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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 264
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[pag 372 (264 F1 /2)]

sia meno assoluta di quella della forma, non essendo lecito un ontico autocosciente della materia che sia scisso da una qualsivoglia dialettica con la forma; di fatto, è solo apparenza, ma sotto di essa si cela qualcosa che la giustifica: infatti, se è vero che la forma in genere è descritta grazie a un appello agli ontici variabili che ne sono materia e se è vero che la materia in genere è descritta solo col ricorso al rapporto in cui entra, è altrettanto vero che nella dialettica di intercondizionamento dei due l'attenzione si sposta anzitutto dalla forma verso la materia per poi riflettersi da questa su quella secondo quel vincolo che fa della prima una indipendente funzionale e della seconda la sua dipendente, anche se questa dipendenza si trasforma in influenza o indipendenza funzionale solo però rispetto alla funzionalità dell'indipendenza funzionale dell'altra; comunque, la maggior chiarezza e la maggior articolazione della definizione o descrizione della forma e la relativa autonomia di cui esse godono da quelle della materia rimandano a una soluzione di continuità delle due definizioni e descrizioni, la quale a sua volta si riduce a una distinzione dei due intelligibili, la forma e la materia, distinzione di cui è lecito cercare le ragioni sufficienti della sua ontità e insieme il diritto ad essere; vari fattori rompono l'unità della materia e della forma, in generale la geometrizzazione condizione generica delle dialettiche intelligibili, il duplice ossequio alla verità materiale e alla verità formale cui son tenuti gli autocoscienti che vedono legittimata attraverso esso la loro pretesa di essere intelligibili, l'impossibilità in cui una dialettica in genere si trova di ritrovare  entro la materia di un ontico  intelligibile qualcosa che la differenzi essenzialmente dalla materia degli intuiti fenomenici e le conseguenti illiceità di ricavare dall'una e dall'altra una ragion sufficiente necessaria della necessità sia della forma in generale sia dell'accettazione in particolare di quella forma in cui quella materia entra; sono questi i modi dell'intelligibilità che le varie teorie hanno addotto direttamente per limitare le pretese della ragione senza negarla in assoluto e senza precipitare nello scetticismo e che indirettamente lasciano adito a una differenzazione ontica od essenziale tra la materia e la forma; chi attribuisce alla sfera delle dialettiche il peso fatale di attuare le proprie operazioni alla condizione di scindere l'ontico in sé in ontici circoscritti da perimetri o superfici isolanti e interrompenti la congiunzione reciproca di quelle che in forza della circoscrizione geometrizzanti ((geometrizzante??)) da momenti qualitativamente eterogenei di un tutto uno si fanno parti discrete e assolute, e con ciò o nega alla ragione l'attitudine a inserire senza alterazioni l'ontico in sé nelle proprie dialettiche o nega all'ontico in sé ontità di fatto e di diritto per la sua inettitudine a spezzarsi in giustapposti immutabili come le biffe delle dialettiche intelligibile((i)), si lascia sfuggire altre componenti dei processi dialettici: infatti, se le cose stessero veramente così, se cioè una qualsiasi continuità in mutamento qualitativo fosse talmente eterogenea dalle dialettiche intelligibili da perdere del tutto la loro modalità ontica e da assumerne una del tutto opposta e diversa per inserire i suoi vari qualitativi come biffe di dialettiche, non si vede né come le dialettiche stesse riuscirebbero a fare una qualsivoglia presa


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[pag 373 (264 F2 /3)]

su tale continuità, né come la sfera dialettica riuscirebbe a generare intelligibili autocoscienti che non solo hanno la pretesa di essere l'autocoscienza del costante e dell'uniforme inautocosciente nel continuo, ma pare che abbiano anche una certa liceità di intervenire nel continuo lungo quei canali che sono le uniformità costanti inautocoscienti in esso, né come sarebbe lecita una qualsiasi descrizione del continuo, la quale, per quante metafore e precisazioni usi un Bergson per la sua durata reale, deve pur sempre spezzare e geometrizzare il continuo, né come il continuo verrebbe tradotto in discontinui onde Zenone riesca con le sue dialettiche a dimostrarne l'assurdità; ci si deve allora chiedere se la dialettica in genere veramente abbia a suo principio una perfetta e completa geometrizzazione dell'ontico autocosciente in genere;

se noi prendiamo una qualsiasi dialettica, è evidente che lo spostamento d'attenzione da un intelligibile autocosciente a un altro, con quel suo seguito di concentrazione sull'uno in quanto non è l'altro e su questo in quanto non è quello, di apparente simultaneità acronica sotto cui si cela di fatto un darsi all'autocoscienza in successione diacronica prima dell'uno e poi dell'altro e un fuoriuscire dall'autocoscienza del primo quando si il secondo, essendo tuttavia assicurata ad entrambi l'unificazione, e quindi al primo quella funzionalità dialettica che dovrebbe aver perduto per l'esclusione dell'autocoscienza, dalla costante autocoscienza del nesso che li correla necessariamente e che rende lecito risalire dall'autocoscienza del secondo all'autocoscienza, precipitata prima nell'inautocoscienza, del primo e viceversa, di disponibilità costante, anche dopo esser esso stesso precipitato nell'inautocoscienza, in forza di un nuovo nesso dialettico che lo collega a un altro spostamento d'attenzione e lo fa biffa di questo, germina da una discrezione reciproca delle due biffe, da quella che chiamiamo una loro geometrizzazione, ma non s'arresta a questa perché simultaneamente sovraggiunge alla separazione sia il nesso apodittico che corre dall'una all'altra biffa e che le unifica sia la serie degli ontici autocoscienti, posti come apodittici o come problematici, ossia come ontici la cui comprensione è autocosciente e dirompibile essa stessa in denotanti ciascuna delle quali apodittica e apoditticamente vincolata al tutto e alle consorelle, o come ontici la cui comprensione è zero ma è autocosciente come quella che gode della liceità di riempirsi di denotanti egualmente apodittiche e apoditticamente vincolate, autocoscienti i quali sono denotanti, apodittiche o problematiche, di ciascuna delle due comprensioni-biffe e che sono la ragion sufficiente della necessità del rapporto dialettico e della funzione che in esso ogni comprensione esercita sull'altra; che (,)se poi quegli ontici autocoscienti che sono il nesso apodittico della dialettica, le funzioni reciproche dei dialettizzati, le denotanti delle comprensioni dialettizzate che son ragione di quello e di queste, sono a loro volta dei circoscritti geometrici (,) ulteriori dialettiche intervengono ad assumere come biffa ciascuno dei circoscritti e a unificarlo con la biffa che gli è apoditticamente correlata, ripetendo tutte le operazioni della prima, finché non sia inserito in una dialettica qualsiasi ontico geometrizzato la cui circoscrizione abbia provocato una scissione discreta da ciò con cui è in unità;




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