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e di coesistenza simultanea
e unificata in un tutto di due biffe che solo in un caso sono identiche l'una
all'altra, nel caso che si sintetizzino in quell'ontico che è qualità del
quantificato e che chiamiamo due, mentre negli altri casi sono l'una l'unità
che è già stata biffa della dialettica del due e l'altra una sintesi solo
mediatamente identificabile con l'unità; dal che segue che ogni ripetizione del
rapporto in parole sussiste alle condizioni che una delle sue biffe sia posta
in equivalenza con l'unità sintetica dei molti trattati come unità identiche
l'una all'altra, e inoltre che esso stesso si faccia biffa di un'unità che è
sintesi delle sue due biffe, l'unità sintetica delle molte unità identiche e
una delle unità identiche; che se si obietta che ciò è falso perché nessuna
illiceità esclude la legittimità dell'enumerazione 1+ 1 + 1+ 1......, o che ciò
non è vero perché le dialettiche hanno la liceità di enumerare 1, 2, 3,
4....senza mai arrestarsi, ad ogni ripetizione del rapporto di
giustapposizione, all'equivalenza 1 + 1 = 2, 2 +1 = 3, ecc. si risponde da un
lato che la enumerazione 1 + 1 + 1 + 1... è un segno che ha a sua supposizione
degli ontici autocoscienti che non sono affatto identici agli ontici
autocoscienti che il segno suscita, perché nessuna dialettica fra ontici
autocoscienti è in grado di conservare all'autocoscienza, secondo la
simultaneità che è delle dialettiche di condizione umana, più di due ontici se
non alla condizione che nell'atto di utilizzare a biffa due di essi in rapporto
con un terzo, o più di due di essi in rapporto con uno sovraggiunto, è
necessario che i due o i più di due siano stati unificati in una sintesi tale
che sia lecito trattarla come un'unità, e sillogismo e polisillogismo lo
inseguino ((insegnino??)), essendo allora quel segno una traduzione in quel
mezzo spaziale in cui distinti che sian più di due " sembrano"
correlarsi reciprocamente senza perdere nessuno la propria discrezione dagli
altri, di quello stato degli ontici autocoscienti che è di una dialettica che
ignora lo spazio, stato in cui mai una pluralità di più di due è dialettizzabile
con la loro permanenza in discrezione, d'altra parte che l'enumerazione 1, 2,
3, 4....è anch'essa un segno linguistico sotto cui si suppone la dialettica di
giustapposizione come qui sopra abbiam descritto, essendo piuttosto il segno
linguistico un supposto da qualcosa che ha una certa corrispondenza col segno,
questo: 1 + 1 = 2, 2 + 1 = 3, ecc.; che è ciò che i bimbi che enumerano
veramente dicono; dal che risulta che la forma di giustapposizione non è mai un
assoluto, ma un momento o biffa di una dialettica di equivalenza e che, in
quanto dialettica di equivalenza rimanda per la sua analisi alla classe di
queste; d'altra parte anche i rapporti matematici raccolti nella terza classe
in quanto nessi di unificazione di quantitativi discreti da equazionarsi a un
quantitativo unico sono in funzione del modo qualitativo di questo e quindi del
rapporto di equivalenza con questo; ora, nel rapporto di equivalenza, affinché
l'equazione abbia un significato è necessario che uno dei rapportati sia o sia
trattato come un tutto uno, dalle cui variazioni dipendono, in una immutabilità
della forma di giustapposizione o delle forme di unificazione, le variazioni
dei quantitativi giustapposti o unificati, e, se è vero che la variabilità è
lecito che giochi liberamente all'infinito e che una quantità infinita
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di quantificati variabili
entri nei rapporti che son biffe della forma di equazione, è altrettanto vero
che l'infinito è quantitativo e non qualitativo come quello che riguarda una
liceità di aumento o di diminuzione all'infinito delle quantità dei
quantificati, ma non la liceità di un mutamento all'infinito dei modi
qualitativi delle variabili i quali anzi non solo giacciono entro un numero di
variazioni lecite che non equipara l'infinita successione dei quantificati
irrelati, ma ritrovano la ragione di questa liceità definita in un'essenza
generica una ed unica che è il qualitativo immutabile e generale che i
quantificati debbono assumere poste siffatte forme; queste, allora, non calano
sui quantificati con assoluta indipendenza dalle loro modalità qualitative, ma
una volta posta l'unità sintetica del quantitativo con cui il resto
dell'equazione dev'essere equazionato o vedono entrare nei vacuoli delle loro
branche quei quantitativi che hanno almeno un certo modo qualitativo generale,
in assenza dei quali né le forme equazionate né la forma di equazione ha
ontità, o debbono lasciarsi sostituire da altre forme nel caso che i
quantificati da equazionarsi siano già definiti e sia richiesta la permanenza
dell'ontico della forma di equazione; che se poi si pretende che ogni
quantificato in generale sia del tutto riducibile alla forma o alle forme che,
unificandone le parti unitarie, ne consentono la sintesi, la pretesa reggerebbe
se si dimostrasse che queste parti unitarie disarticolate o consentono un
processo di analisi all'infinito che non s'arresta mai a porzioni quantitative
elementari e che, con ciò, vede le porzioni sciogliersi sempre in rapporti
formali, il che non è, perché, anche ammessa la liceità di tale processo, la
forma cui la riduzione mena non solo è quella che è in funzione del modo
qualitativo del tutto uno da cui si parte, e in funzione dei modi qualitativi
dei quantitativi raggiunti dalla riduzione, ma sussiste alla condizione che dei
quantitativi che non sono qualsivogliano ma sono sempre in funzione del tutto
da cui son ridotti, sian sempre lì nell'autocoscienza con i loro modi
quantitativi a consentire l'ontità autocosciente dei successivi rapporti; anche
la matematica quindi con le sue forme solo in apparenza prescinde dalla materia
delle biffe e dalla qualità di essa-; c) che, se il rapporto formale
connettente intelligibilmente due intelligibili ha esso stesso una
comprensione, la quale, disarticolata in connotanti generiche e specifiche, si
fa oggetto e materia di una dialettica, deve essere esso stesso un'unità e un
intelligibile, nel senso che da un lato deve esser denotato dalla connotante
generica che ne fa una morsa indissolubile a due estremi che sono a loro volta
morse pronte ad afferrare e quindi a far un uno quanto vi entra, dall'altro
deve trovare tutte le sue note denotate dall'intelligibilità, con la
conseguenza che delle tre l'una o quanto entra in ciascuna delle due morse
estreme è un rapporto, ossia un intelligibile che a sua volta è morsa nei cui
estremi entrano rapporti che relazionano rapporti e così, e la materia è in sé
un intelligibile che è principio di intelligibilità per sé e per il rapporto di
cui è biffa, e in questo caso si dà la forma delle dialettiche dialettizzanti
forme, le quali però non sono neppure una porzione della sfera delle
dialettiche, perché non esiste nessuna dialettica di dialettiche la quale non
veda le sue biffe indirette coincidere con una materia che non è forma
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