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sposta a
siffatto problema, il mio discorso rinuncia a farsi duplice e a risolvere
entrambe le problematiche delle due ragioni sufficienti delle due metodiche, si
limita a investire una sola ragion sufficiente, quella del principio funzionale
implicito ed omogeneo in entrambe le metodiche. Di questa argomentazione
momento indiretto è stata la dimostrazione dell’assurdità e impensabilità del
primato del problema, e correlativa soluzione, della connotazione del concetto
di principio metafisico per questa o quella delle due opposte modalità della
natura, siffatto primato comportando l’unità univocità inerenza in esso di
ragioni sufficienti di un unico genere e insieme l’inferibilità di
determinazione che, une ed univoche di diritto, ma contraddittorie e ambigue di
fatto, rimandano al loro principio, la metodica, come a qualcosa almeno di bivalente
nel suo concetto e quindi di dipendente da un’ulteriore serie di ragioni
sufficienti, le quali a loro volta riguardano da un lato la funzionalità della
metodica, dall’altro la relazione di predicabilità tra l’ignoto primo ontico e
le note rappresentazioni fenomeniche e quindi stabiliscono il primato di questo
rapporto come problema supremo dalla cui soluzione dipende la determinazione di
tutti gli altri - il modo di concepire il rapporto di predicazione tra le
concezioni fenomeniche e la connotazione della nozione di primo ontico entro il
giudizio primo metafisico determina l’uso a tale fine di qualsivoglia tra le
classi del fenomenico che, una volta divisa la natura in sfere eterogenee,
venga assunta come fonte prima di conoscenza del primo metafisico, e quindi
condiziona le modalità funzionali di qualsivoglia delle due metodiche sia stata
assunta per altre ragioni sufficienti come la sola capace di illuminarci
nell’interpretazione metafisica e naturale delle cose. Con ciò l’argomentazione
esige il suo momento diretto.
Principio
della dimostrazione diretta del primato della predicabilità del concetto di
primo nell’essere con nozioni fenomeniche in genere sulla predicabilità del
medesimo concetto con queste e non quelle delle nozioni fenomeniche, e quindi
del primato del problema della quantità e non della qualità del fenomenico noto
da assumere di diritto e di fatto a predicato di un concetto primo metafisico,
è la condizione già data della mediazione in genere tra enunciato primo
metafisico ed enunciati metafisici secondi. Se è vero che da qualsivoglia
fenomeno si pretenda
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muovere per
inferire la connotazione del loro concetto da uno stato di conoscibilità che
dia in congruenza reciproca le illazioni dalla nozione del primo metafisico e dalle
rappresentazioni intuitive del fenomeno stesso, si impone pur sempre che già il
primo metafisico sia stato determinato nel supremo dei giudizi metafisici, è
altrettanto vero che tale determinazione non solo è avvenuta attraverso una
connotazione sfruttante nozioni del fenomenico assunto, ma si è verificata pure
in ottemperanza con i canoni generali di una connotazione in genere del
concetto in genere di un primo metafisico, e che questi canoni sono altrettanti
modi eretti a regole dopo esser stati trascelti, in nome di questo o quel
principio formale, di questo o quel metodo metafisico generale, entro il numero
totale dei modi di conoscere umani in generale. Sicché la mediazione tra il
fenomeno da interpretarsi alla luce delle conoscenze metafisiche e il soggetto
umano interpretante è in realtà duplice, fondata com’è su due ordini di nozioni
medie, quelle di metodica metafisica in generale, che sono le più vicine al
pensiero analizzante e le più lontane dal concetto che attende luce, e quelle
di metafisica in atto, che sono le più lontane da quello e le più vicine a
questo e quindi la sorgente diretta della sua illuminazione; ma appunto per
questo il processo del pensiero non è dal fenomeno ignorato scelto per essere
conosciuto al fenomeno scelto e reso noto per interpretazione
induttivo-metafisica o analitico-deduttiva attraverso il primo nell’essere, ma
è dalla medesima linea di partenza al medesimo traguardo tramite un metodo di
portata metafisica e la conoscenza del primo nell’essere ottenuta per applicazione
del metodo. La determinazione del metodo dipende molto meno di quel che si
afferma e molto meno di quel che pare immediatamente evidente dal qualitativo
ed essenziale alla sfera assunta tra quelle in cui si è o voluto o potuto
frangere il fenomenico. Si ammetta infatti che la natura sia ambigua e
contraddittoria essendo le sue connotazioni essenziali due, quella di essere
per determinismo causale, e quella di essere per indeterminismo libertario, in
primo luogo si tratta di vedere se la scissione del fenomenico sia bipartizione
di sfere o astrazione di elementi, il primo modo di scissione essendo una
dicotomia del totale fenomenico in fenomeni, il secondo modo essendo una
dicotomia di un fenomeno complesso in componenti semplici ed elementari,
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il primo
modo di scissione consentendo la coesistenza di due eterogenei fenomenici e
quindi non sovrapponendo e contrapponendo l’ideale al reale, il secondo modo di
scissione rendendo inintelligibile l’esistenza di un complesso al di fuori e al
di là della composizione dei semplici elementari e con ciò sovrapponendo e
contrapponendo l’ideale al reale; in secondo luogo nessuna decisione in merito
alla scelta può essere presa se prima non si sia deciso che cosa ci sia di
metafisico nel fenomenico, o in termini più intelligibili che cosa del
fenomenico si manifesti tale da richiedere l’appello a qualcosa d’altro dal
fenomenico e perciò da potersi assumere come degno e congruente segno del
metafisico e, in conseguenza, sufficiente e idonea nota di una connotazione del
primo nell’essere; può sembrare che la prima decisione condizioni la seconda,
che cioè sia la scoperta di un attributo essenziale della natura e la sua
eterogeneità da altro attributo a portare necessariamente il pensiero a
connotare secondo un modo solo della natura il concetto di primo ontico, sicché
la cernita del segno di portata metafisica entro il fenomenico sarebbe una pura
conseguenza di tale scoperta e sarebbe implicitamente contenuta in essa; ma c’è
da chiedersi se la dualizzazione della natura sia conseguenza di un metodo
generale dell’utilizzazione del fenomenico a fini di conoscenza metafisica, o
non lo sia di un caso particolare di un metodo veramente generale, se cioè sia
lo stabilire ciò che di essenziale c’è nella natura e quindi di utilizzabile a
connotazione del primo metafisico sia il prodotto primo delle analisi che in
generale si fanno su tutto il fenomenico in genere
per fissare
i modi generici della sua utilizzazione a tali fini, oppure se queste analisi
non menino ad altro risultato ancor più generale, e precisamente a quanto e non
a quale del fenomenico sia atto a tale uso. La situazione non è identica nei
due casi e non si tratta di un giuoco di parole: infatti lo stabilire il quanto
non determina il quale in sé, ma determina sempre il quale in generale e l’uso
che dei vari quali può essere fatto in metafisica, ma non viceversa, perché
essendo un quale naturale o univoco e in questo caso coincidendo col quanto o
ambiguo-equivoco e in questo caso non coincidendo col quanto, si avrà la
possibilità di una illazione del quanto naturale da predicare del primo ontico
solo in una identità sua col quale; ma l’identità del quale
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e del quanto
non sarà mai offerta dal fenomenico intuito, o almeno non mi pare che necessariamente
lo sia, e soltanto una deduzione dal primo giudizio metafisico può porla.
Un’analisi razionale del fenomenico conduce almeno a un’ambiguità costante del
naturale e quindi a uno squilibrio estensivo fra quantità e qualità del
fenomenico. E allora, di fronte a una situazione qualitativa del naturale,
almeno di portata duale, la decisione se utilizzare uno solo dei due modi, e
quale, e perché, e la connessa decisione delle condizioni in cui lasciare, nei
confronti del primo ontico, il quale estromesso, e insieme la decisione
contraria di assumerli entrambi a connotare il concetto del primo metafisico
con il connesso problema di armonizzarlo secondo una o altra spiegazione della
loro unità scavalcante la loro opposizione, non possono essere certo fornite se
non da un previo criterio circa il quanto che del fenomenico in genere si può
usare come predicato nel giudizio metafisico primo. Quando Fichte e quando
Hegel dichiarano la qualità spirituale-ideale del fenomenico nota metafisica
per eccellenza, non estromettono dalla connotazione del principio l’opposto
qualitativo del naturale-determinato; con ciò hanno deciso già del quanto si
debba e si possa a diritto predicare del concetto di primo ontico, con una
differenza però tra i due che il quanto del primo è infinito e quindi
indefinito e perciò puramente possibile, mentre il quanto del secondo è finito
e determinato e quindi in atto; ma un quanto, possibile per infinità non in
atto, è di diritto, rispetto a ciò che di esso di fatto è dato e di diritto è dabile,
un quanto mai totale e sempre parziale, il che tradotto in termini logici suona
che del fenomenico non tutto può penetrare nel predicato del primo giudizio
metafisico nel quale quindi la nozione del soggetto resterà un conoscibile
permanentemente non conosciuto, ossia un noto per utilizzazione parziale del
quanto fenomenico; non altrettanto si dice del secondo. Ma se la questione del
quale fenomenico è condizionata dalla soluzione della questione del quanto, il
primo problema della metafisica pura deve allora ricevere la seguente
postazione: il giudizio che ha a suo soggetto
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