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che altro
non è se non la necessità per l'ontico in sé e per il suo correlato identico,
l'autocosciente, di essere accettato in quel che è perché è così in assoluto e
non è lecito porlo in altro modo;
[[Nota
a matita dell'autore:”da questo punto si riprende dopo un lungo
periodo di interruzione; forse manca la continuità; nella revisione
ricostituire la continuità mancante”]];
un giudizio
al cui soggetto sono predicati gli attributi di intelligibilità formale pura
secondo un rapporto la cui ragione è la struttura materiale e formale della
connotazione del soggetto stesso, nel senso che ciascuna sua denotante si erige
a soggetto dei medesimi attributi secondo una medesima ragione e con ciò
rimanda ad ulteriori giudizi i cui predicati, che sono gli invariati attributi
di intelligibilità formale pura, son tollerati da ciascuna delle denotanti
materiali e formali in cui si fraziona ciascuna delle denotanti del primo
soggetto, sino a giungere a una serie di giudizi ognuno dei quali trova come
soggetti dei medesimi predicati degli ontici autocoscienti elementari sia nella
loro materia che nella loro forma, e ognuno dei quali quindi ha nella materia
del proprio soggetto un ontico autocosciente che verifica immediatamente la
sostituibilità parziale con gli attributi di intelligibilità formale pura, è un
giudizio di intelligibilità a forma perfetta, e il suo soggetto è un autocosciente
intelligibile materiale e formale; questo autocosciente è tenuto a offrire di
sé una duplice ragion sufficiente, da un lato della sua intelligibilità, e
sotto questo aspetto la serie discendente dei giudizi di intelligibilità a
forma perfetta, di cui il giudizio il cui soggetto è l'autocosciente è la
conclusione, adempie a questa funzione, dall'altro della sua autocoscienza in
generale ossia del suo essere per un pensiero di condizione umana; ora un
pensiero di condizione umana ha a sua disposizione due sole ragioni sufficienti
dell'aggiungersi a un ontico dell'autocoscienza come denotante, cioè
dell'ontità e del diritto all'ontità che relativamente ad esso assume un
ontico: l'immaginazione e la datità; pare che altre ragioni abbiano la liceità
di essere affiancate a queste e che la mia riduzione a due delle ragioni
dell'autocoscienza in genere di un ontico autocosciente qualsiasi sia
arbitraria; se non sbaglio per trascuranza o dimenticanza di qualcuna in
particolare di queste ulteriori ragioni, mi pare che queste che dovrebbero
aggiungersi alle mie due sia lecito raccoglierle in tre classi, in quella della
trasmissione innata, in quella dell'impressione fenomenica, in quella della
introduzione anomala e irrelata; se la prima classe comprende tutte le azioni
che sul pensiero di condizione umana esercita un ontico in sé
che,[[Nota a matita dell'autore: “ Dio o natura”]]
trascendendo comunque la particolarità di esso, lo dota di certi ontici
autocoscienti acronici, come quelli la cui denotazione ad opera di un atto di
autocoscienza non gode della liceità di entrare in nessun rapporto temporale
con gli altri atti di autocoscienza denotanti altri ontici, non è certo
l'aporia del circolo vizioso che, svuotando la materia ogni conclassario di
validità e privando la classe di verità, elide questa dagli intelligibili di
diritto e quindi l'esclude dalla classe delle ragioni sufficienti, perché basta
che uno solo dei momenti della successione dialettica concludente
nell'innatezza dell'ontico autocosciente acronico goda di validità e verità
materiali e formali perché il circolo vizioso svanisca e non mi sembra
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che fra
tutti gli ontici autocoscienti non ve ne sia nessuno cui debba essere negata
l'acronicità per assenza di uno di quei momenti; direi piuttosto che la
concentrazione d'attenzione su di un ontico autocosciente acronico o innato e
la serie dialettica che offre a ragione della sua autocoscienza l'azione di un
ontico in sé sul pensiero di condizione umana non come fatti primi o se si
vuole ontici autocoscienti primi, perché entrambe muovono da qualche ontico
autocosciente materialmente e formalmente valido da cui le operazioni
dialettiche partono per concludere a quella ragione, sicché questa trova a sua
volta la propria ragione proprio in quell'ontico autocosciente la cui validità
e verità materiali e formali dovranno offrire qualche ragione valida di sé, ma
la cui autocoscienza è un dato primo e immediato che non ha il diritto di
appellarsi alla conclusione della serie dialettica come a sua ragione, pena il
circolo vizioso; chi, a proposito di questa classe, parla dell'azione
esercitata da quell'ontico in sé trascendente come della ragione
dell'autocoscienza dell'autocosciente acronico, confonde la ragione sufficiente
della genesi di un ontico denotato da autocoscienza con la ragion sufficiente
dell'autocoscienza dell'ontico autocosciente, o, per esser più preciso, scambia
l'una con l'altra due operazioni dialettiche del pensiero di condizione umana,
quella con cui questo pensiero offre a sé la ragione per la quale esso ha il
diritto di trattare l'autocosciente come un autocosciente e quella con cui lo
stesso pensiero offre a sé l'ontico autocosciente o l'insieme degli ontici
autocoscienti il cui essere e il cui modo d'essere sono gli antecedenti
necessari dell'essere e del modo d'essere dell'autocosciente della cui
autocoscienza si tratta; quando un pensiero di condizione umana, coattamente
indotto dal principio di ragion sufficiente, ricerca la ragione della denotante
di autocoscienza di un ontico che in esso è autocosciente, si trova dinanzi
l'ontico autocosciente con la sua connotazione tra le cui note c'è, s'intende,
anche l'autocoscienza, e nulla più, e in tale stato ha la liceità di far presa
con l'attenzione solo sul rapporto che lega l'ontico a sé stesso in quanto
pensiero oppure di spostare l'attenzione su altri rapporti tra l'ontico ed
altri ontici autocoscienti sempre in vista di offrirsi le ragioni del darsi
dell'ontico con autocoscienza; ma le due operazioni non sono la stessa
cosa, perché con la prima non sarà
dato rappresentarsi una ragione che sia altra dai modi ontici
dell'autocosciente, alcuni dei quali debbono coincidere con la ragione, mentre
con la seconda è consentito che le ragioni siano altre e fuori dai modi ontici
dell'autocosciente; con la prima sarà allora rilevata una certa modalità
dell'autocosciente e la si farà coincidere con la ragion d'essere
dell'autocosciente, con la seconda si otterrà qualcosa che, se si vuole, sarà
molto più rispondente alle istanze del principio di ragione che chiede di
desumere l'essere e il modo d'essere della conseguenza dalla necessaria loro
deduzione dall'essere e dal modo d'essere di qualcosa d'altro dalla
conseguenza, ma che dipende per la sua validità da quella certa modalità che è
stata rilevata dalla prima delle operazioni, in quanto solo quella modalità di
almeno uno degli autocoscienti utilizzati dalla seconda operazione garantisce
un valore ai risultati di essa; che se si obietta che siamo noi a confondere
l'uno con l'altro due modi del pensiero di condizione umana, in quanto il
rilievo dato
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