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deve fondarne
l'intelligibilità su una serie di dialettiche fra la sua totalità unitaria e le
singole note della sua connotazione, una delle quali è lecito che sia la
viviparità di Socrate; e allora è lecito chiedersi se è sufficiente il mero
rapporto di causalità o quello più particolare di generazione a fondare
l'intelligibilità del rapporto fra Socrate e la sua viviparità, o se siffatti
rapporti divengono intelligibili e definiti rispetto alle loro biffe alla
condizione che entrambe alberghino come denotanti degli ontici autocoscienti
che non è lecito siano solo rapporti, ma è necessario siano anche sensazioni o
gruppi percettivi di sensazioni -; nella stessa situazione degli astrattismi a
base qualitativa si trovano anche gli astrattismi a base quantitativa, di tipo
galileiano ad esempio, i quali, una volta definito in sé e per sé le classi
delle forme che utilizzano e le ragioni categoriali sovraordinate alle une e
alle altre, per riempire di materia le biffe correlate dalle forme si esimono dal trasportarvi pari pari dei
dati sensoriali, ma non di immettervi dei quantitativi che hanno pur sempre il
loro fondamento su una certa elaborazione dei fenomeni e che non del tutto
riescono a ridursi a rapporti, perché ogni loro riduzione siffatta deve pure
arrestarsi almeno in parte a dei determinati qualitativi della quantità, ossia
a dei numeri, che, per quanto variabili e dipendenti funzionali, sono pur
sempre delle problematiche quantificazioni di sensazioni o di gruppi percettivi
che si fanno apodittiche quando la dialettica scende a investire direttamente
l'intuito fenomenico: e allora delle due l'una: o il regnare dell'astrattismo
lascia filtrare entro i suoi presupposti qualcosa delle presupposizioni
dall'innatismo, di quello platonico ad esempio, e precisamente la negazione di
un qualsivoglia rapporto fra l'intelligibile e il sensoriale, con la
conseguenza che, se rinunciano alla totale innatezza dell'intelligibile, non
fanno a meno di sottrarre all'apporto dell'autocosciente sensoriale quelle
forme pure genericissime che paiono essere il modo per eccellenza di un'essenza
intelligibile in genere e le rendono innate, attribuendo loro il compito di
farsi ragioni direttamente di tutte le forme particolari delle singole dialettiche
e della loro intelligibilità indirettamente dell'intelligibilità del sensoriale
che è trasportato come biffa entro le dialettiche e che, se si manifesta tale
da non contravvenire mai con le sue denotanti formali alle denotanti di
intelligibilità della forma della dialettica, rivela in tal modo e solo in tal
modo la sua funzione di indice di quella intelligibilità che sotto di esso si
cela inautocosciente e incapace di tradursi in sé e di per sé all'autocoscienza
- è questo lo scheletro della teoria della illuminazione di Agostino e del
concetto di innatezza della matematica di Galilei -, oppure chi muove
dall'astrattismo resta fedele al suo presupposto, ripudiando quel latente
platonismo e insieme empirismo di sopra, e, negato ogni innatismo, affidano
alla traduzione del sensoriale entro la sfera dialettica l'insorgere di tutte
le dialettiche con l'intelligibilità pura e immediata della loro forma e
l'intelligibilità impura, o confusa, e mediata di quanto di irriducibilmente
materiale albergano; qui ci dobbiamo porre per disarticolare il vero contenuto
di un astrattismo, perché non è lecito porre nulla di innato in una sfera
dialettica
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che astragga da qualcosa
d'altro da sé i propri autocoscienti, e, se si obietta un'astrazione in genere,
ossia la liceità di una dialettica che ritrae tutti i modi della propria ontità
autocosciente fuori dalla sfera degli autocoscienti che sono intelligibili, è
impossibile senza un'attitudine preesistente alla dialettica stessa, la quale dev'essere
innata e deve coincidere col possesso innato almeno delle forme genericissime
la cui ontità è l'essenza di una dialettica in genere, e se si aggiunge che
tutti i seguaci dell'astrattismo hanno ammesso questo, anche Aristotele e
Tommaso i quali col loro intelletto agente e il loro intelletto passivo non
fanno che sostituire all'innatezza di ontici autocoscienti ben definiti, che
sono essi stessi dialettiche e con ciò costituiscono la materia o il principio
diacronico di una sfera di dialettiche intelligibili destinate poi a riempirsi
ulteriormente, l'innatezza di modi che in fondo non si limitano a far le veci
di quegli autocoscienti, ma s'identificano con essi, si risponde che è bene
osservare che nella sfera dell'autocosciente in generale è da escludersi che
esista un'unica ed univoca sfera di dialettiche, quella dell'intelligibilità,
come dimostra il fatto che ci è lecito dialettizzare inintelligibilmente o
erratamente: di fronte a questo dato che è un ontico autocosciente dell'ontità
di due dialettiche, una intelligibile e una aliena dall'intelligibilità, c'è da
chiedersi anzitutto se si abbia il diritto di fare della seconda un modo della
sfera degli intelligibili illegittimamente albergante in essa come un apolide,
il che pare confutato dal fatto che le dialettiche di tale sfera accettano se
stesse e si legano ad altre sotto il segno della legittimità e ripudiano o
bollano col timbro della problematicità se stesse e qualsiasi altra dialettica
che non sia legittimamente intelligibile, dal fatto cioè, in parole semplici,
che noi immediatamente scindiamo gli intelligibili apodittici da quelli o falsi
o inintelligibli o assertori o problematici, sicché è frutto di una analisi o
disarticolazione frettolosa e illegittimamente la classificazione di tutte le
dialettiche nell'unica classe avente a ragione la dialetticità in generale e la
conseguente classificazione entro gli ontici dialettici sic et simpliciter di
tutti i giudizi della modalità, poi c'è da chiedersi se, una volta stabilita
tale distinzione, si abbia il diritto di fare della classe delle dialettiche
aliene da intelligibilità una serie di ontici autocoscienti che sono
conseguenza dell'ontità dell'altra classe delle dialettiche intelligibili,
quasi che la liceità e la struttura di una dialettica in genere e quindi di
quella che è aliena da intelligibilità abbia a suo principio apodittico la
liceità e la struttura di una dialettica intelligibile; una volta ammessa
siffatta dipendenza, si avrebbero strane conseguenze, che quelle dialettiche
che sono contraddittorie, come la sirena omerica, o che sono prive di
intelligibilità, come i nessi associativi, dialettiche della cui esclusione da
un'intelligibilità è data piena autocoscienza, dovrebbero avere a loro
principio la liceità o essenza pura delle dialettiche intelligibili e
dovrebbero inferire il loro inintelligibile nesso dalla forma categoriale
intelligibile di queste, che nessuna dialettica dovrebbe darsi a livello
dell'intuito autocosciente se non in seguito all'autocoscienza di una qualsiasi
dialettica intelligibile,
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