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nessuno dei quali è
intelligibile ad eccezione dell'ultimo finché non è sostituito da un altro, ed
essendo quindi lecita per esso una intelligibilità, sia pur problematica,
essenziale dell'intelligibile, mentre il secondo deve identificare quegli
attributi di inintelligibilità con la necessità in cui l'intelligibile si trova
di disporsi in una serie diacronica di complessi ciascuno dei quali è
intelligibile per quegli attributi di intelligibilità a parte subiecti e a
parte obiecti eterogenei ab obiecto intelligibili, ciascuno dei quali è
equipollente e formalmente equivalente a un qualsivoglia degli altri, ciascuno
dei quali esprimenti la costanza di più ripetizioni in un divenire dialettico e
insieme l'impossibilità di essa a permanere tale, essendo quindi per esso
l'inintelligibilità dell'intelligibile la necessità di una successione di
complessi intelligibili ciascuno destinato a restar tale anche se sostituito da
un successivo e a restare inintelligibile in quanto costantemente inetto a
porsi come ultimo, ed essendo per esso impossibile una intelligibilità
essenziale o problematica dell'intelligibile, III) che la scienza induttivo
sperimentale ha la liceità di scegliere fra l'una o l'altra delle logiche
dell'inferenza dell'intelligibile dal fenomenico, e di patire le conseguenze
che da questa o da quella derivano; resta il dubbio, che un empirismo accolga
oltre ai giudizi ipotetici anche i categorici, ma contro di esso stanno
l'argomento diretto che, se non Hume, almeno Stuart Mill ne pone la presenza
fra gli intelligibili quando esemplifica la serie delle ragioni sufficienti del
rapporto di simmetria fra intelligibile e fenomenico proprio con un giudizio
categorico, e l'argomento indiretto che, se l'empirismo fa sua
l'intelligibilità secondo l'interpretazione tradizionale, lasciandole la forma
e svuotandola della materia, la cui intelligibilità non è più dalla
comprensione dei dialettizzati ma da altro, deve anche far sua quella
dialettica intelligibile che è del sillogismo categorico, oltre che
dell'ipotetico, e quindi del giudizio categorico, oltre che dell'ipotetico, e
deve attribuire alla giustapposizione simultanea degli ontici fenomenici una
spartizione in percezioni per aggregazione in gruppi unitari, di cui varrrebbe
a ragion sufficiente la ripetizione di un certo numero di associazioni per
contiguità nello spazio; ora, quando si parla di una spartizione dell'ontico
autocosciente nelle due sfere dell'intelligibile e del fenomenico entro
dottrine empiristiche o che quale quella kantiana si rifanno, con aggiunte che
non son poi tanto rivoluzionarie, all'empirismo, l'eterogeneità delle due
ricava la sua ragione di fatto dall'osservazione che uno stesso rapporto
dialettico tra intuiti sensoriali, ad esempio quello di successione, è
disgiunto nell'autocoscienza con cui si dà da una costanza e uniformità di
certe modalità formali e va unito a modalità formali che son di due
comprensioni eterogenee, essendo
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l'una l'autocoscienza della
liceità propria del rapporto di variare, essendo l'altra l'illiceità dello
stesso di modificarsi: come implicitamente e a giusta ragione osserva Kant
nella sua critica alla teoria dell'abitudine ragione del rapporto causale,
questa autocoscienza di illiceità dev'essere assunta in generale come necessità
e insieme come un ontico autocosciente originario, il che d'altra parte neppure
Hume nega se pone a sua origine non solo l'abitudine ma soprattutto la
credenza, il cui scattare che dev'essere ritenuto inautocosciente traduce
l'autocoscienza del rapporto dialettico in autocoscienza di una sua
immodificabilità; il fatto che la sfera delle dialettiche di condizione umana
abbia la liceità di istituire rapporti dialettici altri da quelli dell'intuito
e di fare dei due la negazione l'uno dell'altro, cioè di sottoporre le
dialettiche dell'intuito alle dialettiche che chiamiamo di negazione, o con la
sussunzione di una certa quantità delle prime a una certa loro ragione che ne
fa una classe e con l'esclusione della legittima sussunzione sotto questa
ragione di una di esse in quanto priva di una denotante della ragione la quale,
appartenendo a un'altra dialettica, che è stata affermata di autocoscienza
lecita nell'intuito ma non si è data con questa autocoscienza, dà a questa
dialettica la liceità di sostituire l'esclusa nella legittima sussunzione, o
con la mera esclusione della dialettica data con autocoscienza nell'intuito
senza sostituzione ad essa di altra dialettica, più semplicemente il fatto che
entro le dialettiche autocoscienti si
dia la porzione dell'immaginazione [[Nota a matita
dell'autore:” controbbiettare al concetto di immaginazione negli
scritti di Logica di Murri Augusto”]] capace di o negare in generale
qualsivoglia dialettica con autocoscienza di necessità o di contraddirla con una
dialettica immanente entro le sue stesse condizioni ma con modalità altre se
non contrarie, nulla dice della relatività di questa necessità e non la spoglia
affatto di quegli attributi di autocoscienza e di ontità per l'autocoscienza
che essa ha in generale, e, se razionalisti ed empiristi se ne son serviti un
giorno per opporre una materia di ragione a una materia di fatti secondo una
distinzione che il tempo si è poi preoccupato di annullare attraverso
l'autocoscienza di una dialettica fra l'immaginativo e la materia di ragione
identica a quella fra l'immaginativo e la materia di fatti, la validità e i
poteri che a tali dialettiche di negazione o di contraddizione si attribuiscono
sarebbero veramente tali anzitutto se fosse stato ben analizzato l'immaginativa
in generale nella sua natura di problematico e fossero state ben rilevate le
denotazioni della problematicità entro la dialettica di condizione umana in
generale, il che non pare sia stato fatto ancora, in secondo luogo se si fosse
dimostrato che tale rapporto di ragione, che si pretende di instaurare fra
immaginativo ed autocosciente nella o dalla intuizione e che fa del primo il
principio di invalidità del secondo, è esso stesso ontico e legittimo, essendo
al contrario ontico e legittimo il viceversa, essere l'autocosciente nella o
dalla intuizione principio di invalidità dell'immaginativo, tanto più che una
accettazione alla Parmenide di quel rapporto di ragione, a parte che non lascia
fuori dal suo raggio d'azione nessuna delle dialettiche autocoscienti
necessarie, neppure il pincipio di identità, essendo sempre lecito inferire da
esso un universo,
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, in cui il principio di non
contraddizione non abbia vigore, o problematico od ontico, come il mondo delle
meraviglie di Alice, non esime chi lo accetti né dalla sottrazione di fatto ad
esso delle dialettiche autocoscienti e necessarie affermate nell'intuito e
dall'intuito o affermate fuori da esso e non da esso né dalle dialettiche
preposte ((??proposte??)) acronicamente o diacronicamente come principi di
questa necessità;ma l'ineluttabile spartizione delle dialettiche fra intuiti in
intelligibili e non, pone la questione del rapporto in cui dovrebbero esser
poste le due sfere: i razionalisti, e quindi anche Kant per quella sua
fondamentale adesione al razionalismo, scindono recisamente due complessi di
dialettiche, quelle fra ontici autocoscienti intelligibili e quelle fra ontici
autocoscienti fenomenici, alcune delle quali son da sussumersi sotto le prime;
non è da tener qui conto della obiezione, mossa a questa scissione, che, quando
l'attenzione vuole offrire a suo termine d'applicazione un intelligibile non
riesce a darsi se non un autocosciente fenomenico con in più certi caratteri,
sicché delle tre l'una o siffatti intelligibili in sé non esistono se non come
pretesa di trattare i fenomenici per altro da quel che sono e di fatto e di
diritto sono dei fenomenici della cui fenomenicità è data la piena
autocoscienza o siffatti intelligibili sono dei fenomenici che grazie a quei
certi caratteri di intelligibilità e grazie alla forza suppositiva delle parole
vengon predicati come ontici autocoscienti intelligibili in sé per una sorta di
trasfigurazione o di misconoscenza o sono degli ontici autocoscienti dotati di
una materia e di una forma loro propria e altra da quella dei fenomenici ma
godenti di autocoscienza solo pel medio del rapporto di supposizione in cui
entrano con le parole, e non se ne tien conto perché essa o si fonda sul
presupposto assiomatico che un ontico autocosciente è tale alla condizione che
nella sua materia e nella sua forma si dia sempre all'attenzione con certi modi
quali si danno nella materia e nella forma degli autocoscienti intuiti
fenomenici sì da godere della liceità di essere con un'immagine che formalmente
deve ripetere quella dei fenomenici, cioè che o esso è rappresentabile
indipendentemente da una dialettica e da una parola come lo sono le
rappresentazioni fenomeniche ed è autocosciente o esso non patisce tale
rappresentazione e allora è inautocosciente e non ha ontità, nel qual caso deve
dare dimostrazione del presupposto in quel qualsivoglia modo voglia o riesca ad
argomentarlo, oppure, dopo aver ammesso che una è l'autocoscienza delle
intuizioni fenomeniche, con la sua indipendenza dalla rapportazione e dalla
parola e altra è l'autocoscienza degli intelligibili che è solo o per l'una o
per l'altra, e allora finisce per diventare una petizione di principio, cosa
che Kant pare ben rilevare quando, definendo il noumeno come la problematicità
di un autocosciente che sia intuizione di un intelligibile, rileva la liceità
di un autocosciente, sia pur problematico, che abbia la liceità di darsi
all'autocoscienza così come si danno i fenomeni, come un'immagine immediata che
è senza entrare in rapporto o senza esser supposizione di una parola, e con ciò
accetta la sua esistenza, anche se poi finisce per negarla a una autocoscienza
di condizione umana, contraddicendo a quella sua distinzione dell'intelligibile
dal fenomenico di cui la duplice attività sussuntrice delle categorie sono
argomento;
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