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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 239-40
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[pag 293 (239 F4 /240 F1)]

si deve osservare che nel complesso degli intuiti, le cui quantificazioni si fan biffe di uno spostamento d'attenzione la cui intelligibilità è la dialettica di un giudizio categorico a intelligibili quantitativi problematici o variabili, un intuito o gruppo di intuiti, che sia di diritto termine primo dell'applicazione d'attenzione, deve costituire, con gli altri la rapportazione delle cui quantificazioni è pensata equivalmente alla sua, un'unità tale per cui esso si pone come il tutto sintetico di cui gli altri due sono porzioni unificate indissolubilmente e disarticolabili dal loro tutto e dalla loro correlata solo per la disarticolazione che l'attenzione vi opera, con la conseguenza che deve essere illecito alla stessa attenzione portarsi su una porzione e ritrovarvi una natura tale da consentire all'attenzione stessa di trattarla come un'unità, disarticolabile in due porzioni, e quindi omogenea sotto questo punto di vista al primo intuito, la cui disarticolazione però fa sua porzione componente quell'uno che prima la comprendeva come porzione: se questo si desse, dovrebbe essere lecito pensare che un tutto di parti sia insieme parte di una sua parte e che questa sia insieme tutto della parte di cui è parte e delle parti con cui costituisce il tutto di un sua parte; è vero che ciò che si elabora nell'intuito non sono le intuizioni autocoscienti ma la quantificazione di esse o di qualcosa di esse, ma è altrettanto vero che una quantificazione fa sempre tutt'uno con ciò che essa quantifica e che la sostituzione ad un quantificato di una sua quantificazione non consente di attribuire a questa modi che l'altro esclude quasi che i due avessero essenze ossia modi ontici legittimi differenti l'uno dell'altro; perciò l'assurdo cui conduce il primato in sé di un intuito sia pur quantificato che è primo rispetto ad altri intuiti quantificati perché ne comprende in sé ossia nella sua quantificazione le quantificazioni in quanto rapportate in un certo modo e insieme è un quantificato che in un certo rapporto con uno degli altri due è compreso come parte da quella quantificazione che è sua parte, dimostra l'illegittimità di inferire dalla giustapposizione simultanea di intuiti autocoscienti un intuito la cui quantificazione sia principio di una dialettica con quantificazioni di altri, con la conseguenza che né di alcuno degli estremi dall'uno all'altro dei quali trascorre questa dialettica né di alcuno dei giudizi categorici che essa costituisce quando sia posta come intelligibile è lecito fare un principio assoluto; lo stesso discorso con le stesse conclusioni finisce per esser fatto per quei giudizi categorici a intelligibili quantitativi inferiti da una equivalenza funzionale in cui soggetto e predicato sono rapportazioni di più quantitativi; ora, a ben guardare, a fondamento di quella illegittimità sta la discontinuità qualitativa in cui è pensato l'intuito: è lecito attribuire l'esclusione, in quanto dialettica autocosciente, della nozione di percezione come unità di più intuiti autocoscienti, la cui unificazione è costante nella successione delle giustapposizioni simultanee di intuiti in virtù di una sua intelligibilità di cui finisce per essere ragione la categoria di sostanza, al rilievo delle aporie che la nozione di sostanza in generale e la necessità di dialettizzare una percezione in genere con un intelligibile che dovrebbe essere principio della sua intelligibilità,




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