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il che significa che la
ragione o sfera delle dialettiche, se giace nel suo fato di scindere, ritrova
in sé la capacità di fuoruscirne riparando, come può, alla discrezione della
scissione coll'unificare i separati e col cogliere entro i separati ragioni
necessarie della loro reciproca unificazione: come nella facoltà intuitiva
dell'orologiaio lo sparpagliamento dei meccanismi in un caos dirompente
l'originaria unità ordinata dell'orologio si ricompone nell'unitario ordine del
tutto senza che né mano né arnese modifichino le posizioni spaziali degli
sparpagliati, così la ragione sostituisce alla dispersione delle membra del
continuo anatomizzate e disperse in un caos una serie di vincoli sempre più
particolari e sempre più motivati che ricompongono l'unità originaria; come lo
stesso orologiaio non vede nell'unità meccanica dell'orologio quel che ci vedo
io ossia un tutto indistinto che fa qualcosa ma vi scopre un frazionamento
sempre più minuzioso a cui ripara sostituendo al congiungimento del continuo
inseparabile nessi necessari e dotati ciascuno di ragion sufficiente ((i)) da
ritrovarsi entro i discreti che esso connette, così la ragione si posa su di un
ontico autocosciente alla condizione di anatomizzarlo sì simultaneamente, ma
anche di ritrovare entro i preparati anatomici quelle ragioni necessarie che li
richiamano l'un l'altro secondo una dialettica unificatrice che è l'ontico
autocosciente intelligibile immanente inautocosciente e insieme principio inautocosciente
del continuo unitario del tutto; la ragione ha il diritto, è vero, di perder
per strada nessi e ragioni di nessi, escludendo, ad esempio, uno dei rapporti
necessari che dialettizzano apoditticamente un cuore e un polmone giacenti come
preparati su di un tavolo anatomico, ma ha anche il diritto e la liceità di
trattare le dialettiche che vivono su quell'esclusione almeno come inadeguate
all'unità continua autocosciente con cui il complesso delle dialettiche deve
dialettizzarsi; la ragione geometrizza, ma anche dialettizza, ed è per questo
che un Bergson ha la liceità di pretendere che le sue pagine anatomizzatrici e
ineluttabilmente anatomizzatrici di quella continuità((??)) indiscreta della
durata reale siano biffa di equivalenza dialettica con ciò che pretendono di
descrivere senza deformare; se la sfera delle dialettiche è a buon diritto
accusabile di deformazione dell'ontico in sé, l'accusa deve limitarsi a questo
che nessuna dialettica dà un'unità, e deve riconoscere che basta che un'unità
assuma di fronte alla dialettica in genere la veste di sintesi e con ciò sia
riducibile a discreti differenziabili geometricamente, perché tosto la stessa
dialettica si procuri tutti gli ontici autocoscienti per tradurre siffatta
unità in una unificazione che è tenuta a giustapporre e a correlare, sotto
forma di ontici autocoscienti in sé e discreti, tutti i fattori che debbono
essere addotti come ragioni sufficienti di un modo tale di siffatta
unificazione che la renda totalmente equivalente all'unità e totalmente
identica ad essa, rispetto alla quantità delle qualità che la costituiscono;
che se si obietta che questo stato fatale delle dialettiche le condanna a una
perpetua inequivalenza qualitativa e quantitativa dell'unificato all'uno,
perché nelle dialettiche la cui totalità pretende di essere l'unificazione
equivalente all'unità non entrano mai come biffe né il dato qualitativo
dell'unità assoluta dell'uno sintetico
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