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assumere a
soggetto il concetto di un oggetto che in qualcosa si diversificasse dalla
natura stessa, il concetto cioè di principio, il quale in tale modo riceveva sì
la nota dell’esistenza necessaria del suo oggetto, attraverso, tuttavia, una
sua connotazione o conoscenza; la riflessione, d’altra parte, mentre rivela
esser condizione necessaria del nostro pensare l’impossibilità di effettuare
una predicazione vera di un concetto che non sia connotato dalla necessità
dell’esistenza del suo oggetto, rende noto che la nota dell’esistenza
necessaria dell’oggetto non è mai a priori rispetto al possesso di quella sua,
almeno parziale, connotazione che ce ne offre l’intelligibilità: la
simultaneità cronologica delle due connotazioni depone a favore del primato
della connotazione cognitiva e per nulla del primato della connotazione
esistenziale; aggiungerò ancora che le prove dell’esistenza di Dio solo in
apparenza argomentano il primato del giudizio di esistenza del primo
nell’essere, sia perché in sé sono connotazioni di intelligibilità del
principio, sia perché in sé e per sé non sono fatti mentali primi, ma risposte
ad obiezioni, e quindi fatti secondi, le quali, come implicitamente lascia
intendere Duns Scoto quando le confuta nella loro parte argomentativa, che
corrodono col forse esistenziale non un principio in genere ma questo o quel
principio in particolare, e con ciò non intaccano né la conoscenza prima del
principio né la soluzione data alla questione del diritto a conoscerne questa o
quella “quantità, ma soltanto una certa sua connotazione qualitativa che vien
per terza dopo la predicazione delle conoscenze che solo mediatamente è lecito
attribuire al concetto di natura e immediatamente è doveroso riferire al concetto di primo nell’essere, e dopo la
connotazione del predicato del giudizio primo metafisico mediante la
coestensività o meno col noto naturale -. Il metodo che deve adottarsi per
giungere alla soluzione del problema della”quantità” di fenomenico predicabile
esige un suo discorso, storico e puro: l’analisi di tutti i metodi che le
metafisiche determinate hanno, ciascuna il proprio, assunto per affermare o
negare la coestensione del predicato del primo enunciato metafisico e del noto
fenomenico, può manifestare una liceità di classificazione e quindi dar luogo a
una ripartizione classificatoria e, poi, all’enunciazione di categorie
metodiche, oppure può mettere in luce una sorta di storicità di cui
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metafisiche
determinate e metodi sarebbero pregne, e, con ciò, una nota di eterogeneità
insuperabile negatrice di classi, di categorie, di razionalizzazione formale;
l’analisi dei processi naturali obbligati del pensiero umano può offrire
l’esistenza di una univoca correlazione fra l’oggetto cui il discorso deve
pervenire e che è l’enunciato primo
metafisico e un certo fra tutti siffatti processi, col che soddisferebbe
quell’esigenza di purezza che la ragione deve accogliere, oppure può vedersi
costretta a concludere che tale correlazione non è mai in sé ma sempre a sua
volta correlata, ossia in funzione, con un mobile atteggiamento psichico, col
che l’esigenza di purezza cercherebbe invano la propria soddisfazione. Le due analisi,
tuttavia, riguardano la ragion sufficiente sia di una certa soluzione adottata
da questa e respinta da quella delle metafisiche determinate, e al tempo stesso
la ragion sufficiente di una possibile soluzione, privilegiata perché unica ad
essere in congruenza con la sola ragion sufficiente che fondi sul diritto la
sua pretesa: toccano, dunque, il problema nella sua soluzione storicamente
determinata o nella sua solubilità veridica e congruente col reale gnoseologico
dell’umanità empirica. Tuttavia, non hanno nulla che fare con la solubilità in
generale della medesima questione la quale può essere definita,
indipendentemente da entrambe le analisi, con il semplice sussidio della
postazione dei termini formali del problema, e quindi fuor da ogni correlazione
con questa o quella determinazione materiale, e per la quale il mio presente
discorso intende unicamente valere.
Un sistema
di concetti che offra una ragion sufficiente alle sue pretese di valere per
rappresentazione simmetrica, totale o parziale qui non ha importanza, del reale
è tenuto ora a dare positività alle sue componenti, facendone conoscenze
verificabili per esperienza o per sperimento, in atto o meramente possibile,
del reale naturale o conoscenze che ricavano verificazione dalla loro funzione
logica di uniche e univoche ragioni sufficienti delle conoscenze empiriche o
esperimentabili, ora a dare completezza compatta a se stesso tramite una
connessione completa e continua tra la nozione prima che è la suprema delle
ragioni sufficienti ed è costituita dal concetto dell’ente primo nell’essere e
le nozioni ultime che sono
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le
conoscenze traenti la ragione del proprio essere e del proprio modo di essere
da tutto fuor che da se stesse e che sono la rappresentazione per connotazione
universale e necessaria dei fenomeni immediatamente intuiti: entro tale
concatenazione la conoscenza dipende per la sua materia da un discorso che
muova dal passo, per la sua forma da un discorso che cali dall’alto, sicché le
nozioni ultime costituiscono la sorgente della connotazione di qualsivoglia
altra nozione collegata, mentre le nozioni altre dalle ultime, tutte le nozioni
generiche, offrono la fonte dell’intelligibilità, ossia dell’interpretazione di
ogni connotazione; il qualitativo in generale promana dal livello infimo, il
valore, come primato e come ordinamento secondo subordinazione gerarchica entro
le componenti, del qualitativo è posto dal grado supremo, dalla nozione prima
metafisica; i modi del mondo sono in funzione del mondo stesso, quel che essi
sono è in funzione del principio del mondo. La determinazione del concetto del
principio è quindi ragione di se stesso e solo limitatamente dipende dal
materiale connotante che sale dai concetti fenomenici primi; di siffatta
determinazione è lecito stabilire una struttura formale che determina in
generale i suoi modi essenziali indipendentemente dalle rappresentazioni
qualificative che solo in apparenza sono la ragion sufficiente
dell’eterogeneità e dell’interrelatività dei modi elementari componenti. La
forma della determinazione in genere del concetto di primo nell’essere è
l’effetto di una soluzione di tre problemi reciprocamente subordinati e
impostati secondo il primo essere formale dei loro rispettivi elementi. Il
primo problema, della quantificazione generica o assoluta o formale del
concetto di primo nell’essere, ha tre elementi, la nozione dell’esistenza di un
primo ontico, la nozione della necessità della sua conoscenza che è equivalente
alla nozione dell’attualità della sua ignoranza qualificativa entro il pensiero
in atto, la nozione di un rapporto che deve instaurarsi, mediatamente, tra la
nozione del principio metafisico in quanto connotata dall’unica nota
dell’esistenza del suo oggetto in sé e la nozione del nostro conoscere
connotata dalla sua legislazione e dagli elementi che sotto di questa si
piegano e che sono le rappresentazioni di tutte le classi denotate dal
naturale: quest’ultima nozione che si pone come il nucleo problematico
dell’intera questione mena a divaricazione di solubilità, o ponendosi la
restante connotazione del concetto problematico come totalmente conoscibile e
quindi conosciuta in atto
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dal
pensiero, o ponendosi la medesima connotazione come ineluttabilmente
conoscibile almeno in parte e quindi staticamente ignorata in tale parte dal
pensiero; la scelta di uno dei due corni non dipende dal predicato che verrà
assunto nel giudizio metafisico primo a qualificare il concetto metafisico
primo e solo in parte dipende da un processo induttivo che muovendo dalle nozioni
infime fenomeniche si levi a offrire ragioni o a negarle per la tesi di
adeguazione del conoscibile al reale primo metafisico; la presa di partito
invece per l’una o per l’altra soluzione determina in tutto l’elaborazione del
predicato scelto a qualificare il concetto di primo ontico, e insieme provoca
l’insorgere di una molteplicità di nuove nozioni che sono da inferirsi dalle
infime fenomeniche, modifica cioè in parole povere la conoscenza che ci diamo
del principio e il quadro riproduttivo che ci offriamo della natura e,
s’intende, di tutto ciò che è nella natura, uomo e pensiero umani compresi; la
stessa presa di partito è in funzione di un’esigenza che è sì in generale
psicologica, nel senso che tocca e pervade tutte le funzioni ((finzioni??)) di
cui la coscienza è capace, ma la cui sorgente, come, se pur anche con analisi
congruente coi modi dell’analizzato, ha dimostrato Kant, non c’è bisogno di
andarla a cercare fuor della legislazione imperante sul conoscere umano, in una
presenza metafisica, e, con ciò, non evita il rischio di trovare per sé una
ragion sufficiente di quel concetto primo metafisico qualificato di cui essa
stessa deve essere ragion sufficiente, coincidendo il modo dell’esigenza con la
necessità di dedurre l’interpretazione delle nozioni fenomeniche infime dalla
nozione metafisica suprema qualificata e quindi con la subordinazione
funzionale della completezza dell’interpretazione all’onnicomprensività della
qualificazione; quel che di psicologico e di non deducibile dalla legislazione
regolante il conoscere c’è nell’esigenza quantificatrice è l’energia che la
pervade, energia o tensione psichica il cui grado consente o nega, in funzione
della sua altezza, la adesione alle condizioni materiali su cui la legislazione
si applica, le quali riescono o falliscono nel contrapporre la forza della loro
reale modalità alle pretese dell’esigenza; si tratta cioè di erigere a canone
metodico
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