ciò,
se concede la dualità di fatto e di diritto di due eterogenei psichici, fa di
sé una traduzione di altro in differente linguaggio e aggrava il problema di
trovare e legittimare metodi ((??mentali??)) per risalire dal proprio al
linguaggio del tradotto; o del modo ontico con inautocoscienza si fa un
materialmente identico a quello con autocoscienza, e allora in primo luogo, si
salvaguarda l'accidentalità della coscienza, ma non si offre ragione del
duplice modo di esistere d'un unico, in secondo luogo si rende di fatto
inintelligibile l'ontità dell'inautocosciente il quale da un lato ha come materia
dei modi che debbono sussistere in sé alla condizione di non patire nessuna
riproduzione che sia loro ripetizione perfettamente equivalente tranne nel
fatto che li svincola per dir così dai rapporti immediati in cui giacciono
cogli ontici loro cogeneri per inautocoscienza, e che insieme non sussistono in
sé se non alla condizione che si diano immediatamente in sé e nei rapporti coi
loro cogeneri e insieme sia riproducibile((??sian riproducibili??)) in ontici
equivalenti altri però sia per l'affievolimento della loro tonalità
esistenziale sia per la loro attitudine a farsi termini di concentrazione
d'attenzione sia per la mediatezza caratterizzante i loro rapporti coi cogeneri
per ciascuno dei quali si dà la medesima contraddizione (per chiarirmi, intendo
dire che, se l'ira, ad esempio, dev'essere posta come inautocosciente onde
accidentale si faccia l'autocoscienza che l'accompagna, se fra le due ire non
c'è altra differenza che l'aggiunta dell'autocoscienza che non tocca l'essenza
né dell'una né dell'altra, l'ira inautocosciente dev'essere pensata come un
ontico semplice o complesso che in quanto inautocosciente non è ripetibile nei
modi dell'autocoscienza e si connette ai concomitanti inautocoscienti in
rapporti immediati pure irripetibili, ma in quanto ontico psichico non è
pensabile se non come ripetibile in un ontico che gli equivale, cioè si
disequaziona da esso pur conservando con esso una certa eguaglianza per una
diminuzione di vigore, per un'attitudine a farsi oggetto di concentrazione
d'attenzione,
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per un trasporto dei rapporti che lo connettono ai concomitanti dallo
stato di immediatezza a quello di mediatezza, i quali appunti son caratteri
dell'autocoscienza); in altri termini, non è lecito al pensiero umano rappresentarsi
uno psichico se non come autocosciente;
che se, per la pretesa di predicare all'autocoscienza l'accidentalità, è
necessario porre come inautocosciente lo psichico, l'ontità e i modi ontici di
questo devono essere pensati come inautocoscienti per presupposto e insieme
come autocoscienti in quanto psichici -; la distinzione per inessenzialità
reciproca della dialettica e dell'autocoscienza è lecito sia fondata sulla
contingenza di quest'ultima, quando a questo predicato si tolga la comprensione
di conseguente da un principio che è altro dall'essenza della dialettica e che
non sarebbe se non il pensiero come ontico in sé che trasferendo il suo
essenziale dell'autocoscienza alla dialettica ne fa ciò che diventa un ontico
arricchito di autocoscienza, ossia una rappresentazione, perché con questa
comprensione contingenza e accidentalità fanno tutt'uno; il concetto di
contingenza è ambiguo: da un lato indica il modo ontico di un ontico che non è
necessario nella sua ontità e nei suoi modi ontici, in quanto tale, il modo
cioè che s'identifica con la liceità di cui gode un ontico nella sua ontità e
nei suoi modi ontici e per la quale questa è fuori da qualsivoglia rapporto di
ragione con l'ontità di un altro ontico o dello stesso ontico, sicché essa è un
ontico che sfugge al principio di ragione o per il quale un pensiero di
condizione umana si dà il diritto di privarsi del diritto di porla a
conseguenza di una ragione costituita da un'altra ontità che è o di un altro
ontico pensando il quale in quanto apodittico si deve pensare o immediatamente
o pel medio di altri ontici tale ontità o dello stesso ontico pensando il quale
si deve pensare apoditticamente la sua stessa ontità, mentre quelli mai si
pongono come estremi di una dialettica che li connetta come conseguenti
apodittici a una ragione apodittica che o fa tutt'uno con la loro materia o è
la materia di altri ontici; comunemente si dice di tale contingenza che è
l'attributo di ciò che è e può non essere, di ciò che è in un modo e può essere
in altro; ma da un lato l'ambiguità di quel verbo potere, che non si sa se
fondi la liceità che vuol esprimere sul fatto che al suo soggetto è
simultaneamente da predicarsi l'essere e il non essere o sul fatto che il suo
soggetto si pretenda tale da albergare in sé siffatta liceità il che non
sarebbe senza una qualche necessità del soggetto stesso, induce a respingerla,
dall'altro la sua analisi rivela che l'ontità dell'ontico e la possibilità o
liceità di essa a non essere un ontico e i modi ontici contingenti e la loro possibilità
o liceità a non essere né ontici né gli ontici che sono, non stanno tanto nel
diritto che il pensiero ha di predicare loro l'ontità e insieme di negargliela
come quelli che diacronicamente hanno e non hanno o non hanno e hanno ontità
senza che si dia ragione necessaria di questa successione, quanto nel fatto che
il pensiero di condizione umana non ritrova né nell'ontità e nei modi ontici
del contingente né nell'ontità e nei modi ontici di ontici altri dal
contingente nessuna denotante intelligibile che faccia o degli uni o degli
altri l'estremo di uno spostamento d'attenzione da essi al contingente che
faccia sua falsariga
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