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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 284
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[pag 437 (284 F1 /2)]

e nulla aggiunge a tutto ciò cui si legava autocoscienza quando ogni singola comprensione veniva disarticolata e unificata da una serie di dialettiche, restando le note, nel loro valore di specifici e di generici, e nelle loro funzioni, nella nuova dialettica quel che erano nelle precedenti; in terzo luogo, la capacità di porsi a fronte di un allargamento della materia, già data con autocoscienza nelle precedenti dialettiche, sia delle singole denotanti che delle varie comprensioni e delle varie forme, giacché un generico, attraverso la dialettica tra cogeneri, vede il proprio qualitativo ampliarsi di tutte quelle denotazioni, sia pur concetti problematici, che gli derivano dal vario articolarsi su di esso dei differenti specifici, e uno specifico vede ampliarsi il suo qualitativo in ugual modo, e le stesse comprensioni, sia pure con concetti problematici, vedono il loro qualitativo unitario entrare in funzione con la varietà dei rapporti tra generici e specifici; infine, la capacità di tale dialettica di farsi principio di una moltitudine di unificazioni che va ad aggiungersi a quella prodotta dalle dialettiche entro le singole comprensioni, perché tutti i cogeneri di livello infimo si trovano correlati rispetto a un generico unico che assegna  a tutti uniformemente un'identica base qualitativa che si pone anche come l'univoca sorgente se non altro della postulazione delle successive differenziazioni, con la conseguenza che sorge il concetto, sia pur problematico, di un unico tessuto di intelligibilità o di un'unica distesa dell'essere sui quali corrono differenti correnti che variegano l'uniformità senza diromperla così come farebbero credere le discontinuità su cui poggiano le dialettiche, e perché gli stessi specifici, sottoposti a disarticolazione, si rivelano anch'essi cogeneri e tali relativamente allo stesso genere degli altri, con la conseguenza che risulta intelligibile la liceità di una loro articolazione su quel generico, altrimenti assolutamente eterogeneo, e di una loro unificazione con esso; ma è evidente che tutto questo di più che la dialettica tra cogeneri offre esige come condizione la molteplicità per eterogenei disarticolati delle comprensioni dei cogeneri; e allora, quando l'attenzione si porta su quei concetti di intelligibili unitari e in sé che in realtà sono giudizi in cui a siffatti intelligibili, denotati da inautocoscienza o da una autocoscienza di condizione umana che ne fa degli intuiti immediati, è predicata ontità, la necessità di aggiungere alla connotazione di ciascuno la semplicità qualitativa ossia l'omogeneità di una qualità che è irriducibile all'unificazione di qualsivoglia tipo delle qualità delle note dialettizzate entro i loro simmetrici, si traduce nella necessità dell'esclusione da essi di una disarticolazione che sia da essi, in quanto inautocoscienti o intuiti, e non da altro, e quindi di un'eterogeneità reciproca del semplice qualitativo che li costituisce; ci troviamo così di fronte dei concetti problematici di intelligibili a qualità una, semplice, indivisibile, eterogenea ciascuna dalle altre; donde segue che, se li facciamo intuiti, l'attenzione che su di essi si posa, in simultaneità per tutti, insieme al farsi essi autocoscienti, sia pure di condizione non umana, ha unicamente il diritto di operare su di essi spostamenti che sono da eterogeneo ad eterogeneo, la cui forma cioè è la disequazione irriducibile o impossibilità di trovare in ciascuno un qualsiasi fattore o principio,


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se non di identità, almeno di equivalenza  o di quel che si pretende chiamare somiglianza, e quindi di procedere a una loro conclassificazione sotto un qualsivoglia punto di vista che sia ragione della classe e di una loro unificazione; ma una disequazione è di fatto un 'assenza assoluta di relazione reciproca dei diseguali, mancando non solo un rapporto che promani direttamente dai relazionati, ma anche le condizioni perché una dialettica intervenga a generarlo all'autocoscienza; con ciò gli intuiti, in quanto tali in sé, restano irrelati, atomi di intelligibilità che nessun ontico riesce ad allacciare l'uno all'altro; ed è questa la condizione dell'intuizione intelligibile o del dio aristotelico, le cui specie infime, intuite, come intuizioni in sé e non come biffe di dialettiche che ne stabiliscano quella qualsivoglia equivalenza coi simmetrici dialettizzati, giacciono in una irrelatezza perfettamente discontinua, entro cui l'attenzione non si sposta ma salta senza poi ritrovare nessuna ragion sufficiente per invertire necessariamente il suo moto o per proseguirlo su altra biffa cui la precedente avvii con necessità, o del demiurgo platonico la cui intuizione del mondo delle idee è l'autocoscienza di una gerarchia di generi e di specie entro cui nessuna necessità sorge da ciascuno degli intuiti a fondare l'univocità del suo grado e delle sue funzioni o quella della gerarchia, ma tale univocità è assicurata solo dall'immutabilità dei dati intuiti; che se poi gli intelligibili in sé son posti con inautocoscienza, l'irrelatezza atomistica in cui giacciono è ancor più piena perché dalla qualità unica e semplice di ciascuno nessun ontico ha la liceità di partire ((patire??)) che si faccia ponte fra essa e la qualità assolutamente eterogenea di un altro, e inoltre non c'è nessuna autocoscienza con conseguente attenzione che consenta almeno quella parvenza di rapporto che è la disequazione; gli intelligibili inautocoscienti giacciono discreti l'uno dall'altro e, almeno relativamente ai materiali che le dialettiche di condizione umana hanno il diritto di offrire a teorie ipotetiche o problematiche, è dato ritrovare in essi quel sia pure inintelligibile punto di sutura che è lecito pensare intercorrente fra i molti distinti di una ipotetica struttura organica dell'intelligibile inautocosciente; l'irrelatezza è dunque il secondo modo di un intelligibile in sé, come in fondo risulta anche dal mondo delle idee di Platone in cui una volta datasi la genesi per dicotomia non si vede che cosa riesca a connettere le specie ai generi e, attraverso questa impossibile connessione, le specie alle specie, se non il senso del bisogno e della mancanza, ammesso che un inautocosciente avverta sensi in generale; e quando Herbart, dopo essere sfociato nella medesima conclusione, pretende di sovraimporre a degli irrelati delle relazioni pragmatiche o energetiche, cade in una contraddizione, le cui ragioni son forse da ricercarsi nell'identificazione di ontico in sé con intelligibile in sé; che se le aporie di una natura inautocosciente o intelligibili semplici e irrelati concrescono su di sé senza fine, le stesse aporie non vengono meno quando si accetti una distinctio formalis ex parte rei e dovranno essere affrontate, partendo tuttavia dal dato che intelligibili naturali e inautocoscienti debbono essere irrelati;




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