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che nessuna analisi
geometrizzante ha la liceità di isolare in un ontico autocosciente con una
materia e una forma propria e qualitativamente altre da quelle delle altre
biffe, né quei dati che sfuggono ai principi di ragione perché o offendono il
principio di identità o non offrono nessuna denotante che sia ragione
sufficiente dell'apoditticità del rapporto dialettico in cui entrano come
biffe, né quei dati che debbono sì esser geometrizzati dalle dialettiche in
ontici autocoscienti loro biffe, ma che non albergheranno mai una materia che
li faccia biffe di una dialettica che li correli alle denotanti
dell'intelligibilità, è evidente che l'obiezione ha sott'occhio sia l'apparente
inettitudine della ragione a inserire nel quadro delle dialettiche che è
pretesa unificazione equivalente all'unità, un ontico autocosciente
qualitativamente determinato ed
eterogeneo dagli altri che sia il simmetrico di ciò che l'unificazione ha
perduto, ossia il qualitativo unitario che è il modo ontico di ogni unità sintetica,
sia l'apparente inettitudine delle sensazioni e delle percezioni ad assumere
nella propria materia quei modi di intelligibilità e di permanenza costante che
unici consentirebbero di farne degli intelligibili biffabili legittimamente con
l'intelligibile in esse((esso??)) immanenti((e)) inautocoscienti((e)) e unici
fornirebbero ragione dell'accettazione dell'intelligibilità che è poi la stessa
immanenza inautocosciente dell'intelligibile, inettitudine che si associa
all'impossibilità delle dialettiche di distinguere nettamente nella materia una
biffa che sia intelligibile immanente inautocosciente entro il sensoriale intuito da una biffa che sia sensazione o
percezione con immanenza inautocosciente dell'intelligibile, e
all'impossibilità delle stesse dialettiche di conservare all'intelligibile
l'unità e la semplicità che gli competono come attributi apodittici e
condizionatori della sua intelligibilità e insieme di farlo biffa con le sue
denotanti e con le sensazioni e percezioni in cui deve immanere con
inautocoscienza, sia l'impossibilità delle dialettiche di liberare l'intuito in
genere, che pur deve entrare come biffa di nessi intelligibili, dalla
contraddittorietà o per simultaneità, qual è quella del movimento rilevata
dagli argomenti di Zenone, o per successione, qual è quella del divenire
direttamente rilevata dal ripudio parmenideo e platonico di questo mondo e
indirettamente sottolineata dalla logica hegeliana, la quale si limita ad
imporre come apodittico di diritto quanto è inintelligibile di fatto;
consideriamo questi vari aspetti: quando si parla di inettitudine della sfera
delle dialettiche ad albergare un intelligibile, si è tenuti ad evitare
un'ambiguità, di scambiare l'impossibilità assoluta di tale sfera a porre un
certo autocosciente a biffa di una qualsiasi dialettica, o per vacuità totale
dell'autocosciente, quale, ad es., il concetto di causa della causa prima, o
per antinomia dell'autocosciente, quale, ad es., il concetto di sirena omerica,
con l'illiceità ad assumere a biffa un intelligibile autocosciente con forma e funzioni
e rapporti dialettici ben definiti e apodittici ma con materia o zero o
variabile; se noi chiamiamo il primo autocosciente un concetto falso o
apparente e il secondo un concetto problematico, come quello che rispetto alle
sue denotanti materiali gode di liceità e non di apoditticità dialettica, la
nozione del qualitativo che è il modo ontico dell'uno sintetico da unificarsi
alle altre componenti
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le cui dialettiche rendono
la loro unificazione equivalente all'unità sintetica, è un concetto che non è
impossibile, cioè né falso né apparente per la ragione, ma è o un intelligibile
materialmente e formalmente denotato al pari degli altri, come avviene per
certe unificazioni storiche o tecniche ad esempio, o è un concetto problematico,
nel qual caso esso si sovraggiunge agli altri del complesso dialettico
unificatore a completarne l'equivalenza con l'unità, sia pur restando vuoto
nella sua materia e perciò attendendo il proprio completamento materiale o
apodittico o ipotetico, ma sempre ottemperando a tutte le condizioni
dialettiche data la determinatezza e apoditticità della sua forma: se si vuole,
si giustappone come un'incognita, che sia variabile dipendente, la quale è zero
rispetto alla sua definizione quantitativa, ma non rispetto ai rapporti che la
connettono alle altre variabili in connessione funzionale con essa; quanto
all'insufficienza di certe rappresentazioni che pur entrano nella sfera
dialettica a rivestire tutti gli aspetti formali dell'intelligibilità, se per esse
s'intendono le sensazioni e le percezioni abbiam già visto che
un'inintelligibilità loro assoluta non è del tutto ammissibile, sia che si
muova da un platonismo o aristotelismo, in cui in ogni intuito c'è pur sempre
il riflesso di un intelligibile, sia che si muova, e a maggior ragione, da un
empirismo o puro o mascherato, pel quale l'insufficienza del rapporto
intelligibile in sé a fondare l'intelligibilità immanente nel fenomenico
rimanda a un intervento sussidiario degli stessi intuiti i quali collaborano
col rapporto, e lo debbono fare, onde nell'intendimento insorga un
autocosciente che sia o sia trattato per intelligibile; e questo intervento si
dà alla condizione che nell'intuito si rinvengano alcuni degli aspetti che son
fondamento di intelligibilità; che se poi a questi aspetti manca quello
essenziale di note immanenti che sian ragioni sufficienti apodittiche garanti
dell'apoditticità di tutti gli altri fondamenti dell'intelligibilità
dell'intuito, è ancora la cagione che rileva siffatta assenza, abbassando al
rango di concetto problematico sia l'intuito che è introdotto nelle dialettiche
intelligibile((i)), sia il nesso dialettico con cui la materia dell'intuito è
correlata, come ragione, alle altre note formali che si sovraggiungono alla
materia come denotazioni di intelligibilità, sia i nessi di tutte le
dialettiche che hanno a biffa l'intuito in quanto già problematicamente
dialettizzato con sé come da ragione a conseguente di intelligibilità; il che è
poi quel che fa la sfera dialettica in Hume e in Stuart Mill; e col far ciò
questa sfera completa il quadro delle dialettiche di unificazione fino a
renderlo equivalente con l'unità sintetica del fenomenico e lo completa con
perfetta aderenza all'uno del fenomenico, che se pervaso di un'intelligibilità
inautocosciente manterrà il problematico degli intelligibili, costantemente
identico a se stesso, mentre, se vuoto di intelligibilità, rivelerà
l'inintelligibilità del problematico la cui esclusione si accompagnerà
all'esclusione del complesso dialettico unificatore, rapporto intelligibile
compreso; d'altra parte, quell'illiceità pesante sulle dialettiche di offrirsi
a biffe intelligibili che siano immanenti inautocoscienti entro l'intuito
fenomenico e che salgano all'autocoscienza senza accogliere nessuno degli
autocoscienti intuiti, senza cioè assumere nella propria nessuna materia del
sensoriale e del percepito,
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è per essa un dato autocosciente che la ragione pone a biffa della
sua unificazione dialettica, sia che accolga l'intelligibilità di tipo
platonico o aristotelico, nel qual caso tratta la materia del sensoriale
accolta nell'intelligibile come un simmetrico equivalente di un intelligibile
costantemente problematico nella materia, sia che si rifaccia all'intelligibilità
di tipo empiristico o kantiano, nel qual caso, o esplicitamente ossia con
completa presa di contatto di sé su se stessa, o implicitamente ossia con una
dialettica che si lascia sfuggire alcune delle componenti che pur sono
autocoscienti, trasferisce necessariamente qualche aspetto dell'intelligibilità
del rapporto intelligibile alla materia fenomenica onde sfuggire al rischio di
svuotarsi di qualsiasi contenuto, compreso quello della descrizione di se
stessa e onde conservare a sé un sia pur minimo diritto di costruirsi secondo
dialettiche legittime ed intelligibili; se poi l'insieme delle dialettiche
sembra smarrire l'unità e la semplicità dell'intelligibile che pretendono
ritradurre nella loro unificazione, si deve riprendere quanto sopra si è detto,
anzitutto che l'unificazione dialettica pone sempre sé ad equivalente e non a
identico di un intelligibile inautocosciente in sé, in secondo luogo che
l'equivalenza è sempre conseguita con l'inserzione dialettica di nuove biffe,
che sono anche concetti problematici, ma che mirano sempre a riempire quei
vuoti che priverebbero l'unificazione della sua pretesa equivalenza con l'uno
in sé;e grazie appunto a questo articolare, sul nucleo centrale delle
dialettiche di unificazione, di concetti o apodittici o problematici che
inseriscono nell'unificazione quel qualitativo dell'uno che, o a causa della
sua disarticolazione o a causa della cecità delle dialettiche nei suoi
confronti, mai è materia di un intelligibile apodittico, la sfera dialettica si
offre l'intelligibile autocosciente come l'asintoto dell'intelligibile
simmetrico inautocosciente, cioè come qualcosa che è altro da questo per la
molteplicità disarticolata in discontinuità geometrica che permette le
dialettiche stesse, e come qualcosa che, arricchendosi via via di nuovi
autocoscienti, sia pur problematici, tende a superare la discrezione geometrica
con l'unificazione dialettica e con l'accoglimento di un numero sempre maggiore
di denotanti qualitative, alcune delle quali addizionano all'unificazione quel
qualitativo che è uno nell'unità sintetica e con ciò la rendono atta a
dialettizzarsi con quegli intuiti fenomenici autocoscienti entro cui
l'intelligibile dovrebbe giacere inautocosciente; e, infine consideriamo quel
che consegue o ai discorsi di Zenone che dall'antinomia del movimento
inferiscono l'inintelligibilità del movimento in quanto contraddittorio per
simultaneità come quello il cui concetto deve ricevere simultaneamente due
denotazioni che hanno tutti i crismi della contraddizione, o ai discorsi di
Parmenide e di Hegel, i quali dalla contradittorietà del diveniente inferiscono
l'inintelligibilità del divenire in genere in quanto contraddittorio per
successione come quello il cui concetto deve ricevere diacronicamente
denotazioni che a livello del fenomenico sono e hanno ontità e quindi non sono
contraddittorie, ma a livello dell'intendimento debbono essere ricondotte ai
principi di identità e di ragione, per la loro forma di denotanti di un preteso
intelligibile, e insieme li offendono sicché ricevono anch'esse tutti i crismi
della contraddizione;
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