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e nulla aggiunge a tutto ciò
cui si legava autocoscienza quando ogni singola comprensione veniva
disarticolata e unificata da una serie di dialettiche, restando le note, nel
loro valore di specifici e di generici, e nelle loro funzioni, nella nuova
dialettica quel che erano nelle precedenti; in terzo luogo, la capacità di
porsi a fronte di un allargamento della materia, già data con autocoscienza
nelle precedenti dialettiche, sia delle singole denotanti che delle varie
comprensioni e delle varie forme, giacché un generico, attraverso la dialettica
tra cogeneri, vede il proprio qualitativo ampliarsi di tutte quelle
denotazioni, sia pur concetti problematici, che gli derivano dal vario
articolarsi su di esso dei differenti specifici, e uno specifico vede ampliarsi
il suo qualitativo in ugual modo, e le stesse comprensioni, sia pure con
concetti problematici, vedono il loro qualitativo unitario entrare in funzione
con la varietà dei rapporti tra generici e specifici; infine, la capacità di
tale dialettica di farsi principio di una moltitudine di unificazioni che va ad
aggiungersi a quella prodotta dalle dialettiche entro le singole comprensioni,
perché tutti i cogeneri di livello infimo si trovano correlati rispetto a un
generico unico che assegna a tutti
uniformemente un'identica base qualitativa che si pone anche come l'univoca
sorgente se non altro della postulazione delle successive differenziazioni, con
la conseguenza che sorge il concetto, sia pur problematico, di un unico tessuto
di intelligibilità o di un'unica distesa dell'essere sui quali corrono
differenti correnti che variegano l'uniformità senza diromperla così come
farebbero credere le discontinuità su cui poggiano le dialettiche, e perché gli
stessi specifici, sottoposti a disarticolazione, si rivelano anch'essi cogeneri
e tali relativamente allo stesso genere degli altri, con la conseguenza che
risulta intelligibile la liceità di una loro articolazione su quel generico,
altrimenti assolutamente eterogeneo, e di una loro unificazione con esso; ma è
evidente che tutto questo di più che la dialettica tra cogeneri offre esige
come condizione la molteplicità per eterogenei disarticolati delle comprensioni
dei cogeneri; e allora, quando l'attenzione si porta su quei concetti di
intelligibili unitari e in sé che in realtà sono giudizi in cui a siffatti
intelligibili, denotati da inautocoscienza o da una autocoscienza di condizione
umana che ne fa degli intuiti immediati, è predicata ontità, la necessità di
aggiungere alla connotazione di ciascuno la semplicità qualitativa ossia
l'omogeneità di una qualità che è irriducibile all'unificazione di qualsivoglia
tipo delle qualità delle note dialettizzate entro i loro simmetrici, si traduce
nella necessità dell'esclusione da essi di una disarticolazione che sia da
essi, in quanto inautocoscienti o intuiti, e non da altro, e quindi di
un'eterogeneità reciproca del semplice qualitativo che li costituisce; ci
troviamo così di fronte dei concetti problematici di intelligibili a qualità
una, semplice, indivisibile, eterogenea ciascuna dalle altre; donde segue che,
se li facciamo intuiti, l'attenzione che su di essi si posa, in simultaneità
per tutti, insieme al farsi essi autocoscienti, sia pure di condizione non
umana, ha unicamente il diritto di operare su di essi spostamenti che sono da
eterogeneo ad eterogeneo, la cui forma cioè è la disequazione irriducibile o
impossibilità di trovare in ciascuno un qualsiasi fattore o principio,
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se non di identità, almeno
di equivalenza o di quel che si
pretende chiamare somiglianza, e quindi di procedere a una loro
conclassificazione sotto un qualsivoglia punto di vista che sia ragione della
classe e di una loro unificazione; ma una disequazione è di fatto un 'assenza
assoluta di relazione reciproca dei diseguali, mancando non solo un rapporto
che promani direttamente dai relazionati, ma anche le condizioni perché una
dialettica intervenga a generarlo all'autocoscienza; con ciò gli intuiti, in
quanto tali in sé, restano irrelati, atomi di intelligibilità che nessun ontico
riesce ad allacciare l'uno all'altro; ed è questa la condizione dell'intuizione
intelligibile o del dio aristotelico, le cui specie infime, intuite, come
intuizioni in sé e non come biffe di dialettiche che ne stabiliscano quella
qualsivoglia equivalenza coi simmetrici dialettizzati, giacciono in una
irrelatezza perfettamente discontinua, entro cui l'attenzione non si sposta ma
salta senza poi ritrovare nessuna ragion sufficiente per invertire
necessariamente il suo moto o per proseguirlo su altra biffa cui la precedente
avvii con necessità, o del demiurgo platonico la cui intuizione del mondo delle
idee è l'autocoscienza di una gerarchia di generi e di specie entro cui nessuna
necessità sorge da ciascuno degli intuiti a fondare l'univocità del suo grado e
delle sue funzioni o quella della gerarchia, ma tale univocità è assicurata
solo dall'immutabilità dei dati intuiti; che se poi gli intelligibili in sé son
posti con inautocoscienza, l'irrelatezza atomistica in cui giacciono è ancor
più piena perché dalla qualità unica e semplice di ciascuno nessun ontico ha la
liceità di partire ((patire??)) che si faccia ponte fra essa e la qualità
assolutamente eterogenea di un altro, e inoltre non c'è nessuna autocoscienza
con conseguente attenzione che consenta almeno quella parvenza di rapporto che
è la disequazione; gli intelligibili inautocoscienti giacciono discreti l'uno
dall'altro e, almeno relativamente ai materiali che le dialettiche di
condizione umana hanno il diritto di offrire a teorie ipotetiche o
problematiche, è dato ritrovare in essi quel sia pure inintelligibile punto di
sutura che è lecito pensare intercorrente fra i molti distinti di una ipotetica
struttura organica dell'intelligibile inautocosciente; l'irrelatezza è dunque
il secondo modo di un intelligibile in sé, come in fondo risulta anche dal
mondo delle idee di Platone in cui una volta datasi la genesi per dicotomia non
si vede che cosa riesca a connettere le specie ai generi e, attraverso questa
impossibile connessione, le specie alle specie, se non il senso del bisogno e
della mancanza, ammesso che un inautocosciente avverta sensi in generale; e
quando Herbart, dopo essere sfociato nella medesima conclusione, pretende di
sovraimporre a degli irrelati delle relazioni pragmatiche o energetiche, cade
in una contraddizione, le cui ragioni son forse da ricercarsi
nell'identificazione di ontico in sé con intelligibile in sé; che se le aporie
di una natura inautocosciente o intelligibili semplici e irrelati concrescono
su di sé senza fine, le stesse aporie non vengono meno quando si accetti una
distinctio formalis ex parte rei e dovranno essere affrontate, partendo
tuttavia dal dato che intelligibili naturali e inautocoscienti debbono essere
irrelati;
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