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che è
principio della loro contrarietà senza la quale neppure sarebbero molti
nell'uno del divenire; infatti, perché dei molti entrino come biffe di
dialettiche intelligibili, è necessario che l'unità e unicità
dell'intelligibile in genere sia atto a condizionare il qualitativo ma con una
forza per dir così inferiore a quella con cui ogni qualitativo s'impone nella
sua materia ai giochi dell'intelligibile entrandovi come dato di fatto
empirico, imponendosi d'altra parte che quell'unità e unicità abbiano la stessa
forza del qualitativo per riuscire ad estromettere dall'intelligibile una
struttura contraddittoria; e con ciò si cade in quella dialettica degli
assiomi, da cui Aristotele, ma non Platone, s'è salvaguardato con la sua
definizione relativistica e fenomenistica del principio di contraddizione,
perché il primo assioma dell'inequipollenza dei principi generali di
intelligibilità viene interpretato alla luce e con alcune delle componenti
dell'altro assioma contraddittorio dell'equipollenza degli stessi principi, e
tale interpretazione deve ricevere se si vuole assicurare ai molti qualitativi
la rispettiva intelligibilità, che è unità, unicità, identità di ciascuno in sé
senza che i tre attributi elidano la pluralità per eterogenei del complesso dei
qualitativi, e il secondo assioma deve trarre luce e modi dal primo, se si
vuole che i molti siano eterogenei perché contraddittori, sicché, quando si
parte da un punto di vista che è l'attenuazione o l'adattamento del canone
parmenideo, l'intelligibilità del divenire non coinvolge necessariamente il
contraddittorio, proprio perché tale adattamento consiste in una disequazione
inserita tra le condizioni umane delle dialettiche autocoscienti e i modi in sé
dell'intelligibile del divenire in sé, in cui i contrari sono coefficienti
apodittici garantiti in tale loro forma non da una contraddittorietà intrinseca
ma da quella contraddittorietà senza cui le dialettiche di condizione umana non
ne farebbero proprie biffe, mentre, se il punto di vista diviene tout court il
canone parmenideo, poiché per questo il contraddittorio non sussiste e neppure
sussistono i contrari senza una loro contraddittorietà, la condizione umana
delle nostre dialettiche equazionata con quella del divenire intelligibile in
sé porta a una contraddittorietà che è sua legge ineliminabile; logiche come
quella di Hegel si dibattono in questa oscillazione il cui riflesso è la contraddittorietà
della simultanea accettazione e ripudio del contraddittorio; questo compromesso
o piuttosto oscillamento acronico, fra l'assioma dell'inequipollenza dei
principi formali dell'intelligibile e l'assioma della loro equipollenza, per il
quale il criterio formale della non- contraddittorietà dell'intelligibile in
generale cede dinanzi all'apodittica molteplicità per eterogeneità dei
qualitativi che fan da materia delle forme entro le dialettiche e, con ciò, si
pone in sottordine rispetto all'altro, che una certa materia o qualità deve
pure essere attribuita all'autocosciente biffa di una dialettica, come quello
la cui giurisdizione ne è limitata dal fatto che il qualitativo-materia patisce
solo in parte la dipendenza funzionale dalla non-contraddittorietà mentre su di
essa esercita la sua piena attività funzionale, e per il quale inoltre lo
stesso criterio formale non tollera la limitazione delle sue funzioni da parte delle modalità ontiche del
qualitativo le quali devono subirne l'intera dipendenza funzionale
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adattandosi
o a uniformarsi entro un'omogeneità totale o ad accogliere come loro denotante,
dotata dell'intera ontità assoluta di cui godono le altre, le
contraddittorietà, e circoscrivendo la propria giurisdizione funzionale al mero
fatto che l'intelligbile oltre ad essere un formale, ossia un intelligibile
connotato dalle denotanti delle dialettiche di autocoscienza umana, dev'essere
un connotato da una denotante che nessuna delle condizioni umane delle dialettiche
offre, non è un modo primario delle nostre dialettiche, ma è piuttosto la
conseguenza della scelta operata fra due nessi distinti entro cui è lecito
correlare come biffe l'indipendenza funzionale del qualitativo in quanto tale
dall'indipendenza funzionale del formale in quanto modo dell'intelligibilità
autocosciente: una volta fatte di queste indipendenze funzionali altrettanti
ontici di cui gli autocoscienti son sostituti-sostituibili, o si muove dalla
costante problematicità della prima, ossia dalla vuotezza materiale del primo
autocosciente e si pretende che in siffatto vuoto coli quanto di autocosciente
è lecito inferire dalle dialettiche operabili sul secondo, sicché, in parole
più semplici, la materia del primo sostituto-sostituibile sarebbe offerta
dall'autocoscienza della materia del secondo, oppure si ammette che qualcosa di
tale materia si dia immediatamente con autocoscienza senza necessità di
inferirla da altro pel medio dell'esperienza, come sfera dei dati autocoscienti
intuitivi fra i quali stanno non solo gli intuiti sensoriali ma anche quanto le
dialettiche intelligibili costruite su questi sensoriali recano alla
autocoscienza come dato immediato, e con tale presupposto il puro formale
autocosciente diviene un principio di selezione, entro la notevole varietà
degli autocoscienti dell'altra biffa, di quanto di intelligibili si ha la
liceità di ritrovarvi e non un complesso di autocoscienti da trasferirsi in
blocco entro l'altra biffa per costituirne la materia, eccezion fatta per quel
che di qualitativo essa ha e non riceve da altro; mentre una logica alla
Aristotele si situa in questa posizione di partenza senza concedere nulla
all'altra tranne che nella biffa che si costruisce da sé in attesa di
controllare la propria intelligibilità sulla materia dell'altra si ha il
diritto di denotare con l'intelligibilità solo quelle porzioni che formalmente
non contraddicono a nessuna delle porzioni della materia della seconda biffa,
una logica alla Platone e alla Hegel tentano la sintesi delle due posizioni di
partenza, con un diritto e con una congruenza od ossequio di quanto essi fanno
con le porzioni della materia di quell'intelligibilità formale pura che
persistono a non gettare in un ruolo di secondo rango, di ((cui)) è poi loro
compito dimostrare l'ontità e la sussistenza; //
tuttavia in
tutte queste logiche vi è una comune pretesa, che l'intelligibilità sia un
ontico autocosciente che trova la ragione di sé e di ciò in cui la
disarticolazione della sua connotazione lo scioglie da un lato nella complessità
delle qualità pure che le dialettiche condotte sull'aspetto puramente formale
di tutte le dialettiche intelligibili e privilegiate dotano di autocoscienza,
ossia nella serie di tutti gli attributi formali puri di un'intelligibilità in
generale, dall'altro nel fatto che questi attributi sono ritrovati nelle stesse
dialettiche intelligibili e privilegiate in quanto costituite da una materia
paziente della loro forma
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