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c'è anche questo rapporto, con quelli che ne conseguono, che, per
quel che ne so, le logiche aristoteliche tralasciano - o da una comprensione a
un generico o specifico che vi immangono e che ne divengono generi o da una
comprensione a un'altra in quanto subordinate come specie a uno stesso generico
o a uno stesso specifico i quali in entrambi rispettivamente vi hanno la stessa
funzione, ossia da comprensione a comprensione come da cogenere a cogenere;
grazie a questo gli intelligibili dialettizzati si correlano secondo rapporti
che s'aggiungono a quelli delle loro rispettive comprensioni e che li legano in
modo che l'attenzione abbia la liceità di spostarsi attraverso essi, lasciandoli
tutti nella loro unità per unificazione e nonostante questa, sulla base del
particolare rilievo indirettamente e implicitamente assegnato a quella denotante sotto il cui punto di vista tutti
s'accomunano o si equivalgono per una relazione reciproca che consente lo
spostamento nonostante la separazione o discrezione; per questo appunto ci
spostiamo con l'attenzione da Socrate a Paolo, dal mammifero al pesce; anche
qui non è di peso la differenza fra la descrizione platonica e quella
aristotelica, essendo per la prima i cogeneri degli accomunati da ciò che di
identico continua a sussistere del loro genere quando lo si privi di una delle
sue tonalità specifiche necessarie e quindi da un residuo di consanguineità la
cui eterogeneità essenziale, conseguenza della depauperazione, è pur sempre
trattabile come una zona di equivalenza, essendo per l'altra gli stessi
cogeneri degli ancor più accomunati dal fatto che in tutti il generico
essenzialmente non muta in seguito all'addizionarsi ad esso di questo e non di quello
specifico necessario; evidentemente alcuni dei caratteri formali di questa
correlazione reciproca tra gli intelligibili, e in particolare di quella tra
cogeneri, in quanto le altre da genere a specie o da specie a genere son pur
sempre aspetti particolari delle dialettiche da denotante a denotante entro la
comprensione che ne è connotata, sono in primo luogo l'esteriorità entro certi
limiti all'essenza stessa qualitativa di ciascun cogenere, in quanto le note
sotto il cui punto di vista le comprensioni dei cogeneri vengono relazionate in
sé pongono solo la necessità di sé, della propria qualificazione ed
unificazione, della propria funzione
nei confronti del resto della comprensione cui appartengono, della propria
azione di principi di intelligibilità rispetto alla totalità della
comprensione, ma perché divengano principi di quell'unità dei cogeneri che è la
loro conclassificazione occorre l'intervento dell'attenzione e di quel suo
condizionante, l'autocoscienza entro una dialettica, che stabiliscono la
perfetta identità della nota e delle sue funzioni generiche di fonte di
intelligibilità nonostante le differenze che pur vi si debbono immettere per
darsi una ragione della differenza dello specifico o del generico con cui la
nota s'articola, sicché è questo rilievo, in parte deformatore dell'ontico
intelligibile per sé e da sé, che dà il via allo spostamento d'attenzione che
relaziona i cogeneri; in secondo luogo, un certo grado di superficialità,
almeno rispetto all'autocoscienza della materia e della forma costitutive delle
precedenti dialettiche, perché evidentemente il rapportare comprensione a
comprensione in quanto cogeneri nulla modifica
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