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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 301 F2 - 350 F3
    • 336
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[pag 606 (336 F1 /2)]

essa e le conseguenti dialettiche della classe, a livello del fenomenico, perché così sarebbero stati tenuti a compiere per ogni nuova unificazione di sensoriali, in cui si desse l'aggregato dei modi 3, 4, 5 e il concomitante gruppo di dialettiche, l'insieme delle dialettiche di sostituibilità fra la porzione privilegiata del nuovo conclassario e la stessa porzione dei già conclassati, e la verifica del diritto della nuova unificazione a godere dei benefici del dictum che l'attribuzione della divinità alla dialettica rendeva inutile; ma ciò significa soltanto che al "3, 4, 5 " in quanto motore di una classe essi predicarono gli attributi dell'intelligibilità;che se poi Talete ripudiò la predicazione per l'inadeguatezza del soggetto e sostituì al soggetto un altro aggregato di intuiti con il correlato gruppo di dialettiche, e prese il triangolo rettangolo a principio della predicazione di intelligibilità, la modificazione della predicazione di intelligibilità non esclude l'ontità della precedente, così come non è esclusa dall'ontità ad opera delle successive predicazioni che pongono a soggetto qualcosa d'altro dal triangolo rettangolo; il ripudio di Talete, sebbene non abbia altro significato che di rilevare un errore di classificazione, racchiude qualcosa di nuovo, l'autocoscienza delle esigenze dell'intelligibile formale in sé, la quale è fornita dalle dialettiche operate sul formale stesso; ma se si vuol sapere come la sfera delle dialettiche abbia impiegato tanto tempo ad accogliere in sé gli spostamenti d'attenzione riguardanti il formale puro, la distinzione fra l'atteggiamento teologico e quello razionale non risposta perché è una mera riduzione a dialettiche fra disarticolati di quel che nei due momenti si è dato in unità e si lascia sfuggire quel che di identico e quel che di differenti(e) si in essi; dire che la teologia degli Egizi non è la razionalità di Talete, se significa escludere dalle dialettiche di primi l'intelligibilità e l'autocoscienza della stessa che furon del secondo, non è esatto perché la teologia degli Egizi è tutta una predicazione di intelligibilità formale mentre nel secondo sarebbe difficile ritrovare quell'autocoscienza della medesima che neppure oggi alberga del tutto nella sfera delle nostre dialettiche; quel che è dei primi è la dialettica da ragione sufficiente a conseguenza e da principio a conseguente nella verità e validità formali e materiali che connette il nume del dio alla dialettica di predicazione dell'intelligibilità formale alla dialettica "3, 4, 5 " e quindi l'interpretazione di questa intelligibilità formale come di una costanza e immutabilità che immane nella dialettica di sostituibilità, sia pure in forza dell'azione capricciosa del dio che dev'essere costantemente blandito onde non cambino né lui né la sua azione; ma di erroneo qui c'è la dialettica della ragione e del principio, che fa per così dire da velo di Maia fra la concentrazione d'attenzione e il nucleo di autocoscienti, in cui stanno la classe con il suo fondamento del"3,4,5" e la predicazione di intelligibilità formale al fondamento e alla classe; c'è da chiedersi, allora, se veramente alla dialettica del 3 4 5 e alle circostanze in cui essa è sorta come istitutrice di una classe mancassero quelle suggestioni o appelli alla predicazione di intelligibilità che poi Talete, anche se mediatamente, vi ritrovò, se veramente nella stessa dialettica e nelle sue circostanze si dessero immanenti quegli attributi di intelligibilità formale,


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destinati a diventare pel medio di dialettiche degli autocoscienti in sé, che né Talete immediatamente vi scorsero né vi videro gli Egizi che sostituiscono loro l'azione di un dio,[;] se quella predicazione dell'intervento di un dio a sanzionare un privilegiato modo d'essere alla dialettica e alle sue circostanze sia veramente qualcosa di diverso nelle sue conseguenze e in fondo nei suoi principi da una predicazione di intelligibilità, donde viene che c'è ancora da chiedersi donde gli Egizi presero la forma dell'intelligibilità pura del principio di identità per predicarla alla dialettica del 3, 4, 5 se non da un atto di autocoscienza intuitiva e in che modo essi se ne diedero l'autocoscienza  se non pel medio di una certa interpretazione di quanto di immanente c'è nella dialettica a sollecitare la predicazione di quel principio e quindi se non pel medio di un processo osmotico dalla dialettica alla forma intelligibile pura e da questa a quella, il che in fondo è quanto continuerà a fare Talete che, dopo essere andato a cercare la forma dell'intelligibilità in quel nucleo di dialettiche che è del triangolo rettangolo per estenderla alla dialettica del 3, 4, 5, lascerà aperto il problema della sufficienza degli immanenti del triangolo rettangolo ad offrire siffatta forma e, dopo aver interpretato questi immanenti come dei qualitativi, naturalmente ed originariamente muniti di tale forma, darà il criterio in fondo immutato dell'interpretazione in genere delle forme pure dell'intelligibilità, in quanto modi particolari delle dialettiche stesse cui le forme son predicate e con ciò ricalcherà quell'osmosi fra le modalità delle dialettiche e le modalità della forma che già gli Egizi avevano preso a oggetto della concentrazione d'attenzione sulle forme dell'intelligibile; per questo, nonostante il dislivello che separa le dialettiche a livello fenomenico dall'intelligibile formale e quindi dal principio d'identità, è pur sempre dalle modalità delle dialettiche in quanto termine di quella predicazione che ci si deve rifare per analizzare il principio stesso: anzitutto è posto il dato di fatto che nella sfera delle dialettiche umane, se le operazioni dialettificatrici sono lasciate sotto la giurisdizione degli autocoscienti che le promuovono e che consistono nell'autocoscienza denotante modi qualitativi di ontici, nella concentrazione d'attenzione su questi modi in quanto unificati consentita dall'autocoscienza, nello spostamento d'attenzione dall'uno di essi o dall'un complesso di essi al tutto individuo cui appartengono o all'altro di essi o all'altro complesso di essi, con le loro conseguenze della disarticolazione della loro unificazione, dell'estensione dell'autocoscienza al nesso relazionale lungo cui procede lo spostamento d'attenzione e della riunificazione loro elidente la disarticolazione in forza del farsi il nesso forma della dialettica e dell'acquisire i disarticolati riunificati dalla forma le funzioni reciproche congruenti con la forma, nessuna dialettica è mai isolata, ma sempre si vincola ad altre con il ruolo di biffa di ulteriori dialettiche che è lecito ma non necessario trovino un indice nell'aggregato verbale di un giudizio, e che l'unificazione dialettificata con a biffe delle dialettiche mai ripete nel suo tutto la struttura di una precedente unificazione, con la conseguenza che nella sua struttura l'utilizzazione a biffa di dialettiche già biffe di precedenti unificazioni o discorsi non è mai la ripetizione di essa secondo un'identità




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