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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 270
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[pag 391 (270 F1 /2)]

che non certo per primi s'accompagnano ad autocoscienza; perciò, o che muova dalla mera ontità di una dialettica autocosciente in genere indipendente dal darsi all'autocoscienza di una dialettica intelligible o che accetti l'inautocoscienza dei meccanismi aristotelici o di qualche altro meccanismo di identica finalità, l'astrattismo pone la liceità dell'intelligibile e delle sue dialettiche senza il condizionamento del principio acronico e diacronico dell'autocoscienza dei principi di ragione e, con ciò, se distingue una materia da una forma e una verità formale da una verità materiale, deve fondare la disarticolazione su ragioni che son altre dall'innatezza di quei principi e dall'inintelligibilità assoluta dell'intuito sensoriale: queste ragioni non sono certo l'eterogeneità della materia dalla forma, per l'intuitività di quella e la astrazione di questa, né l'eterogeneità della prima, per la sua deficienza di denotanti di intelligibilità, dalla seconda, per la sua denotazione da forme intelligibili; non restano che l'esclusione apodittica del relazionale dalla materia e l'essenziale relazionalità della forma; l'intelligibile dell'astrattismo è in sé l'unità sintetica di ciò che è essenzialmente altro dal rapporto con ciò che è essenzialmente rapporto: di qui la liceità di una disarticolazione dei due, la quale condotta al limite segna la separazione fra un qualcosa che non è rapporto, ma è "cosa" o "qualità", e qualcosa che è rapporto, essendo i due denotati formalmente dall'intelligibilità, anche la materia, che, se sensoriale, è pur sempre l'indice di qualcosa di intelligibile; ma a questo punto un astrattismo è tenuto a rilevare che la discrezione della materia  dalla forma non è la conseguenza della deduzione rispettiva dell'una da un principio e dell'altra da un principio eterogeneo, se non altro perché entrambe rimandano a un ontico in sé, unico, unitario, sintetico che è la forma, nel senso aristotelico del termine la quale, unica fonte dell'intelligibile e della sua autocoscienza, è, per Aristotele, un'ontità che è in sé nell'intelletto attivo e in sé sia pur indirettamente nel fenomenico; ora per siffatta unità non è lecito preporre due diversi principi; d'altra parte, quando l'astrattismo dialettizza le stesse dialettiche, quali esso le concepisce, deve ammettere, o come autocosciente apodittico o come autocosciente problematico, una denotazione della materia, ossia un suo modo ontico, che è ragione sia del nesso particolare della dialettica di cui è biffa sia dei nessi generali e categoriali che sono ragioni generiche del nesso particolare sia dei rapporti funzionali in cui quella materia si pone, a biffa correlata dialetticamente, con un'altra materia, della quale deve dirsi tutto ciò che si dice della prima: infatti, è necessario che nell'unità dell'intelligibile in sé la materia di questo faccia tutt'uno con i suoi rapporti formali il che non ha luogo se le materie stesse in cui quella si disarticolerà non rivelano qualche componente che sia richiamo necessario delle altre che son denotanti dello stesso intelligibile, e, in più, si impone che le qualità delle varie materie siano di essenza tale da porre necessariamente ciascuna se stessa e insieme tutte le altre e viceversa; in parole parole ((??in poche parole??)), un astrattismo esclude il diritto che l'autocoscienza del nesso formale sia aliena da una certa modalità essenziale della materia


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che esige sia una materia definita eterogeneamente da essa nella qualità e nella modalità essenziale sia la sintesi con essa, esigenza e sintesi che entrando nella dialettica acquistano l'autocoscienza del rapporto particolare della dialettica; e, ancora una volta, nonostante il mutamento del presupposto e dell'interpretazione della sfera intelligibile, la materia finisce per identificarsi con la forma, come quella che è ragione sufficiente dell'ontità, delle modalità, della necessità di questa, e se risulta vero che tale dialettica distingue una propria verità formale come deduzione del suo modo d'essere relazionale da certi ontici autocoscienti che sono dialettiche la cui materia è una forma da una propria verità materiale come deduzione del diritto delle sue biffe ad entrare in essa dalle modalità ontiche che sono loro note e che sono note del fenomenico cui le biffe appartengono, risulta altresì vero che la verità formale non ha la liceità di limitarsi a quella sua deduzione, ma deve accettare anche una deduzione degli stessi principi formali della prima dalla materia e una deduzione del particolare nesso dialettico dalla struttura qualitativa della materia, la quale ultima deduzione è costantemente presente anche se problematica, mentre la verità materiale è tenuta a giustapporre alla sua prima dialettica cui la si voleva limitare anche una deduzione dai principi formali dell'intelligibilità in genere, sicché le due verità finiscono per coincidere in un gruppo di dialettiche a nessuna delle quali è lecito pretendere a un diritto esclusivamente proprio e da negarsi alle altre; resta la distinzione della verità materiale e della verità formale in un empirismo: qui sembra che nulla di ciò che costituisce la materia intervenga ad agire sulla forma, la quale o è un rapporto universale e necessario che ha la ragione della propria ontità da sé e dei propri modi ontici da sé e dai rapporti genericissimi di cui è particolarizzazione o è questo stesso rapporto coi suoi attributi e con le stesse ragioni il quale affianca a questi certi modi di rapporti, l'associazione e ((o??)) la ripetizione che si danno nel fenomenico: la materia sarebbe allora il mero sensoriale in quanto paziente della o delle rapportazioni formali; ma abbiam già visto che questa è più una pretesa di distinguere che un diritto di farlo, perché, se è vero che nulla della mera materia del sensoriale si fa principio di note che, o problematiche o apodittiche siano ragione di funzioni reciproche fra i sensoriali e quindi di una loro forma, è pur vero che senza una equivalenza reciproca qualsivoglia dei sensoriali rapportati, o identità o somiglianza o conclassarietà che sia, la ripetizione di un'associazione vanifica e vien meno la ragione della forma intelligibile, il che s'intende non depone a favore di una necessità e di una fissità dell'equivalenza, ma soltanto a favore di un condizionamento dell'ontità e legittimità dell'intelligibile da parte di certi modi del sensoriale, cosa che anche l'astrattismo deve pure ammettere, come pure è vero che senza la stessa equivalenza le forme, nella loro definizione applicata al fenomenico o inferita da questo, sono ma non hanno ragione di essere, il che questa volta depone a favore di una necessità e costanza dell'equivalenza dei sensoriali rapportati senza cui l'applicazione della forma a priori, della quale qui parliamo, è flatus vocis;


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donde consegue che un empirismo, o di marca pura o di marca kantiana, solo a parole distingue una fomra dalla materia e una verità formale dalla verità materiale, perché l'universalità e necessità della forma esige un'inferenza immediata da sé la quale tuttavia rimanda a un'inferenza di certi modi della materia sensoriale la cui ontità è ragione dell'ontità della forma; che se poi questi modi sono tanto generici e indeterminati da non consentire di farne ragioni se non dell'intelligibilità in genere della forma, ma non del suo modo, ciò non toglie che una descrizione che non voglia chiudere gli occhi su quei modi, come fa un empirismo, è tenuta a una qualsivoglia giustificazione loro, ossia a trovare una loro ragion sufficiente, la quale, per quanto ipotetica o problematica, dovrà pur sempre correlare se stessa con le forme e quindi anche coi particolari modi di queste, traendo così da sé, in parole più semplici, l'intelligenza non solo della mera modalità dell'equivalenza reciproca dei sensoriali, ma anche di un rapporto funzionale tra i sensoriali equivalenti e il rapporto formale da essi accettato; quanto, infine, all'impossibilità della sfera della dialettica di differenziare la materia dialettizzata dalla materia sensoriale, con la conseguenza che dall'inintelligibilità di questa è illegittimo inferire l'intelligibilità della prima e la sua funzione di ragione della forma, pare lecito indagarla in una dottrina astrattistica o empiristica, non innatistica, la quale è già tenuta, ancor prima, a offrire materia sufficiente per convincere una ragione che i suoi autocoscienti sono di fatto e di diritto altri da quelli del piano sensoriale, in quanto io non vedo come una percezione sensoriale susciti la reminiscenza platonica di corrispondente concetto la cui materia sia del tutto altra da quella della percezione o come la stessa percezione si differenzi dal simmetrico intelligibile come un confuso da un chiaro, secondo che vuole Leibniz, essendo il primo o una equivalenza funzionale tra quantitativi variabili, nel qual caso, a parte che la ragione dovrebbe escludere da sé non solo tutti gli intelligibili qualitativi, per il che niente di male, ma anche quell'intelligibile del corpo in genere che non ha materia se non accoglie sensoriali e senza cui l'equivalenza funzionale non regge, verrebbe meno il diritto di distinguere un autocosciente confuso da un autocosciente chiaro la cui esistenza sarebbe condizionata almeno dal concetto di autocoscienza in genere la cui riduzione a un'equivalenza matematica non solo sarebbe necessaria volendo distinguere il suo dato immediato, che è pur un sensoriale e quindi un confuso, dal suo intelligibile chiaro, ma dovrebbe esser tentata con operazioni di cui non riesco neppure lontanamente a immaginare il principio, o un complesso di intelligibili fra cui ci sono dei matematici e dei qualitativi, i quali ultimi dovrebbero avere a materia una qualità che non sia nulla del sensoriale e insieme debbono materiarsi con del sensoriale; ora, l'impossibilità di fatto in cui le dialettiche giacciono di utilizzare una materia che sia del tutto altra dal sensoriale si è già dimostrato non essere di ostacolo a un'inferenza da essa di un intelligibilità qualsivoglia, sia per un astrattismo, il quale deve pur trattare almeno una parte del sensoriale come il segno ((regno??)) e l'effetto di un intelligibile che immane inautocosciente in esso e che è destinato in fondo a restar tale, sia per un empirismo, per il quale




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