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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 268-69
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[pag 387 (268 F4 / 269 F1)]

essendo escluso il bisogno di una verità formale dell'intelligibile e di una dialettica e quindi di una deduzione della forma della dialettica dalla forma categoriale a fondamento di tale verità, per un astrattismo la genesi del formale in generale pare essere di meno facile decisione se per alcuni pensatori che l'accolgono le forme, se non tutte, almeno quelle categoriali, sono innate sicché, come risulta in S.Agostino e in Galilei, le dialettiche autocoscienti ritraggono dall'essenza stessa della loro sfera pura almeno le connotanti genericissime della loro intelligibilità e quella liceità loro di essere che è detta intelligenza o ragione, mentre per gli altri, Aristotele e S.Tommaso ad esempio [[Nota a matita dell'autore:”controllare”]], nulla di autocosciente innato preesiste alle dialettiche in atto a strutturare l'essenza di una sfera intelligibile pura e la liceità di un'intelligenza; ma la questione della genesi delle forme pure in generale non è avulsa dall'intero contesto della dialettica in genere quale lo pone l'astrattismo: per questo, una volta assegnate discrezioni e autonomia o assolutezza alla forma, la materia deve essere un intelligibile, ossia un denotato dalle note formali dell'intelligibilità, per vari motivi, anzitutto perché entra in una forma intelligibile i cui caratteri formali di intelligibile debbono entrare in consonanza con gli identici caratteri delle biffe da essi rapportati, poi perché ogni dialettica con le sue forme e le sue biffe materiali è un intelligibile autocosciente cui non è lecito fondare la propria intelligibilità sulla corrispondente denotazione limitata a una porzione solo della sua totalità, poi ancora perché ogni materia che è tale nell'atto in cui è biffa di una dialettica è sempre destinata a rompere la propria unità nell'unificazione di una dialettica la quale sarà intelligibile se ritroverà intelligibilità nel tutto che essa disarticola per unificare, infine perché la materia, che per un astrattismo deve a un certo livello della sua disarticolazione coincidere con ontici autocoscienti sensoriali che si fanno intelligibili per l'immediata ragione di un loro dialettizzarsi formalmente legittimo e per la ragione mediata dell'immanenza in essi di un'intelligibilità  inautocosciente che è equivalenza con l'ontico in sé pervaso da intelligibilità e che, anche se non riesce mai ad esplicitarsi all'autocoscienza secondo modalità proprie che sian altre dalle sensazioni o percezioni sotto cui giace, deve pur sempre agire sul sensoriale in forza della sua funzione di principio sull'ontico in sé e dell'equivalenza fra questo e il sensoriale; l'astrattismo, quindi, finisce sempre con l'accettare a materia delle dialettiche del sensoriale privilegiato come quello che è legittimamente trattabile come un segno perfetto dell'intelligibile e quindi come un intelligibile esso stesso; chi, come Russel [[Nota a matita dell'autore:”controllare Aristotele nella storia della filosofia occidentale”]], vuole ridurre l'intelligibile dell'astrattismo a una mera forma o complesso intelligibile di rapporti, non rivela  tanto, con questa sua definizione, di sostituire ai presupposti astrattistici quelli del suo empirismo, quanto sottolinea quel che ogni astrattismo è costretto a fare, di tradurre entro la sfera delle dialettiche dei dati sensoriali da trattarsi come intelligibili -quando Aristotele pone il conceto di Socrate, che è pur sempre un astratto anche se in forza di quel gioco degli intelletti che dev'essere inautocosciente,




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