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dell'uno del qualitativo e
dell'autocosciente e di esse fa
principio per uno spostamento all'intelligibile disarticolato e dialettizzato
che dal farsi conseguenza apodittica del primo ne ritrae legittimità e verità -
validità formali e materiali; poco conta che la riduzione a molteplice
dell'intelligibile dirotto in dialettiche sia dialettizzata, come conseguenza,
o con una dilacerazione, ontica in sé, di intelligibili i quali son predicati
con una denotante necessaria consistente in una duplice liceità di causalità
rispetto alla propria ontità, quella di porre sé nella propria qualificazione
completa e quella di porre sé in una qualificazione depauperata, o con uno
stato di completezza ontica di intelligibili la cui qualificazione è posta come
effetto dell'attuazione piena di tutte le potenzialità qualitative di cui
l'intelligibile in genere è carico, perché, nel primo caso che è del
platonismo, gli intelligibili autocoscienti che sono uni e semplici e che son
dialettizzati come ragioni di validità con gli autocoscienti che son biffe di
dialettiche, saranno tanti quanti sono questi ultimi, e si susseguiranno l'un
l'altro, in una gerarchia dal genere sommo dell'essere alle specie infime, la
quale sarà riprodotta nella sfera delle dialettiche da biffe di dialettiche la
cui unificazione organizzerà nella comprensione del genere la molteplicità
discreta delle specie e dei loro rapporti funzionali, mentre nel secondo caso,
che è quello dell'aristotelismo, si darà una sola serie di autocoscienti che
sono l'intuizione di intelligibili in sé, che è costituita dalla successione di
tutte le specie infime, dialettizzate ciascuna, con funzioni di ragione di
legittimità, con intelligibili entro cui le dialettiche sono penetrate a
diromperne l'unità in tutti i generi e in tutti gli specifici destinati a
divenire biffe di altrettante dialettiche; quel che conta è che nella
dialettica che s'instaura fra l'intelligibile intuito e l'intelligibile
frantumato e unificato in dialettiche non c'è solo un movimento, con un suo valore,
dello spostamento d'attenzione, quello che dall'intuito mena al dialettizzato
per ricavare la legittimità di questo dall'ontità di quello, ma vi è anche un
capovolgimento di direzione dello stesso spostamento che ha un suo valore e
precisamente quello di approfondire l'autocoscienza che del qualitativo
intelligibile offre l'intuizione dell'intelligibile uno con la struttura della
sua essenza, struttura che è offerta dal correlato intelligibile dirotto nelle
dialettiche, sicché nell'autocoscienza divina il rapporto fra l'intelligibile
semplice e l'intelligibile per unificazione finisce per riprodurre la forma di
soggetto e di predicato di un giudizio senza che ciò costi la perdita di unità
del primo (,)dato il rapporto di mera equivalenza dei due: sia che il complesso
degli intelligibili intuiti come semplici venga identificato con l'ontità
stessa dell'autocoscienza divina, come fa Aristotele, sia che venga
identificato con la traduzione di
ontici in sé nell'autocoscienza, di un demiurgo platonico, le dialettiche che
s'accompagnano ad autocoscienza con la funzione di simmetrici del complesso,
esplicano l'altra funzione di ragion sufficienti del qualitativo e delle
modalità del qualitativo di ciascun intelligibile semplice: nel caso infatti
che questo sia una specie infima il suo qualitativo ritroverà se stesso e le
ragioni della sua ontità e delle sue modalità, in quel suo equivalente che è la
sua comprensione
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disarticolata perfettamente
dal generico assoluto all'ultimo degli specifici necessari e dirotta
perfettamente nei corrispondenti qualitativi, ciascuno dei quali ha nella sua
qualità ciò che lo lega agli altri e all'unità del tutto, qualcosa che è
ragione della sua funzione di dipendente o di indipendente funzionale e delle forme
relazionali che ne derivano, e che sfugge, se non formalmente di certo
materialmente, alle dialettiche di autocoscienza umana, non a quelle di
autocoscienza divina; nel caso che l'intelligibile semplice sia uno fra i tanti
intelligibili che son biffe di una delle dialettiche, esso ritroverà il suo
qualitativo e le ragioni di questo o in una comprensione disarticolata
perfettamente, come quella di sopra, qualora sia il genere sommo, o in una
comprensione con disarticolazione egualmente perfetta, ma mancante di tanti
qualitativi quanti sono i generi ad esso sovrapposti; questa descrizione, si
dirà, è antropomorfica e contraddice a quella regola cui fin qui chi scrive si
è attenuto di guardarsi bene di attribuire ciò che è della condizione umana a
ciò che non si ha né diritto né ragione di trattare come di condizione umana, e
per di più muove tutta dal presupposto di intelligibilità a materia qualitativa
e ignora le dialettiche le cui biffe siano delle quantità; ora, a parte che il
discorso qui svolgentesi muove dalla dottrina logica di Aristotele, uno dei cui
pilastri è una sfera dialettica di autocoscienza divina, e tende a stabilire
che quel che è valido per essa è valido anche per una dottrina logica delle
classi o degli insiemi, a parte che alcuni sconfinamenti nel platonismo han
ricevuto il permesso dall'identità o sovrapposizione di zone dell'una teoria in
zone dell'altra, l'innegabile antropomorfismo è nullificato dall'attributo d
problematicità che dev'essere costantemente tenuto legato al concetto di una
sfera dialettica di natura divina, la quale una volta dichiarata autocosciente
da un lato dovrà albergare tutto ciò che di sé l'autocoscienza di natura umana
ha il diritto di estendere a un'autocoscienza in generale e quindi a
un'autocoscienza divina, che delle due l'una o si presuppone identica in quel
qualcosa di essenziale all'umana, nel qual caso sarà lecito parlarne, o si
esclude che sia identica, nel qual caso si dovrà tacerne assolutamente; d'altra
parte, una volta che si sia concluso nell'illiceità di denotare l'autocoscienza
di condizione umana di un intelligibile con l'accidentalità o la contingenza, e
la necessità di identificarla con l'essenziale struttura dialettica dello stesso intelligibile, se da
un lato sono fattori di promozione di un autocosciente problematico che sia
l'autocoscienza di una sfera dialettica divina come complesso di intelligibili
autocoscienti-dialettici privo di certi modi che appaiono propri della
condizione umana ma non dell'autocoscienza che vi si ritrova, dall'altro
inducono ad affrontare, prima ancora di una caratterizzazione dell'essenza
della sfera dialettica divina in quanto divina, la questione dell'unità e
semplicità dell'intelligibile in generale che si son rivelate principi e
condizioni e non già conseguenze dell'ontità struttura e validità delle
dialettiche; e questo rapporto fra intelligibile in sé e dialettica ha dovuto
esser trasferito nella condizione divina una volta che l'attribuzione a questa
di un'autocoscienza abbia trascinato seco l'estensione ad essa delle strutture
dialettiche,
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