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la
fenomenicità di un'autocoscienza di autocrazia cognitiva è della sua ontità in
generale, non della sua qualificazione e struttura, dinanzi alle quali il
pensiero di condizione umana ha il diritto di valersi dell'autocoscienza solo
come ragione della loro ontità con autocoscienza in generale e come principio
delle operazioni di cui gli spostamenti d'attenzione trovano nell'autocoscienza
la condizione necessaria e sufficiente, ma mai lo strumento di principio e di
ragione dei loro modi qualitativi e formali e della genesi di questi; anche nel
caso che un certo discorso conduca ad attribuire al pensiero di condizione
umana la genesi di siffatti modi e delle loro forme, non è mai data con
autocoscienza l'attività generatrice se non nella sua generica operatività e
mai è lecito giustapporre autocoscienza alle effettive operazioni, in tutti i
loro momenti, di generazione; in conclusione l'appello all'esistenza di ontici
in sé indipendenti da un pensiero che se li dia con autocoscienza o il ricorso
a certe modalità di certi autocoscienti, quali ad esempio la liceità di una
ripetizione costante, non sono necessari ai fini di una delimitazione del modo
formale che deve caratterizzare un autocosciente di autocrazia cognitiva,
bastando il fatto che in esso di imputabile con autocoscienza al pensiero non
c'è che l'autocoscienza stessa e la liceità di concentrazione d'attenzione,
sfuggendo tutto il resto della sua connotazione a una dipendenza funzionale dal
pensiero; con ciò, non si è attribuito all'autocosciente non immaginario una
denotante formale artificiale o artificiosa la quale sostituirebbe l'equivalenza
dell'autocosciente all'ontico in sé, ma immetterebbe nella sua connotazione
denotanti o convenzionali o comunque trovanti il loro fondamento nelle
relazioni in cui l'autocosciente è fatto a forza entrare con il pensiero e con
le dialettiche del pensiero; si è soltanto rilevato che la pretesa di una
sostituibilità di un autocosciente non immaginario a un ontico in sé coinvolge
sempre l'attribuzione all'autocosciente di una qualificazione e di un organismo
formale il cui principio il pensiero non ha la liceità di ritrovare in se
stesso con autocoscienza, sicché è tenuto o a ignorare la questione della
genesi dell'una o dell'altro o ad attribuirla a se stesso ma alla condizione di
lasciare inautocoscienti le modalità particolari con cui esso pensiero ha posto
in ontità qualificazione e organismo o a identificarlo con la sostituibilità
dell'autocosciente a un ontico in sé; d'altra parte la stessa attribuzione, che
non fa che rilevare una denotante di fatto e di diritto immanente
nell'autocosciente, se da un lato scarta la questione dell'ontico in sé,
dall'altro lascia intatta la distinzione di questa classe di autocoscienti
dall'altra degli immaginari di cui è principio il pensiero non per la sola loro
autocoscienza ma anche per la loro qualificazione e struttura formale; per
questo li abbiam chiamati di autocrazia cognitiva, perché, nel caso che si
voglia cercare un principio o ragione della loro ontità in quel che ha di
qualitativo e di formale, non resta che rifarsi a loro stessi e alla loro
modalità di essersi dati con autocoscienza nel modo in cui si son dati per
nessun altro motivo autocosciente se non perché si son voluti dare così, il che
poi non è che la determinazione universale e necessaria, indipendente da
presupposti o psichici o gnoseologici o metafisici, di quel che è la pretesa
loro identità con un ontico in sé,
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