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il concetto
di primo nell’essere e a suo predicato nozioni dell’ordine fenomenico -tale
giudizio, che pone insieme l’intelligibilità e l’esistenza del primo
nell’essere, è primo nel conoscere in generale e primo nel conoscere metafisico
-, dipende per la sua funzione cognitiva dall’estensione del predicato in
quanto tale, estensione che a sua volta dipende dall’estensione totale o
dall’estensione parziale del fenomenico predicabile e quindi dall’equivalenza o
inequivalenza delle due estensioni. Non mancano argomenti sussidiari a favore
di un ulteriore primato da attribuirsi a questo nuovo problema. Un
condizionamento dell’estensione del predicato dalla connotazione qualitativa
delle nozioni che compongono la classe del fenomenico è legittimo solo se la
totalità delle qualità del fenomenico è nota, essendo allora lecita la valutazione
delle singole qualità e in sé e nei loro rapporti reciproci, la loro analisi,
la loro classificazione, ai fini di un loro usufrutto nella predicazione al
concetto di primo nell’essere; ma a parte il fatto che l’usufrutto se è
universale implica l’equivalenza dell’estensione del predicato e
dell’estensione del fenomenico predicabile, mentre se è limitato implica
l’inequivalenza delle due estensioni, dovrebbe esser dato il qualitativo
naturale in tutti i suoi modi; ora, non pare che la nozione del qualitativo
naturale possa affermarsi simmetrica nell’estensione ((espansione??)) al
qualitativo in effetti strutturante la natura, almeno non possa esser affermata
tale entro i limiti della conoscenza naturale e fenomenico-razionale; se allora
la simmetria tra il noto fenomenico e il reale naturali non può esser
dichiarata perfetta in sé e se pure la stessa simmetria è presupposta da una
metafisica che ponga l’equivalenza del predicato con l’estensione del noto
fenomenico, non pare che alla conclusione di un possesso totale da parte del
pensiero di tutto il qualitativo nella natura si sia giunti per altra strada
che non sia quella di una deduzione dal primo enunciato metafisico con la sua
struttura di una predicazione in atto del concetto di primo nell’essere da
parte di tutto il fenomenico noto che è rappresentazione di tutto il
fenomenico; ma questa struttura non può aver derivato se stessa da
un’argomentazione svolta su tutto il qualitativo della natura che pare non
essere noto in atto e in atto presente al pensiero argomentante; e allora non
resta altro che la coestensione del predicato con il fenomenico che è tutto
predicabile sia stato il principio di un discorso che ha condotto alla
conclusione che il noto nel fenomeno e il qualitativo nella natura coincidono;
essendo siffatta coestensione il risultato di un esame che senz’altro ha
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utilizzato
quanto di qualitativo è noto della natura, ma che non poteva certo rispondere
alla domanda quale del qualitativo della natura noto potesse essere assunto a
predicato del principio perché in linea di diritto nessuna qualità naturale
concepita può essere dichiarata prima e sfruttabile ad intellezione metafisica,
se non son note tutte le qualità del fenomenico stesso, non riesco a vedere da
che cosa l’esame possa esser partito che sia altro dall’impegno di rispondere
al quesito di quanto del fenomenico-naturale deve essere in linea di principio
dichiarato atto a connotare il concetto del predicato del giudizio primo
metafisico. E, a questo proposito, i primi scritti teologici di Hegel sono di
gran conforto a quest’ultima osservazione. E inoltre, un problema che investa
anzitutto le qualità che dalla natura possono trarsi a intellezione del
principio nell’essere, non può essere altrettanto puro e altrettanto libero da
un numero minimo di considerazioni e di problemi da farsi quanto pura e ricca
di siffatte libertà è la questione dell’equivalenza o inequivalenza reciproca
delle due estensioni, quella del predicato e quella del fenomenico:
indubbiamente una certa enumerazione di problemi e di correlative risposte
dev’essere fatta prima della soluzione dell’una e dell’altra questione
fondamentale; ma nel caso della seconda questione alcune considerazioni possono
abbreviare enormemente l’enumerazione: basta, ad esempio, muovere dal concetto
che alle condizioni generali del conoscere umano sfugge un aspetto della natura
- basta, per rimanere in questo tema, l’abbandono della questione degli
universali, che non riesco a convincermi e ad essere convinto che sia o
pseudoproblema o effetto contingente di un certo teorizzare non necessario -
perché la questione della predicabilità di tutto il conoscibile naturale al
concetto di primo nell’essere abbia già ricevuto una sua unica ed univoca
soluzione; come pure, da altro punto di vista, basta ridurre i concetti che ci
formiamo intorno alla natura ad altrettanti punti di vista o prese di visione
che si escludono a vicenda a una sola loro apparenza epidermica, ma si
complicano e nelle connotazioni e nell’unità del tutto di cui son organi perché
si dia una soluzione immediata alla medesima questione; ma non altrettanto
scheletrico
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o riducibile
è il numero delle difficoltà da affrontarsi quando si pretende di porre a primo
il problema della predicazione qualitativa del concetto del primo metafisico;
non è sufficiente avere un ordine talmente ampio di nozioni delle qualità della
natura da ritener lecito di renderlo coestensivo dei qualitativi naturali - un
ordo idearum presente in atto nel pensiero dell’umanità empirica e dotato di
identità all’ordo rerum -; occorre che il pensiero abbia dato a se stesso la
garanzia che, poiché le differenti nozioni delle molteplici e varie qualità non
sono state raggiunte o né con un sol metodo né con un certo numero di metodi
certamente o cogeneri o per lo meno in un qualsivoglia modo congruenti,
l’errore non si è insinuato né nel ritrovamento dei metodi né nella loro
congruenza generica con l’oggetto che li deve tollerare né nella loro
applicazione a tale oggetto; non è mia intenzione qui vedere se questa edenica
situazione sia o sia mai stata o possa mai esser raggiunta dall’uomo entro i
limiti di una gnoseologia e di una logica naturalistiche; resta il fatto che
logica e gnoseologia mai prescindono da un presupposto metafisico, di estensione
piccola a piacere, il quale dà loro garanzia in tutti quei momenti che non
dipendono dall’intuizione dell’oggetto, ma dalla definizione dell’oggetto
stesso, dell’intuizione e dell’interpretazione per intelligibili dei dati
intuiti, sicché solo per circolo vizioso o surrettiziamente un quadro cognitivo
di qualità può essere dichiarato utilizzabile alla predicazione del primo
nell’essere, quando ci si chieda anzitutto quale o quali delle cognizioni del
quadro divengano predicabili: in altre parole, a parte il fatto che la
lunghezza del cammino per arrivare a stabilire immediatamente la connotazione
qualitativa del soggetto del primo enunciato qualitativo cresce a dismisura via via che se ne
considerano tutte le condizioni di validità da soddisfarsi, resterebbe sempre
da vedersi se tale cammino ha veramente una lunghezza commensurabile, il che si
darebbe se nel nostro pensiero potessimo mai raggiungere l’incrollabile
certezza che una qualità appresa della natura è veramente tale, esistente cioè
ed esistente nei modi secondo cui ce la rappresentiamo, e se in una gamma di
nozioni di qualità varie e molteplice
ce ne sono di eterogenee, presentandosi poi per queste la stessa domanda se
quelle che conosciamo
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per
eterogenee sono e sono nei modi con cui abbiamo appreso la loro eterogeneità.
Attribuire un primato al problema della coestensione del conosciuto-conoscibile
fenomenico e del predicabile al concetto di primo nell’essere non ha altro
scopo ed altro utile cognitivo se non quello di individuare, o affermare di
aver ritrovato sulla base di un’analisi veridica, il reale processo del
pensiero umano in uno dei suoi momenti essenziali: si sgombera il campo da
risultati di riflessione che, raggiunti in buona sincerità o con eccessiva
frettolosità, non corrispondono allo stato oggettivo delle cose e quindi
avviano la ricerca posteriore a una meta errata da raggiungersi con metodi, di
conseguenza, pure errati, con un ‘illuminazione delle cose che pone in risalto
aspetti e rilievi altri da quelli effettivamente rilevanti. Una cosa è
chiedersi come si debba riguardare il fenomenico e che cosa si debba ritrovare
nel noto naturale onde decidere di quanto si debba riversare nel predicato
dell’enunciato metafisico primo, e una cosa diversa è chiedersi quali strumenti
di analisi si debbano applicare al fenomenico al fine di rilevare in esso quel
che offre la connotazione fondamentale del medesimo predicato. Il che lascia
capire che il problema della “quantità” del fenomenico predicabile esige un suo
metodo di soluzione, richiede, come l’altro del resto, il discorso che ha
condotto alla nozione dell’esistenza del principio e quindi alla necessità
della sua intellezione - non mi contraddico se affermo che il giudizio che
predica del concetto di primo nell’essere la nota dell’esistenza del suo
oggetto è dedotto dal giudizio in cui si offre conoscenza della connotazione
del medesimo concetto, e quindi secondo ad esso, e se insieme affermo che il
giudizio che dà intellezione del principio nell’essere attraverso una connotazione
essenziale, la più completa possibile, del suo concetto presuppone il giudizio
in cui l’ente primo nell’essere è dichiarato esistente; la rassegna delle
teorie metafisiche determinate che sembrano muovere dal giudizio “il principio
è” lascia trasparire che tale giudizio è di fatto un semplice corollario di un
certo discorso precedente nel quale i giudizi aventi come soggetto il concetto
di natura dimostravano se stessi insufficienti a stabilire la congruenza di
esso con alcune sue note che dovevano pure essere suoi predicati, ma che lo
potevano divenire solo alla condizione di
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