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che
travalica il pensiero di condizione umana e che ne è il principio; il nostro
principio canonico, che, per evitare le molte aporie che da tutto ciò deriva,
parte dal fare dell'autocoscienza quel che è a sé e per sé in quanto essa
stessa ontico autocosciente, e quindi una delle funzioni o modalità attive il
cui tutto è il pensiero di condizione umana, evita ciò in cui cade Kant, e
precisamente l'esclusione dell'identità formale, che pure è un ontico
autocosciente di fatto, che passa tra gli autocoscienti che sarebbero solo
particolari e contingenti e gli autocoscienti che sarebbero anche denotati da
universalità e necessità, in quanto,
mentre Kant non tien conto del fatto che gli autocoscienti meramente
fenomenici, ossia coincidenti o con una sensazione o con un gruppo di
sensazioni in cui non sia dato il diritto di affermare immanente
l'intelligibilità formale, sotto il punto di vista della modalità formale
dell'indipendenza funzionale dalle condizioni umane del pensiero sono del tutto
identici ad altri autocoscienti che avanzano la pretesa almeno di contenere
note che sono in tutto o in parte coincidenti ossia sostituibili con gli
attributi di intelligibilità formale, il canone qui introdotto ne tien conto;
il che fa, anzitutto perché non muove dalla questione della possibilità della
scienza e dal problema se nel pensiero di condizione umana si diano oppur no
strumenti sufficienti a costruirne una, poi perché non vuole ignorare il dato
di fatto, ossia l'ontico autocosciente, che le dialettiche effettive del
pensiero di condizione umana, non distinguono tra l'autocosciente inintelligibile
e l'autocosciente intelligibile trattando l'uno per vero e l'altro per falso,
ma primieramente trattano in maniera diversa l'autocosciente che in ciò che
esso è per sé è in dipendenza funzionale da quel pensiero e l'autocosciente che
è in indipendenza funzionale da esso, facendo del primo un invalido e un non
veritiero e del secondo un vero e valido, come dimostra il fatto che le
dialettiche, che, costruite partendo da un autocosciente che sia indipendente
funzionale e che sia soggetto di un giudizio percettivo, come lo chiama Kant,
han che fare con l'azione non si differenziano in nulla dalle altre che hanno a
loro principio un autocosciente che sia soggetto del Kantiano giudizio di
esperienza, nel senso che entrambi i gruppi di dialettiche son prese come
principi o fonti di dialettiche che han la liceità di esser trattate per tali e
quindi per principi e fonti di altre dialettiche che godono dello stesso
diritto e così via, e che questo loro privilegio, coincidente con la loro
verità e validità formale, non ha affatto a sua ragione sufficiente la
intelligibilità delle seconde e del loro principio, ma la mera condizione che
il principio di tutte le dialettiche è un autocosciente ad autocrazia
cognitiva; che, se poi si obietta che le dialettiche del primo gruppo non
godono della liceità di quelle del secondo di farsi ontici autocoscienti di un
qualsivoglia pensiero di condizione umana in qualsivoglia situazione
relazionale spaziale temporale dialettica e di esser trattate per tali, e se si
aggiunge che la verità e validità materiali e formali sono solo attributi di
tali dialettiche e degli autocoscienti loro principi, noi non ripudiamo certo
l'obiezione, ma facciamo osservare che essa polarizza i concetti di verità e
validità materiali e formali in due ontici autocoscienti, l'uno denotato in
primo luogo dalla modalità,
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