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si pone allora la questione
di quale differenza mai distingua una sfera di dialettiche di condizione umana
dalla sfera di dialettiche di condizione divina, dal momento che l'opposizione
di un'autocoscienza accidentale o contingente dell'una a un'autocoscienza
essenziale e apodittica dell'altra cade, e l'incompiutezza di quella con la
perfezione di questa e la diacronia delle dialettiche di condizione umana con
la simultaneità di quelle divine costituiscono
piuttosto modi parziali che toccano la quantità
o la situazione loro piuttosto che la loro essenza;ora, il confronto fra questa
porzione della sfera dialettica umana con la corrispondente divina mostra che
qui c'è tanto di dialettica quanto c'è di autocoscienza e che insieme c'è tanto
di dialettica quanto c'è di intelligibilità se per questa si deve intendere la
totalità delle materie delle forme delle funzioni in cui l'uno
dell'intelligibile si disarticola e se per quella s'intende la totalità degli
spostamenti d'attenzione che riescono ad unificare tutto ciò e in più la
qualità semplice dell'uno, mentre nell'umana se c'è tanto di autocoscienza
quanto c'è di dialettica, non altrettanto c'è di intelligibilità quanto c'è di dialettica, in quanto, anche ammesso
che tutto ciò che di materia di forma di funzioni c'è in un intelligibile
disarticolato venga immesso nella dialettica, mancherà sempre la componente
della qualità semplice dell'uno; donde segue che la convertibilità
dell'intelligibilità con l'autocoscienza e quindi con la dialettica è la
proprietà dell'intelligibile di condizione divina e il segno che lo distingue
da quello di condizione umana, in cui i tre sono inconvertibili; una dottrina
delle classi, in quanto insiemi, è il risultato dell'intenzione di dare una
teoria dell'intelligibilità di condizione
umana la quale aderisca a tutti i dati di fatto che son modi di questa e, con
ciò, li faccia tutti entrare in sé come proprie componenti, evitando le
inadeguatezze delle teorie degli intelligibili, le quali, capovolgendo il
rapporto, imponendo ad alcuni di quei dati di entrare come componenti, ad altri
di rimanere fuori, e accogliendo a proprie componenti ontici autocoscienti che
son tutt'al più dei problematici che non coincidono con nessun dato, mentre
arbitrariamente spartiscono la sfera delle dialettiche effettive in zone
legittime e in zone illegittime, costringono l'ontità della sfera a deformarsi
per entrare nella teoria; per questo, la dottrina delle classi esclude
l'immanenza autocoscienza di intelligibili in sé entro gli intuiti fenomenici,
indifferente alla questione se questi intelligibili siano quel che di essi fa o
Aristotele o Kant o Hume, e, se evita il fondamento gnoseologico come ragione o
principio del diritto delle dialettiche intelligibili in quanto per tale
diritto è sufficiente la loro stessa ontità,
fornisce il criterio veramente futile di assegnare a una teoria degli intelligibili
o delle dialettiche il compito di rifarsi al suo oggetto per quel che esso è o
si dà intuitivamente senza immettervi ontici
che non vi sono intuiti e che tutt'al più sono la risultante della soluzione di
questioni che nessuna teoria della logica pone fin che si attiene a quel
criterio e che tutte le teorie si sobbarcano quando applicano al loro oggetto
rapporti, come quello di ragione, al di là dei
limiti in cui questo stesso oggetto li verifica; riduce poi i conclassari primi
a quel che di fatto sono, a dati sensoriali e a gruppi di dati sensoriali,
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