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la quale unità, in quanto a
qualità sua peculiare, non è lecito non sia omogenea rispetto ad essa, il che
fa dell'intelligibile uno in sé un semplice; che se appare inintelligibile come
la stessa autocoscienza divina s'accompagni a un intelligibile che è uno semplice
e inarticolabile in qualitativi eterogenei e insieme a una moltitudine
simultanea di dialettiche che si fondano sulla disarticolazione in eterogenei
dello stesso intelligibile, in quanto se è vero che l'unità del primo si pone a
ragione sufficiente dell'unificazione del disarticolato e delle dialettiche del
secondo e, di conseguenza, della loro equivalenza, è altrettanto vero che,
scomparendo con la disarticolazione il qualitativo semplice e omogeneo
dell'intelligibile uno, non risulta né come la molteplicità dei qualitativi
eterogenei che son connotazione dell'intelligibile dialettizzato entri di diritto in equivalenza con ciò che essa
annulla e che non ricostituisce con nessuna unificazione dialettica né come il
qualitativo semplice si ponga a principio di molti altri da esso che neppure è
lecito affermare immanenti in esso con inautocosciente, sicché l'equivalenza
dei due si ridurrebbe all'equivalenza della loro forma non legittimata da
quella delle loro qualità, e se inoltre l'inintelligibilità è tale proprio per
un'autocoscienza divina in cui i due intelligibili, l'intuito e il
dialettizzato si danno in simultaneità assoluta e in una sorta di indipendenza
genetica reciproca, non per un'autocoscienza umana la quale dall'unificazione
del dialettizzato e dalla sua insufficienza a esser principio di un
intelligibile autocosciente in cui si dia la qualità che dall'unificazione
dovrebbe conseguire e non consegue, risale per dir così, come a concetto
problematico, all'ontico autocosciente di un intelligibile corrispondente uno
semplice e in sé, l'aporia di questa autocoscienza divina che, sia pur
problematica, dovrebbe costituire il limite cui le dialettiche umane tendono
come alla perfezione di una loro struttura perfetta e fondata sulla serie
corrispondente degli intelligibili uni e in sé, in quanto concetti apodittici e
non problematici, risulta più apparente che reale, non tanto perché sia lecito
escogitare una qualsiasi teoria o ipotesi, del tutto problematica, sul modo con
cui tale autocoscienza che è intendimento dialettizzi gli intelligibili intuiti
con i dialettizzati - nell'intendimento del divino demiurgo platonico la
dialettica dall'intuito al dialettizzato è spostamento d'attenzione dalla
classe degli intelligibili in quanto autocoscienti alla stessa classe in quanto
divenienti o generati gli uni dagli altri e confrontati gli uni cogli altri,
giacchè l'osservazione che due degli intuiti sono la conseguenza di una
dicotomia di un terzo, pone come lecito che relativamente ai due, questo sia
pensato come la loro giustapposizione, e così via; nell'intendimento del dio
aristotelico, è lecito pensare, tralasciando le varie aporie che vi insorgono,
e non certo per l'interpretazione che io qui ne sto dando, e mi riferisco alla
questione della potenzialià o materia intelligibile, che il qualitativo
peculiare di ciascuna specie infima, dialettizzato con quel qualitativo che è
peculiare del divino in generale in quanto intelligibile, ossia l'intelligibile
dell'essere in generale, riveli lo scaturire da questo di una successione di
qualità ben definite le quali nell'atto in cui s'uniscono a ciò da cui
scaturiscono si fondono e confondono con esso
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