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essa e le conseguenti dialettiche della classe, a
livello del fenomenico, perché così sarebbero stati tenuti a compiere per ogni
nuova unificazione di sensoriali, in cui si desse l'aggregato dei modi 3, 4, 5
e il concomitante gruppo di dialettiche, l'insieme delle dialettiche di
sostituibilità fra la porzione privilegiata del nuovo conclassario e la stessa
porzione dei già conclassati, e la verifica del diritto della nuova
unificazione a godere dei benefici del dictum che l'attribuzione della divinità
alla dialettica rendeva inutile; ma ciò significa soltanto che al "3, 4, 5
" in quanto motore di una classe essi predicarono gli attributi
dell'intelligibilità;che se poi Talete ripudiò la predicazione per
l'inadeguatezza del soggetto e sostituì al soggetto un altro aggregato di
intuiti con il correlato gruppo di dialettiche, e prese il triangolo rettangolo
a principio della predicazione di intelligibilità, la modificazione della
predicazione di intelligibilità non esclude l'ontità della precedente, così
come non è esclusa dall'ontità ad opera delle successive predicazioni che
pongono a soggetto qualcosa d'altro dal triangolo rettangolo; il ripudio di
Talete, sebbene non abbia altro significato che di rilevare un errore di
classificazione, racchiude qualcosa di nuovo, l'autocoscienza delle esigenze
dell'intelligibile formale in sé, la quale è fornita dalle dialettiche operate
sul formale stesso; ma se si vuol sapere come la sfera delle dialettiche abbia
impiegato tanto tempo ad accogliere in sé gli spostamenti d'attenzione
riguardanti il formale puro, la distinzione fra l'atteggiamento teologico e
quello razionale non dà risposta perché è una mera riduzione a dialettiche fra
disarticolati di quel che nei due momenti si è dato in unità e si lascia
sfuggire quel che di identico e quel che di differenti(e) si dà in essi; dire
che la teologia degli Egizi non è la razionalità di Talete, se significa
escludere dalle dialettiche di primi l'intelligibilità e l'autocoscienza della
stessa che furon del secondo, non è esatto perché la teologia degli Egizi è
tutta una predicazione di intelligibilità formale mentre nel secondo sarebbe difficile
ritrovare quell'autocoscienza della medesima che neppure oggi alberga del tutto
nella sfera delle nostre dialettiche; quel che è dei primi è la dialettica da
ragione sufficiente a conseguenza e da principio a conseguente nella verità e
validità formali e materiali che connette il nume del dio alla dialettica di
predicazione dell'intelligibilità formale alla dialettica "3, 4, 5 "
e quindi l'interpretazione di questa intelligibilità formale come di una
costanza e immutabilità che immane nella dialettica di sostituibilità, sia pure
in forza dell'azione capricciosa del dio che dev'essere costantemente blandito
onde non cambino né lui né la sua azione; ma di erroneo qui c'è la dialettica
della ragione e del principio, che fa per così dire da velo di Maia fra la
concentrazione d'attenzione e il nucleo di autocoscienti, in cui stanno la
classe con il suo fondamento del"3,4,5" e la predicazione di
intelligibilità formale al fondamento e alla classe; c'è da chiedersi, allora,
se veramente alla dialettica del 3 4 5 e alle circostanze in cui essa è sorta
come istitutrice di una classe mancassero quelle suggestioni o appelli alla
predicazione di intelligibilità che poi Talete, anche se mediatamente, vi
ritrovò, se veramente nella stessa dialettica e nelle sue circostanze si
dessero immanenti quegli attributi di intelligibilità formale,
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destinati a diventare pel medio di dialettiche degli
autocoscienti in sé, che né Talete immediatamente vi scorsero né vi videro gli
Egizi che sostituiscono loro l'azione di un dio,[;] se quella predicazione
dell'intervento di un dio a sanzionare un privilegiato modo d'essere alla
dialettica e alle sue circostanze sia veramente qualcosa di diverso nelle sue
conseguenze e in fondo nei suoi principi da una predicazione di
intelligibilità, donde viene che c'è ancora da chiedersi donde gli Egizi
presero la forma dell'intelligibilità pura del principio di identità per
predicarla alla dialettica del 3, 4, 5 se non da un atto di autocoscienza
intuitiva e in che modo essi se ne diedero l'autocoscienza se non pel medio di una certa
interpretazione di quanto di immanente c'è nella dialettica a sollecitare la
predicazione di quel principio e quindi se non pel medio di un processo
osmotico dalla dialettica alla forma intelligibile pura e da questa a quella,
il che in fondo è quanto continuerà a fare Talete che, dopo essere andato a
cercare la forma dell'intelligibilità in quel nucleo di dialettiche che è del
triangolo rettangolo per estenderla alla dialettica del 3, 4, 5, lascerà aperto
il problema della sufficienza degli immanenti del triangolo rettangolo ad
offrire siffatta forma e, dopo aver interpretato questi immanenti come dei
qualitativi, naturalmente ed originariamente muniti di tale forma, darà il
criterio in fondo immutato dell'interpretazione in genere delle forme pure
dell'intelligibilità, in quanto modi particolari delle dialettiche stesse cui
le forme son predicate e con ciò ricalcherà quell'osmosi fra le modalità delle
dialettiche e le modalità della forma che già gli Egizi avevano preso a oggetto
della concentrazione d'attenzione sulle forme dell'intelligibile; per questo,
nonostante il dislivello che separa le dialettiche a livello fenomenico
dall'intelligibile formale e quindi dal principio d'identità, è pur sempre
dalle modalità delle dialettiche in quanto termine di quella predicazione che
ci si deve rifare per analizzare il principio stesso: anzitutto è posto il dato
di fatto che nella sfera delle dialettiche umane, se le operazioni
dialettificatrici sono lasciate sotto la giurisdizione degli autocoscienti che
le promuovono e che consistono nell'autocoscienza denotante modi qualitativi di
ontici, nella concentrazione d'attenzione su questi modi in quanto unificati
consentita dall'autocoscienza, nello spostamento d'attenzione dall'uno di essi
o dall'un complesso di essi al tutto individuo cui appartengono o all'altro di
essi o all'altro complesso di essi, con le loro conseguenze della
disarticolazione della loro unificazione, dell'estensione dell'autocoscienza al
nesso relazionale lungo cui procede lo spostamento d'attenzione e della
riunificazione loro elidente la disarticolazione in forza del farsi il nesso
forma della dialettica e dell'acquisire i disarticolati riunificati dalla forma
le funzioni reciproche congruenti con la forma, nessuna dialettica è mai
isolata, ma sempre si vincola ad altre con il ruolo di biffa di ulteriori
dialettiche che è lecito ma non necessario trovino un indice nell'aggregato
verbale di un giudizio, e che l'unificazione dialettificata con a biffe delle
dialettiche mai ripete nel suo tutto la struttura di una precedente
unificazione, con la conseguenza che nella sua struttura l'utilizzazione a
biffa di dialettiche già biffe di precedenti unificazioni o discorsi non è mai
la ripetizione di essa secondo un'identità
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