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: o quel tale nesso fenomenico è ripetuto più volte nell'intuizione o è
dato una volta sola; nel primo caso inferisce l'attributo della sua ripetizione
dal fatto che i nessi fenomenici affermati ripetuti, ad esempio lo scoppio
della miscela in un cilindro a combustione interna per l'accendersi di una
scintilla, son posti in un'equivalenza la quale va debitrice di quel tanto di
identità che la definisce non solo alla mera intelligibilità dei singoli
equivalenti, la cui classe allora non sarebbe quella degli scoppi di miscela in
ciò che han di intelligibili ma quella dell'intelligibilità in genere per
causalità in genere sicché sarebbero conclassari dei fenomeni di caduta, dei
fenomeni di riscaldamento per attrito, dei fenomeni di moto per combustione
esterna, in una parola di tutti i fenomeni per causalità in generale, ma anche
a quel tanto di identico che si dà negli intuiti fenomenici in sé, identico che
aggiunto all'identico dell'intelligibile è ragione della classe degli scoppi di
miscela gassosa per scintilla; che se questo identico vuol essere ridotto
all'intelligibilità del rapporto sostanziale fra gli intuiti del fenomeno
scintilla e gli intuiti del fenomeno deflagrazione dei gas della miscela, il
discorso non cambia, perché anche in questo caso la ripetizione con
intelligibilità dei due rapporti sostanziali fonda l'equivalenza dei ripetuti
sia sull'intelligibilità del rapporto sostanziale costante e immutabile sia
sull'identità di almeno alcuni degli intuiti ripetuti, in quanto togliendo
questa identità la classe delle scintille non resterà tale, ma sarà sostituita
dalla classe delle sostanze in generale, la quale, tra l'altro, al pari della
classe generica dei rapporti causali, o fa tutt'uno con la rispettiva nozione
generica e non è classe o è classe e allora non si vede come possa costituirsi
per aggregazione senza che ciascuno di suoi conclassari sia a sua volta ragione
della classe o classe della classe dei conclassari che sono equivalenti per
l'immanenza in ciascuna della nozione che è ragione della loro classe; che se
invece l'identità di quelle porzioni di fenomeni intuiti vuole avere a sua
ragione l'identità del rapporto che lega questi agli intuiti concomitanti e
simultanei che accompagnano il rapporto intelligibile da cui i primi sono
affetti ma restano al di fuori di esso, qualsivoglia sia questo rapporto che è
ragione di quella tale identità, sia esso o matematico o fisico, dovrà essere
esso stesso un permanente per necessità e cioè un intelligibile, per il quale
dovrà ripetersi quanto già detto che la sua ripetizione identica non è
sufficiente a fondare l'equivalenza dei rapportati da esso senza una frazione
di identico che si dia in ciascuno di questi; che se l'equivalenza dei fenomeni
intelligibili e ripetuti vuole avere a sua ragione solo la costanza e
immutabilità dell'intelligibile che vi immane, si chiede come, a parte il fatto
che nell'equivalenza di due rapporti delle due l'una o il pensiero di
condizione umana esclude i rapportati e in questo caso si dà l'immagine di un
solo ontico dotandolo degli attributi di riprodursi in tante immagini ciascuna
delle quali è incondizionatamente sostituibile all'altra omogenea o coinvolge i
rapportati e in questo caso è tenuto a
rifarsi ai rapportati stessi in una certa indipendenza dal rapporto per
ritrovare in ciascuno qualcosa di identico rispetto a qualcosa che si dà nel
ripetuto,.
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sia dato parlare di questa equivalenza senza rifarsi a qualcosa che si
dia equivalente negli stessi rapportati e senza correre con ciò il rischio di
procedere a classificazioni o se si vuole a riduzioni a intelligibili degli
intuiti fenomenici che son molto più ampie e generiche di quelle di cui di
fatto si vale la nostra dialettica; è lecito, è vero, ridurre quel che noi
abbiamo affermato parzialmente identico negli intuiti intelligibilmente
rapportati a mere somiglianze, affatto relative e quindi tali che la loro
ontità e il loro modo ontico il pensiero di condizione umana non ha nessun
diritto di predicare come degli in sé che sotto nessun punto di vista sono se
non per esso stesso pensiero, è lecito cioè affermare che l'identità delle
porzioni dei fenomenici intuiti causalmente connessi in più scoppi di miscele gassose
per scintille è di fatto una più classi di conclassari fenomenici la ragione
della cui aggregazione non è intelligibile, essendo o una varietà di cosiddette
sfumature di un solo cosiddetto colore, o una varietà sola di cosiddetta
tonalità di un solo cosiddetto odore, ecc.: ma si chiede anzitutto di privare
il pensiero dell'operazione di fatto di conclassificare sensazioni per altra
ragione che non sia o quella di una omogeneità di loro vari modi ontici entro
l'unicità dell'origine o del modo ontico del sensorio con cui sono relazionati
o addirittura quella della loro unicità in forza del sensorio con cui entrano
in rapporto, di qualsiasi tipo sia questo, e di qui si procede a chiedere quale
identità abbia questa privazione con i fenomeni di fatto del pensiero e,
ammesso e non concesso che siffatta privazione fosse il modo ontico di fatto
secondo cui si danno i fenomeni in un pensiero di condizione umana quali
dialettiche sarebbero di diritto e di fatto in esso che non fossero se non
spostamenti d'attenzione da intelligibili a intelligibili che non fossero se
non categorie ossia ragioni unicamente della suprema e irriducibile
intelligibilità che è lecito pensare in sé e immanente in un fenomenico che non
sarebbe se non la classe degli intuiti in generale in quanto intuiti secondo i
modi della sensorialità, si chiede in secondo luogo di interpretare siffatte
classi di intuiti sensoriali come aggregati che hanno la ragione o nella comune
relazione con l'unicità del sensorio o nella partecipazione che, fermo restando
siffatta unicità, pare instaurarsi in ciascuno con quel particolare modo ontico
che è chiamato sfumatura o tonalità o qualcos'altro di sinonimico, e insieme
come aggregati dei quali la comunanza o partecipazione della ragione è una mera
somiglianza, ossia un modo che non ha il diritto di essere ridotto ad identità
in quanto mai in nessuno dei conclassari si dà l'immanenza di un siffatto
identico, e si procede a chiedere sia come debba interpretare lo stesso
pensiero di condizione umana siffatta somiglianza, se come un modo che non ha
nessun diritto di esser ragione di classificazioni, nel qual caso porta se
stesso nello stato di cui sopra di ridurre le sue dialettiche a spostamenti di
ragione tra categorie, oppure se come un modo ontico che non è stato sottoposto
ancora a concentrazione d'attenzione e quindi ad analisi al fine di ritrovarvi
quel qualcosa che è principio del suo trattamento a ragione di una classe,
concentrazione d'attenzione il cui sfocio non sarebbe se non o la negazione
dell'attributo di"somigliante"
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di qualsiasi portata che non sia meramente relativa, e la conseguente
negazione di qualsiasi dialettica che non fosse da intelligibile categoriale a
intelligibile categoriale, o l'affermazione dell'immanenza in esso di una
componente parziale di identità la quale, o isolabile assolutamente e erigibile
a ontico autocosciente in sé o priva di siffatto modo di fatto, ma non di
diritto, scinde quanto sia affetto di somiglianza con altro in due porzioni
l'una delle quali equazionata o equazionabile con qualcosa dell'altro, l'altra
eterogenea di fatto e di diritto o eterogenea solo di fatto ma non di diritto
da qualcosa dell'altra, e con ciò, mentre distingue un somigliante che è
relativo o per il pensiero di condizione umana e insieme non è in sé perché il
pensiero di condizione umana ha la liceità di escluderlo da sé, da un
somigliante che è relativo e in sé come quello che è nel pensiero umano senza
che a questo sia lecito escluderlo da sé, fonda la legittimità, sia pure
relativa al pensiero umano, di classificare gli intuiti in classi che sono
intelligibili di fatto e di diritto o solo di fatto, ma non di diritto, per
l'irrappresentabilità della ragione che fonda il diritto ma non per l'assenza
della sua ontità, e di spostare l'attenzione secondo dialettiche che non
limitano le loro biffe alle mere categorie, e in terzo luogo si chiede come
debba esser pensato l'ontico in sé, quello che è fuori del pensiero di
condizione umana, quando lo si privi di quella qualsivoglia identità dei suoi
componenti che è correlato simmetrico di quel tanto di identità di fatto e di
diritto o solo di fatto sulla cui base il pensiero di condizione umana
classifica le sensazioni in classi indipendentemente dai rapporti matematici o categoriali,
se per caso ciò ((??cioè??)) siffatto ontico non si riduca o a una mera
giustapposizione di rapporti intelligibili, il che è quanto succede a Kant, o a
un aggregato di parti la cui intelligibilità sta tutta nell'indefinita
ripetizione di tali rapporti matematici o categoriali che l'informano e li
raggruppano in classi assolute che non ((??)) rispetto alle parti non son
mediate da alcun’ altra classe, a un aggregato di parti assolutamente omogenee
entro cui intelligibili matematici e categoriali calano ad arbitrio generando
un ordine che fa della natura una ripetizione di strutture generalissime;
quando Platone parla di una partecipazione o imitazione, che è da sé o da
altro, del fenomenico all'ideale, se pretende stabilire l'eterogeneità dei due,
non intende limitare l'equivalenza del primo al secondo a un'identità dei
rapporti di quello coi rapporti di questo e a una eterogeneità di un rapporto
di questo che è ripetuto più volte in simultaneità ((a??))che ora c'è ora non
c'è per poi tornare ad essere dal rapporto di questo che gli è identico nella
forma ma che è uno e non ripete mai se stesso in tanti omogenei simultanei e
che c'è sempre, ma vuole che sia lecito parlare di una ripetizione in
simultaneità di uno stesso rapporto in forza di una ripetizione in simultaneità
numericamente identica di rapportati naturali che sono l'un l'altro
relazionabili come equivalenti non solo per l'identità dei rapporti cui di
volta in volta partecipano ma anche per quel qualcosa che li accomuna quando
son confrontati l'un l'altro fuori di siffatti rapporti: i milioni di uomini
che partecipano all'ideale
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