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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 278
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[pag 417 (278 F1 /2)]

apoditticamente si risolve quando sia disarticolato perfettamente e il cui risultato è quella certa quantità di spostamenti d'attenzione, garantiscano alle dialettiche una immutabilità e legittimità assolute che son poi quelle del pensiero divino come sfera di dialettiche autocoscienti quale l'immagina Aristotele, e fanno di quella sfera l'optimum cui l'umana tende instaurando con ciò fra il suo concetto e la nozione della totalità delle dialettiche di condizione umana una certa dialettica che solo in parte segue il rapporto da tutto a parte; evidentemente, per Aristotele la distinzione fra intelligibilità divina e intelligibilità umana è facile perché alla prima spetterebbe un'autocoscienza essenziale e apodittica, alla seconda un'autocoscienza per lo meno accidentale e quindi problematica, ma chi abbia definito l'autocoscienza in generale come un costantemente essenziale e apodittico all'intelligibilità dialettica, è tenuto ad andare a cercare altrove la ragione della diversità, sia che la sfera divina accolga come un ontico sia come un problematico; ma il problema della natura di un'intelligibilità divina rimanda a un'altra questione, quella dell'unità dell'intelligibile; se il dialettizzare in genere di condizione umana scaturisce da una rottura dell'unità dell'intelligibile e tende a ricostituire quanto il suo principio ha annullato nell'intelligibile mediante un'unificazione estendentesi a un numero sempre maggiore di materia con un numero sempre più grande e una varietà qualitativa sempre più precisa di forme sino a coinvolgere sia pure, come concetto zero, la qualità dell'intelligibile che gli compete in quanto uno semplice e che non coincide né con nessuna delle qualità delle sue denotanti né con il loro organizzarsi per unificazione né con un'intuizione di quell'uno semplice che è l'intelligibile, e se la legittimità di una dialettica risale a una sua verità materiale che è al tempo stesso ragione di sé e della verità formale che solo per astrazione ne vien separata, è evidente che un'unità semplice dell'intelligibile deve almeno esser postulata, pena le aporie che alla sfera dialettica derivano dall'assenza o illiceità di una verità materiale o da una sua pretesa creatività; d'altra parte, la stessa unità con la sua necessità balza fuori anche da altre istanze, e precisamente dal fatto che un intelligibile che sia biffa di una dialettica vi è trattato in certo modo come un unitario di unità semplice, e se è vero che tale trattamento è qualcosa di mediato come quello che ha le sue ragioni in una precedente dialettica o serie di dialettiche apodittiche o problematiche che hanno o di fatto o di diritto o per mera liceità unificato le sue disarticolazioni e con ciò dialettizzato i disarticolati con la nota dell'uno, è altrettanto vero che questa antecedente dialettizzazione ha avuto a sua base una certa unità in sé dell'intelligibile e non annulla quella modalità di unità e di qualitativo in funzione dell'unità che accompagna l'intelligibile che è biffa della dialettica, come prova il fatto che la nozione di mammifero che sia biffa di una dialettica mutua la sua intelligibilità, è vero, dalla sua disarticolazione in materia apodittica e ontica o soltanto lecita ((??)) e forme dialettizzate, da varie dialettiche, ciascuna fra loro e tutte con la nota dell'uno, ma non per questo si svuota di quella mammiferinità che è la modalità del qualitativo in funzione dell'unità la quale,


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[pag 418 (278 F2 /3)]

se nessuna dialettica afferra e se la totalità della dialettica è tutt'al più capace di articolare come concetto zero sull'intera comprensione disarticolata e ordinatamente unificata, resta pur sempre nell'autocoscienza come segno dell'unità semplice e originaria dell'intelligibile mammifero e di quella sua qualità che non coincide né con la somma delle note né con la loro articolazione per unificazione, con la conseguenza che l'ontica unità semplice dell'intelligibile è presente nella sfera delle dialettiche non solo come problematico principio di ontità e legittimità delle dialettiche ma come principio di certi intelligibili, che sono, anche, tutti concetti zeri, alla cui genesi non stanno né le note disarticolate né le dialettiche unificanti; d'altra parte, la stessa essenza della dialettica, anche se è lecito, e io non vedo come, sia sganciata da un principio che è unità semplice dell'intelligibile, con quella sua denotante dell'unificazione deve dare come risultato della sua ontità e della sua autocoscienza, un certo ontico autocosciente la cui intelligibilità sta appunto nella dialettica con cui coincide, ma la cui funzione di farsi biffa di un'ulteriore e differente dialettica presuppone quel suo diritto ad esser trattato come un uno in forma dell'unificazione che lo costituisce, sicché, anche negando un'originaria unità modulo dell'unificazione, la stessa unità si ritrova al termine dell'unificazione dialettica come suo frutto e la si ritrova con una tonalità e modalità qualitativa di cui l'unificazione non si pone a sufficiente ragione, il che è dimostrato da questo che, ammesso che il concetto di mammifero come biffa unitaria di una dialettica non sia un principio di intelligibilità bensì uno degli effetti conseguiti da quell'intelligibilità che è la serie delle dialettiche il cui risultato è l'unificazione di una molteplicità di intelligibili nell'organismo della nozione mammifero, lo stesso concetto è pur sempre un uno e come uno ha un certo modo di porsi a biffa autocosciente di dialettiche di cui l'unificazione in organismo di tutte le sue denotanti è ragione necessaria, ma non suffciente; dunque pesa entro la sfera delle dialettiche l'unità semplice dell'intelligibile; d'altra parte, l'essenziale dialettica-autocoscienza degli intelligibili di condizione umana esclude la presenza di quell'unità entro la sfera dell'intelligibilità, sia perché la struttura di un intelligibile autocosciente è una dialettica ossia una disarticolazione cui simultaneamente si è accompagnata un'unificazione sia perché un intelligibile che entri in una dialettica come biffa vi sta alla condizione di avere intelligibilità, ossia di offrire la liceità e l’apoditticità di una dialettizzazione o di offrire allo stato problematico la stessa liceità, sicché nella sfera dell'intelligibile autocosciente umano non c'è posto per un ontico che sia intelligibile e insieme uno e semplice; ora il problema non è affatto quello di stabilire come si generi una dialettica che come unificazione necessita dell'unità semplice di ciò la cui disarticolazione essa unifica e che come intelligibile esclude l'autocoscienza di un intelligibile unico e semplice che entri, assieme ad essa, come biffa di una dialettica di equivalenza o di genesi, non è cioè gnoseologico, in quanto la biffa di un intelligibile unico e semplice che si dialettizzi in equivalenza e in rapporto di principio a conseguenza con un intelligibile che è una dialettica, è sempre offerta da un concetto problematico che sarebbe l'autocoscienza dell'intelligibilità


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[pag 419 (278 F3 /4)]

in sé immanente inautocoscientemente nel fenomenico e in uno o altro modo trasparente, per dir così attraverso di esso, cosicché l'attenzione e la disarticolazione  lavorerebbero sulle tracce o indici di intelligibilità offerti dal fenomenico quasi operassero sul concetto problematico, e il problema allora non consisterebbe più nello stabilire con quali modalità o meccanismi da un aggregato fenomenico si salta dall'autocoscienza di un intelligibile uno e semplice, ma con quali modalità e meccanismi la sfera delle dialettiche inserisce fra l'aggregato fenomenico e le dialettiche costruite su esso un concetto problematico che sia principio di ragione e di garanzia da un lato dell'ontità dell'intelligibile inautocosciente e immanente nel o sotto il fenomenico a costituirne un aggregato la cui unificazione e i cui modi sono da trattarsi come altrettanti indici di ciò che è in o sotto esso, dall'altro della legittimità e validità -verità formali e materiali delle dialettiche che pur traendo origine dal fenomenico pretendono di rifarsi ad esso come a propria sorgente - il discorso non cambia quando a origine delle dialettiche autocoscienti intelligibili si pongano idee innate, le quali o sono degli intelligibili autocoscienti, e allora si dan già esse secondo una struttura dialettizzata che si tratterebbe solo di distinguere nei suoi momenti, il che in fondo non arrivo a capire chiaramente, dal momento che o le dialettiche sono veramente tali ossia esplicite e quindi distinte l'una dall'altra e distinte entro di sé nella loro materia e nella loro forma, nel qual caso l'idea innata coincide con la totalità almeno di una parte della sfera delle nostre dialettiche, il che non è verificato dai dati di fatto, o le dialettiche sono implicite ossia indistinte l'una dall'altra e indifferenziate ciascuna nella loro materia e nella loro forma, ma allora si avrebbe una struttura dialettizzata inautocosciente, ossia una contraddizione in termine, o sono degli intelligibili unitari e semplici i quali, come l'idea di soggetto o di identità o di non contraddizione o di quella figura geometrica qualsivoglia  che si assume a principio genetico di tutte le altre e di tutti i teoremi geometrici, hanno autocoscienza ma non struttura dialettica, e allora sono nell'autocoscienza come degli intuiti godenti di quell'intuizione che è del fenomenico, e su di essi l'attenzione e la disarticolazione -unificazione degli spostamenti d'attenzione opera su di essi così come lavora sui fenomenici, trattandoli cioè come dei tutti che in un modo o in un altro è lecito dividere per tradurne le parti e i loro rapporti in materie e forme dialettiche, pel ((o??)) medio anche qui di un concetto problematico, privilegiato rispetto all'altro come quello con cui il dato intuito immediatamente coincide, nella qual teoria c'è sempre l'aporia del come un intuito intelligibile e unitariamente semplice, che dovrebbe coincidere con un intelligibile unitario e semplice, si distingua da questo, che deve di conseguenza, trasformarsi, in un inautocosciente immanente in esso, come un divisibile da un indivisibile -; il problema gnoseologico investe solo indirettamente il problema dell'unità dell'intelligibile, perché prima di tutto ha da affrontare la questione del diritto che la sfera dell'intelligibilità ha di assumere, poco importa se allo stato dialettico oppur no, certi dati, che in sé sono degli intuiti e che come intuiti si presentano tutt'al più caratterizzati dalla denotante formale della generalità,




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