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sia meno assoluta di quella
della forma, non essendo lecito un ontico autocosciente della materia che sia
scisso da una qualsivoglia dialettica con la forma; di fatto, è solo apparenza,
ma sotto di essa si cela qualcosa che la giustifica: infatti, se è vero che la
forma in genere è descritta grazie a un appello agli ontici variabili che ne
sono materia e se è vero che la materia in genere è descritta solo col ricorso
al rapporto in cui entra, è altrettanto vero che nella dialettica di
intercondizionamento dei due l'attenzione si sposta anzitutto dalla forma verso
la materia per poi riflettersi da questa su quella secondo quel vincolo che fa
della prima una indipendente funzionale e della seconda la sua dipendente,
anche se questa dipendenza si trasforma in influenza o indipendenza funzionale
solo però rispetto alla funzionalità dell'indipendenza funzionale dell'altra;
comunque, la maggior chiarezza e la maggior articolazione della definizione o
descrizione della forma e la relativa autonomia di cui esse godono da quelle
della materia rimandano a una soluzione di continuità delle due definizioni e
descrizioni, la quale a sua volta si riduce a una distinzione dei due
intelligibili, la forma e la materia, distinzione di cui è lecito cercare le
ragioni sufficienti della sua ontità e insieme il diritto ad essere; vari
fattori rompono l'unità della materia e della forma, in generale la
geometrizzazione condizione generica delle dialettiche intelligibili, il
duplice ossequio alla verità materiale e alla verità formale cui son tenuti gli
autocoscienti che vedono legittimata attraverso esso la loro pretesa di essere
intelligibili, l'impossibilità in cui una dialettica in genere si trova di
ritrovare entro la materia di un
ontico intelligibile qualcosa che la
differenzi essenzialmente dalla materia degli intuiti fenomenici e le
conseguenti illiceità di ricavare dall'una e dall'altra una ragion sufficiente
necessaria della necessità sia della forma in generale sia dell'accettazione in
particolare di quella forma in cui quella materia entra; sono questi i modi
dell'intelligibilità che le varie teorie hanno addotto direttamente per
limitare le pretese della ragione senza negarla in assoluto e senza precipitare
nello scetticismo e che indirettamente lasciano adito a una differenzazione
ontica od essenziale tra la materia e la forma; chi attribuisce alla sfera
delle dialettiche il peso fatale di attuare le proprie operazioni alla
condizione di scindere l'ontico in sé in ontici circoscritti da perimetri o
superfici isolanti e interrompenti la congiunzione reciproca di quelle che in
forza della circoscrizione geometrizzanti ((geometrizzante??)) da momenti
qualitativamente eterogenei di un tutto uno si fanno parti discrete e assolute,
e con ciò o nega alla ragione l'attitudine a inserire senza alterazioni
l'ontico in sé nelle proprie dialettiche o nega all'ontico in sé ontità di fatto
e di diritto per la sua inettitudine a spezzarsi in giustapposti immutabili
come le biffe delle dialettiche intelligibile((i)), si lascia sfuggire altre
componenti dei processi dialettici: infatti, se le cose stessero veramente
così, se cioè una qualsiasi continuità in mutamento qualitativo fosse talmente
eterogenea dalle dialettiche intelligibili da perdere del tutto la loro
modalità ontica e da assumerne una del tutto opposta e diversa per inserire i
suoi vari qualitativi come biffe di dialettiche, non si vede né come le
dialettiche stesse riuscirebbero a fare una qualsivoglia presa
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su tale continuità, né come
la sfera dialettica riuscirebbe a generare intelligibili autocoscienti che non
solo hanno la pretesa di essere l'autocoscienza del costante e dell'uniforme
inautocosciente nel continuo, ma pare che abbiano anche una certa liceità di
intervenire nel continuo lungo quei canali che sono le uniformità costanti
inautocoscienti in esso, né come sarebbe lecita una qualsiasi descrizione del
continuo, la quale, per quante metafore e precisazioni usi un Bergson per la
sua durata reale, deve pur sempre spezzare e geometrizzare il continuo, né come
il continuo verrebbe tradotto in discontinui onde Zenone riesca con le sue dialettiche
a dimostrarne l'assurdità; ci si deve allora chiedere se la dialettica in
genere veramente abbia a suo principio una perfetta e completa geometrizzazione
dell'ontico autocosciente in genere;
se noi prendiamo una
qualsiasi dialettica, è evidente che lo spostamento d'attenzione da un
intelligibile autocosciente a un altro, con quel suo seguito di concentrazione
sull'uno in quanto non è l'altro e su questo in quanto non è quello, di
apparente simultaneità acronica sotto cui si cela di fatto un darsi all'autocoscienza
in successione diacronica prima dell'uno e poi dell'altro e un fuoriuscire
dall'autocoscienza del primo quando si dà il secondo, essendo tuttavia
assicurata ad entrambi l'unificazione, e quindi al primo quella funzionalità
dialettica che dovrebbe aver perduto per l'esclusione dell'autocoscienza, dalla
costante autocoscienza del nesso che li correla necessariamente e che rende
lecito risalire dall'autocoscienza del secondo all'autocoscienza, precipitata
prima nell'inautocoscienza, del primo e viceversa, di disponibilità costante,
anche dopo esser esso stesso precipitato nell'inautocoscienza, in forza di un
nuovo nesso dialettico che lo collega a un altro spostamento d'attenzione e lo
fa biffa di questo, germina da una discrezione reciproca delle due biffe, da
quella che chiamiamo una loro geometrizzazione, ma non s'arresta a questa
perché simultaneamente sovraggiunge alla separazione sia il nesso apodittico
che corre dall'una all'altra biffa e che le unifica sia la serie degli ontici
autocoscienti, posti come apodittici o come problematici, ossia come ontici la
cui comprensione è autocosciente e dirompibile essa stessa in denotanti
ciascuna delle quali apodittica e apoditticamente vincolata al tutto e alle
consorelle, o come ontici la cui comprensione è zero ma è autocosciente come
quella che gode della liceità di riempirsi di denotanti egualmente apodittiche
e apoditticamente vincolate, autocoscienti i quali sono denotanti, apodittiche
o problematiche, di ciascuna delle due comprensioni-biffe e che sono la ragion
sufficiente della necessità del rapporto dialettico e della funzione che in
esso ogni comprensione esercita sull'altra; che (,)se poi quegli ontici
autocoscienti che sono il nesso apodittico della dialettica, le funzioni
reciproche dei dialettizzati, le denotanti delle comprensioni dialettizzate che
son ragione di quello e di queste, sono a loro volta dei circoscritti
geometrici (,) ulteriori dialettiche intervengono ad assumere come biffa
ciascuno dei circoscritti e a unificarlo con la biffa che gli è apoditticamente
correlata, ripetendo tutte le operazioni della prima, finché non sia inserito
in una dialettica qualsiasi ontico geometrizzato la cui circoscrizione abbia
provocato una scissione discreta da ciò con cui è in unità;
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