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essendo escluso il bisogno
di una verità formale dell'intelligibile e di una dialettica e quindi di una
deduzione della forma della dialettica dalla forma categoriale a fondamento di
tale verità, per un astrattismo la genesi del formale in generale pare essere
di meno facile decisione se per alcuni pensatori che l'accolgono le forme, se
non tutte, almeno quelle categoriali, sono innate sicché, come risulta in
S.Agostino e in Galilei, le dialettiche autocoscienti ritraggono dall'essenza
stessa della loro sfera pura almeno le connotanti genericissime della loro
intelligibilità e quella liceità loro di essere che è detta intelligenza o
ragione, mentre per gli altri, Aristotele e S.Tommaso ad esempio
[[Nota a matita dell'autore:”controllare”]], nulla di
autocosciente innato preesiste alle dialettiche in atto a strutturare l'essenza
di una sfera intelligibile pura e la liceità di un'intelligenza; ma la
questione della genesi delle forme pure in generale non è avulsa dall'intero
contesto della dialettica in genere quale lo pone l'astrattismo: per questo,
una volta assegnate discrezioni e autonomia o assolutezza alla forma, la
materia deve essere un intelligibile, ossia un denotato dalle note formali
dell'intelligibilità, per vari motivi, anzitutto perché entra in una forma
intelligibile i cui caratteri formali di intelligibile debbono entrare in
consonanza con gli identici caratteri delle biffe da essi rapportati, poi
perché ogni dialettica con le sue forme e le sue biffe materiali è un intelligibile
autocosciente cui non è lecito fondare la propria intelligibilità sulla
corrispondente denotazione limitata a una porzione solo della sua totalità, poi
ancora perché ogni materia che è tale nell'atto in cui è biffa di una
dialettica è sempre destinata a rompere la propria unità nell'unificazione di
una dialettica la quale sarà intelligibile se ritroverà intelligibilità nel
tutto che essa disarticola per unificare, infine perché la materia, che per un
astrattismo deve a un certo livello della sua disarticolazione coincidere con
ontici autocoscienti sensoriali che si fanno intelligibili per l'immediata
ragione di un loro dialettizzarsi formalmente legittimo e per la ragione
mediata dell'immanenza in essi di un'intelligibilità inautocosciente che è equivalenza con l'ontico in sé pervaso da
intelligibilità e che, anche se non riesce mai ad esplicitarsi
all'autocoscienza secondo modalità proprie che sian altre dalle sensazioni o
percezioni sotto cui giace, deve pur sempre agire sul sensoriale in forza della
sua funzione di principio sull'ontico in sé e dell'equivalenza fra questo e il
sensoriale; l'astrattismo, quindi, finisce sempre con l'accettare a materia
delle dialettiche del sensoriale privilegiato come quello che è legittimamente
trattabile come un segno perfetto dell'intelligibile e quindi come un
intelligibile esso stesso; chi, come Russel [[Nota a matita
dell'autore:”controllare Aristotele nella storia della filosofia
occidentale”]], vuole ridurre l'intelligibile dell'astrattismo a una mera forma
o complesso intelligibile di rapporti, non rivela tanto, con questa sua definizione, di sostituire ai presupposti
astrattistici quelli del suo empirismo, quanto sottolinea quel che ogni
astrattismo è costretto a fare, di tradurre entro la sfera delle dialettiche
dei dati sensoriali da trattarsi come intelligibili -quando Aristotele pone il
conceto di Socrate, che è pur sempre un astratto anche se in forza di quel
gioco degli intelletti che dev'essere inautocosciente,
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