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un'immagine impoverita e
deforme di esso; ma sento anche pesare su di me i millenni di un certo modo di
guardare alle cose entro il quale ha il suo trono di privilegiato questo
pensiero assoluto e in sé, e avverto che la loro presenza è ragione non piccola
e non ultima della ripugnanza e dell'accusa; è certo che l'esclusione
dall'autocoscienza di una sua accidentalità o di una sua contingenza rimanda
alla sua coessenzialità con l'intelligibile autocosciente, perché
un'autocoscienza che non sia conseguenza necessaria di una ragione altra
dall'intero ontico cui si sovraggiunge o per la quale non si ritrovi nessun
ontico autocosciente che ne sia ragione deve necessariamente far tutt'uno con
il complesso della materia e della forma di ciò in cui la si ritrova, ed è
certo che questa coessenzialità finisce per escludere gli ontici autocoscienti
di conoscenza, di rappresentazione, di sapere, di pensiero, di soggetto, di
oggetto ecc. con cui siamo soliti dialettizzare la sfera degli ontici
autocoscienti in generale; ma io credo che un approfondimento di questa coessenzialità
riesca ad annullare la ripugnanza dell'indifferenza tra autocosciente e
autocosciente e a privare dell'impoverimento e della deformazione l'immagine di
una sfera di autocoscienti vuota di un pensiero ontico in sé; quando si parla
di coessenzialità dell'autocoscienza con l'intelligibile, si deve muovere
dall'essenza dell'intelligibile autocosciente: entro di essa siamo soliti
distinguere una materia da una forma; le cose sono facili se si tratta di
definire o descrivere la forma, lo sono meno per la definizione o descrizione
della materia, perché, quando si dice che la forma è un certo rapporto tra due
ontici variabili che è apodittico e che, mentre è in sé quel che è,
simultaneamente riveste ciascuno dei due ontici di una funzione nei confronti
dell'altro, facendo dell'uno ciò il cui modo di essere pone necessariamente il
modo di essere dell'altro e facendo di questo ciò il cui modo di essere pone
necessariamente il modo di essere del primo, secondo un vincolo che è detto di
dipendenza funzionale, vincolo che solo in apparenza o meglio solo in rapporto
a certi punti di vista da cui si guarda a certe variabili è tale per cui l'uno
degli ontici, l'indipendente funzionale, è dichiarato agente, ossia fonte e
principio di ontità e di modi ontici per sé e per l'altro, mentre l'altro, il
dipendente funzionale, è dichiarato paziente, ossia traente dall'altro la
propria ontità e i propri modi ontici, ma che di fatto, e relativamente alle
dialettiche riguardate da se stesse ((stesso)) come da unico punto di vista
legittimo, ignora questa distinzione in quanto l'indipendente funzionale
acquista questo modo ontico della funzionalità solo relativamente al suo
correlato da cui, per ciò, riceve la necessità di un suo modo ontico e rispetto
a questo si fa dipendente funzionale del proprio dipendente funzionale, quando
dunque si parla di questo ontico autocosciente che è la forma, pare che nulla
si opponga alla sua pensabilità, ossia alla sua ontità autocosciente
incondizionata dall'autocoscienza di qualsivoglia altro ontico autocosciente;
se invece si dice che la materia è ciò che dei due ontici accoglie la forma,
ossia è quelle modalità ontiche dei due autocoscienti le quali entrando nel
rapporto della forma si vedono giustapposte come ulteriori denotanti le rispettive
funzioni che ciascuno esplica nei confronti dell'altro, pare che la pensabilità
della materia
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