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anche
dall'altro senza che nulla del nesso relazionale patisca mutamenti; è lecito
così stabilire una definizione dell'equivalenza, che è la liceità della
sostituzione reciproca di due ontici autocoscienti entro una dialettica con la
quale uno dei due sia stato correlato a un terzo ontico secondo una forma che
richiede per una delle sue materie la totalità qualitativa di quello e la
funzione che questo qualitativo ha rispetto al qualitativo del terzo; come il
rapporto d'identità è consentito dalla disarticolazione o rottura di unità di
ciò che costituisce il tutto di ciascuno dei due identificati, dalla
distinzione entro il disarticolato della porzione di qualificanti rispetto a
cui i due sono sostituibili e che è costituito dalla serie ordinata dei
rapporti in cui i qualitativi costituenti il tutto si correlano l'un l'altro
necessariamente, dalla porzione del
resto dei qualificanti, dalla concentrazione d'attenzione su quella porzione e
non sull'altra, così il rapporto di equivalenza è consentito e condizionato da
un'identica rottura del qualitativo costituente la totalità di ciascuno degli
equivalenti, da una separazione di quella porzione qualificante, rispetto alla
quale l'uno degli equivalenti è sostituibile all'altro e che coincide con il
rapporto ben definito nella sua materia in cui la totalità di ciascuno dei due
si pone con la totalità di un terzo autocosciente, dal resto dei qualitativi
disarticolati, dal rilievo o concentrazione d'attenzione su quella porzione
privilegiata; come è escluso che un rapporto d'identità s'instauri su due
intelligibili che siano ontici autocoscienti di condizione umana o divina e che
siano della sfera delle dialettiche perché qui dove si dovrebbe dare la dualità
che fonda il rapporto, questa base è meramente apparente e di fatto i due sono
uno ed un solo ontico, sicché se mai rapporto d'identità che sia apodittico è
lecito o tra intelligibili in sé uni e semplici, autocoscienti o
inautocoscienti che siano, o tra quelle loro manifestazioni che ricavino dal
manifestato la sua apoditticità, comunque tra degli intuiti, così il rapporto
di equivalenza è da escludersi che sia accettato da una dottrina degli
intelligibili come ontici nel ruolo di intelligibile in sé e avente ontità non
per la dialettica e per l'autocoscienza ma con la dialettica e con
l'autocoscienza, ossia che goda della stessa intelligibilità delle dialettiche
che la ritraggono dal qualitativo degli intelligibili di cui sono unificazione:
infatti, l'equivalenza è sempre fondata su di un rapporto strumentale, che per
più intelligibili che lo verifichino tutti uniformemente dev'essere oggettivo e
univoco e si dà solo sulla base dell'identità degli intelligibili delle quali
diviene un momento o una conseguenza, con la conseguenza che dati i rapporti
strumentali A/b, B/b, C/b dai quali risulta l'equivalenza di A con B e con C,
se ABC sono intelligibili di dialettiche essi di fatto sono uno ed un solo
intelligibile e con ciò verificano la situazione di identità di intelligibili
in dialettiche, se A B C sono intelligibili in sé, data l'unicità di b, essi
devono essere degli identici il cui rapporto con B è un semplice momento della
loro totale identità; ma noi abbiamo equivalenza quando di più ontici correlati
con un altro in un certo rapporto è illecita la sostituibilità
indipendentemente dal rapporto, quando cioè all'infuori dei rapporti A / b,
B/b, C/b è illecita la sostituzione di A a B e a C,
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il che
comporta che A sia diseguale da B e da C e che i tre o non siano intelligibili
e che quindi nessuna necessità sia nei loro rispettivi rapporti con b o siano
intelligibili e che quindi in nessun modo entrino con una stessa forma nei loro
rispettivi rapporti con b, con la conseguenza che il rapporto strumentale,
fondamento dell'equivalenza, rimanda sempre a una strumentalità o funzionalità
degli equivalenti che o è oggettivamente una, nel qual caso gli equivalenti
sono degli intelligibili identici, o è una solo soggettivamente, nel qual caso
gli equivalenti non sono degli intelligibili; [[Nota a matita
dell'autore: “ tutto questo passo è da rivedere e anche da rifare “]]
che la somiglianza non sia, essa pure, una denotante qualitativa unica che,
ripetuta entro due connotazioni in parte o in tutto differenti l'una dall'altra
o entro due molteplicità di qualitativi comunque unificati in parte o in tutto
diverse l'una dall'altra, consentirebbe di inserire tra le due un rapporto
apodittico di sostituibilità o che d'altra parte non sia neppure un certo modo
d'essere o un certo qualitativo unico, conseguenza di uno o più modi d'essere o
qualitativi di due connotazioni o di due molteplicità unificate e ragione
necessaria di un loro reciproco rapporto di sostituibilità, risulta
immediatamente dal fatto che quando giustapponiamo due ontici autocoscienti
sulla base di ciò che diciamo una loro somiglianza e sotto tal punto di vista
li poniamo in un certo rapporto siam sempre pronti a dislocare la
giustapposizione e a scartare il rapporto con la completa indifferenza che
deriva dall’inefficienza e irrilevanza delle conseguenze della dislocazione e
dello scarto; poiché il valore delle conseguenze di un qualsivoglia ontico
autocosciente è tutto nel rapporto in cui esso si pone con un autocosciente che
è altro da esso o che è posto come altro da esso, sia che questo secondo
autocosciente sia del tutto fuori ed eterogeneo dal primo sia che l'estraneità
ed eterogeneità si riduca a quella che si dà in un rapporto di parte a tutto
fra il tutto e la parte, l'irrilevanza delle conseguenze dell'autocoscienza
della giustapposizione e relazione di due simili comporta che giustapposizione
e relazione non siano sulla base dei due rapporti con cui ciascuno dei due si
connette ad un terzo loro esteriore e del tutto eterogeneo, dal momento che
tali rapporti, se fossero, come nell'equivalenza, il principio di
quell'unificazione che ai due simiglianti proviene dal loro giustapporsi e
relazionarsi reciprocamente, o sarebbero insorti con un certo loro modo o
materia qualificante che in nessun modo verrebbe poi annullata dalla successiva
dislocazione della giustapposizione e dal successivo scarto del rapporto dei
simili, sicché dislocazione e scarto non avrebbero il diritto di essere
inefficienti e irrilevanti, o dovrebbero essere inferiti dalla stessa
giustapposizione e relazione dei due simili di cui sono principi, il che la
contraddizione pone illecito; non resta allora che se dei rapporti sono a
principio di quel che chiamiamo rapporto di simiglianza, tali rapporti non
siano se non tra i due simili e qualcosa che è posto come altro da essi per la
stessa alterità però che è tra la parte e il tutto, ossia che la relazione di
simiglianza sia uno spostamento d'attenzione il cui principio è uno o più
spostamenti d'attenzione che non coinvolgono autocoscienti altri da quelli
coinvolti dal primo; col che la simiglianza rimanda all'identità, in quanto
entrambi relazioni le cui biffe rimangono costantemente le stesse, nella
qualità e nella quantità, qualunque sia la forma e il modo delle relazioni;
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è quel che
fa, ad esempio, la geometria quando parla di simiglianza di due triangoli, per
la quale non ha bisogno di introdurre nelle sue dialettiche altre biffe che non
siano o i triangoli su cui l'attenzione è concentrata o loro parti; è evidente,
quindi, che la conclusione della simiglianza è il punto di arrivo di un
'analisi condotta su ciascuno degli ontici geometrici senz'alcun rapporto con
un geometrico che sia altro da essi, così come vien fatto nel rapporto di
identità;la geometria- ci limitiamo qui ai triangoli- per somiglianza pare
intendere tre differenti rapporti tra due ontici geometrici, anzitutto il fatto
che l'intuizione dell'uno, ossia l'autocoscienza che accompagna immediatamente
l'unità in cui le varie sensazioni dell'uno si danno e per cui si pongono come
percezione, costringe l'attenzione a spostarsi all'intuizione dell'altro e
viceversa secondo un nesso reciproco necessario la cui autocoscienza è quella
di un modo dell'uno che non si dà senza il modo dell'altro [[Nota a
matita dell'autore:”tutto questo discorso è condotto sulla geometria
elementare dell'Enriques (vol.II pag 36); controllare Euclide e altri]] e
viceversa, è cioè l'autocoscienza dell'essere l'uno il rimpiccolimento
dell'altro e questo l'ingrandimento del primo, in secondo luogo il fatto che la
materia del rapporto innalzato all'autocoscienza dal coatto spostamento
d'attenzione dall'un geometrico intuito
all'altro pure intuito, in quanto è un rimpicciolimento o un ingrandimento, ha
la sua condizione o piuttosto raggiunge la propria intelligibilità se
analizzata nelle sue due componenti che sono da un lato la diseguaglianza delle
due estensioni e dall'altro l'eguaglianza delle due forme, dovendosi qui
intendere per forma i rapporti generici che una serie di punti debbono assumere
reciprocamente per porsi come perimetro di un triangolo in generale, in terzo
luogo il fatto che siffatta sintesi di un'estensione e di una forma che sono
rispettivamente diseguale ed eguale a un'altra estensione e a un'altra forma,
esse pure in unità sintetica, racchiude da un lato l'eguaglianza secondo un
certo ordine degli angoli dei due triangoli e dall'altro l'eguaglianza dei
rapporti in cui i lati corrispondenti entrano a due a due, essendo le due
eguaglianze reciproche e quindi tali che se si dà l'una si dà l'altra e che se
si danno alcune delle componenti dell'una e alcune delle componenti dell'altra
si danno pure le restanti componenti di ciascuna delle due eguaglianze; la
geometria poi aggiunge che l'identità o eguaglianza di due triangoli risulta un
caso particolare del generico rapporto di somiglianza, in quanto qui si ha la
costante identità del rapporto fra i lati corrispondenti con l'1; ora, in
questa lunga precisazione di che cosa debba intendersi per somiglianza si
scorge da una parte il tentativo di collegare in continuità intelligibile una
successione di dialettiche ciascuna delle quali o ciascun gruppo delle quali ha
l'eguale diritto di avere a suo segno il nome di eguaglianza, dall'altro il
movente di assegnare a quella o quelle dialettiche identicate da questo nome il
medesimo aspetto di necessità e quindi di intelligibilità che tocca alla o alle
dialettiche dell'identità; ora, si comincia con l'osservare che la continuità
di quella successione di dialettiche ricava la validità della forma analitica
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