- 15 -
[pag.15 F1]
((o??)) alla
canonica fenomenica, sia pure con la consapevolezza di quanto di inadeguato
essi in tal modo producano, i dati della loro intuizione straordinaria, e con
ciò riinnestano gli apporti dell’intuizione non fenomenica entro il grande
complesso delle nozioni fenomeniche. Ritorniamo così all’integrità del secondo
problema.
La questione
di quante delle nozioni fenomeniche debbano connotare il predicato e in tal
modo entrare nell’inerenza del soggetto di giudizio metafisico primo non a caso
insorge nel nostro pensiero. Se la conoscenza del primo nell’essere dipende in
generale dal diritto che ci concediamo di rappresentarcelo attraverso nozioni
fenomeniche in genere e in particolare dal canone che ci prefissiamo di muovere
dall’accettazione o dal ripudio dell’equivalenza tra la connotazione del suo
concetto e i suoi modi nell’essere, la domanda che è a principio del canone
coinvolge implicitamente l’altra della quantità di noto fenomenico che dovrà
essere utilizzata a costituire la rappresentazione del primo nell’essere, vale
a dire a connotarne il concetto: in verità, non si ha analogo rapporto di
condizionamento univoco tra le due rispettive soluzioni. Infatti, una volta che
ci si debba anzitutto preoccupare della conoscibilità in genere del principio
metafisico, la postazione formale della questione fondamentale interessa il
rapporto cognitivo che intercorre tra un complesso di conosciuti e un ignoto e
riguarda la liceità, data o tolta a quello, di esaurire entro il pensiero quel
che questo è in sé nel reale, ma la somma delle conoscenze da utilizzarsi è un
quadro di rappresentazioni fenomeniche che non lascia fuor di sé nessuna delle
possibili rappresentazioni che il pensiero può offrirsi, le quali son tutte o
mediatamente o immediatamente da classificarsi nell’ordine fenomenico; anche
l’unica delle nozioni fenomeniche che pare sottrarsi a questa condizione, la
nota dell’esistenza in sé del primo ontico, non sfugge alla natura generale del
noto, in quanto essa è inferita, secondo uno o altro modo o necessità di
elaborazione dalla complessiva regione del fenomenico noto o soltanto da un suo
angolo, essendo siffatta esistenza o il risultato di una testimonianza che pure
si è data secondo la lingua del fenomenico o il solo strumento concepibile dal
pensiero per offrire ragioni sufficienti ad attributi naturali di cui non si
vede come sia dato fare ragion sufficiente
[pag.15 F2]
la natura
stessa o la conclusione delimitatrice o traguardatrice di un discorso cui il
carattere di processo all’infinito toglierebbe altrimenti la natura e l’essenza
di raziocinio. E’ naturale allora, una volta che risulta evidente che nessuna
risposta può esser data a un’interrogativa qualsivoglia intorno alla
connotabilità del concetto metafisico primo senza il ricorso a un fenomenico in
generale, che, se il primo di tutti i possibili interrogativi di questo genere
è quello del quanto sia lecito conoscere del primo metafisico al pensiero nella
sua situazione umana, immediatamente ci si debba chiedere quanto del fenomenico
in generale possa essere assunto a connotarne il concetto. Per più
considerazioni che a questo punto si debbono fare sembrerebbe che questa
dipendenza immediata non sia legittima e che tra i due problemi s’inserisca in
realtà l’altro dei tre problemi metafisici fondamentali, quello della
qualificazione generica ed assoluta del primo ontico. In primo luogo,
l’evidente indipendenza delle relative due soluzioni, la prima delle quali, come
determinazione della quantificazione generica ed assoluta del concetto
metafisico primo, non definisce affatto la seconda, quella della sua
quantificazione particolare e relativa, sarebbe argomento di una dipendenza
tutt’al più mediata delle due questioni: l’equivalenza totale del conoscibile e
del conosciuto riguardo alla connotazione del concetto metafisico primo non
provoca per nulla l’assunzione dell’intero quadro fenomenico a materia di tale
connotazione - che ciò possa risultare alla superficie incongruente, non posso
negare, perché sembra che non si riesca a capire come, date le immagini di due
reali, l’una delle quali promana dall’altra in uno o altro modo di inferenza, e
data la completa connotazione di entrambe, quella del principio da conoscersi
integralmente per definizione, e quella della natura conosciuta totalmente di
diritto o assiomatico o postulativo, sia concesso escludere dalla prima qualche
nota che è necessaria della seconda, il che è quanto capita a una metafisica
determinata di tipo parmenideo; ma tale incongruenza non è in funzione di
un’offesa recata alla dipendenza immediata delle due soluzioni, ma di una
questione di portata differente che insorge assieme al compito di qualificare
un onniconoscibile concetto metafisico primo e al momento
[pag.15 F3]
di
trasferire la problematica dal piano del quantitativo al livello del
qualificativo; il che d’altro canto verrebbe ancora a dimostrare che tra il
problema della quantificazione generica e quello della quantificazione
particolare non c’è comunicazione diretta -; e inoltre, l’illiceità di una
connotazione onnirappresentativa del concetto di primo nell’essere non comporta
per nulla né l’utilizzazione solamente parziale né l’utilizzazione totale del
fenomenico noto ai fini della connotazione metafisica lecita - una metafisica
determinata che precluda al pensiero di condizione umana la rappresentazione
totale e in atto del primo metafisico, è in grado sia di giustificare la
predicazione al concetto di principio ontico di tutto il fenomenico noto, come
accade ad esempio in una metafisica di tipo platonico, sia di argomentare
l’impredicabilità di certi modi del fenomenico noto alla nozione metafisica
prima, come si dà in una metafisica di tipo agostiniano, per la quale viene a
riproporsi l’incongruenza già sopra osservata a proposito dell’eleatismo, e per
la cui incongruenza è da ripetersi quanto sopra si è detto, e in particolare
che la separazione tra le soluzioni delle due problematiche dovrebbe attestare
una dipendenza soltanto mediata tra le due problematiche stesse. In secondo
luogo, la liceità di un ‘utilizzazione soltanto parziale del fenomenico noto a
determinare qualitativamente il primo nell’essere provoca una costante
incongruenza tra la rappresentazione del rapporto necessario tra il reale primo
e il reale secondo in quanto esistenti, e la rappresentazione del((la))
rapporto necessario tra i due medesimi reali in quanto conosciuti: l’inerenza
totale del secondo al primo a livello dell’essere dovrebbe tradursi in
un’inerenza totale di quello a questo a livello dell’essere in un certo modo e
quindi dell’essere conosciuto nel modo in cui é; la mancata traduzione pone
l’incongruenza, e l’incongruenza o è lasciata tale e quale o è risolta con
un’inferenza che muove dalla qualificazione del primo metafisico, la quale in
tal modo diviene principio del problema della quantificazione particolare e
della sua soluzione e si pone come medio tra esso e il problema primo della
quantificazione generica. A ben guardare, le due osservazioni
[pag. 15 F4]
ed altre che
si possono fare, non sono determinanti: anzitutto, l’incongruenza tra la
qualificazione, qualsivoglia essa sia, del principio ontico e la
quantificazione particolare limitata, ossia l’utilizzazione parziale del noto
fenomenico e connotante il concetto metafisico primo, è in funzione non della
soluzione del problema della qualificazione metafisica in genere, ma del
rapporto, già dato apriori nella sua totale determinazione di rapporto secondo
certi modi, secondo i quali i due esistenti debbono essere pensati: un comunque
derivato non è lecito che sia intelligibile se è connotato da note che non
hanno il diritto di qualificare il reale da cui il derivato è da inferirsi,
tranne nel caso che tali note debbano qualificare necessariamente un altro
reale o più altri reali che devono pensarsi complanari e cogeneri del primo,
tranne nel caso di una metafisica determinata dualistica o pluralistica; fuor
di qua, l’intelligibilità del derivato che mutua il suo essere secondo uno o
altro modo di rapporto, da un reale assoluto, ma la cui connotazione non è
equivalente alla connotazione del principio e, per dir così, non la copre per
eccesso, oltrepassando coi propri limiti i limiti dell’altra, è preda di
un’incongruenza la cui ragione quantitativa esclude e oltrepassa la
qualificazione determinata di entrambi; si dovrebbe allora concludere
nell’inesistenza e falsità di una questione della quantificazione relativa e
particolare del primo ontico, dovendo in tutti i casi il quadro totale del noto
fenomenico connotarne il concetto con o senza esaustione, il che appunto
costituirebbe la sostanza del problema di quantificazione generale. D’altra
parte, le obiezioni che si muovono al diritto del problema di utilizzazione
metafisica parziale o totale del fenomenico noto ad occupare il secondo grado
non sono di natura diversa da quelle che si possono muovere e si muovono contro il diritto che il problema della
conoscibilità totale o parziale del primo nell’essere avrebbe ad occupare il
primo: si può sempre vedere ((credere??)) che sia la preordinata qualificazione
del metafisico primo a definire la sua connotabilità totale o parziale e
insieme la coincidenza o inequivalenza dell’estensione del conosciuto
metafisico e dell’estensione del conosciuto fenomenico. Ora,
|