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medesimo,
che essa è costretta per uno o per altro motivo ad accettare come parimenti
necessaria: l’analisi di tutte le metafisiche a conoscibilità totale e a
predicabilità parziale dimostra che esse cadono o nell’uno o nell’altro di
questi due errori: son tenute a dedurre dal principio totalmente noto tutto il
fenomenico conoscibile e riconoscono lecita dalla struttura stessa del
fenomenico siffatta deduzione e in questo caso pur dovendo riconoscere
legittima la predicabilità totale del
fenomenico al principio, non lo fanno, ed errano per ripudio di rigore logico;
son tenute alla medesima deduzione, alla medesima liceità, ma son costrette
dalla struttura del fenomenico a dichiarare illegittima la predicabilità di
tutto il fenomenico, e peccano, in questo caso, di paralogismo perché il
principio di deduzione del fenomenico è altro dal principio da essi assunto,
essendo a conoscibilità parziale. Se ora consideriamo Spinoza, ci si presenta
qualcosa di analogo: noi abbiamo il diritto di predicare tutto il fenomenico
alla sostanza-principio, ma non ne abbiamo uno identico ad affermare la
connotazione fenomenica esaustiva della connotazione reale di essa, ossia a
dichiarare la conoscenza del principio per altro equivalente alla conoscenza
del principio per sé; d’altra parte, a questo modo a predicabilità totale del
fenomenico a un primo nell’essere conoscibile solo parzialmente appartengono
pure la maggior parte delle metafisiche romantiche e tutte le metafisiche che
vogliano inferirsi da un’ interpretazione positivistica della natura. Lo
spinozismo solo in apparenza è il capovolgimento ((?? cavolgimento??)) di una
metafisica a struttura eleatica, solo in apparenza si oppone con la sua
conoscibilità parziale del primo nell’essere e la sua predicabilità totale del
noto fenomenico alla parmenidea conoscibilità totale del primo metafisico con
la correlativa predicabilità parziale del fenomenico; in realtà, qualcosa di
diverso interviene che impedisce di considerarlo un semplice opposto per
rovesciamento dei termini relazioni; le due dottrine infatti non sono cogeneri
e quindi neppure contrarie. Il pensiero di Elea presuppone una razionalità il
cui lavoro apriori è produttivo di nozioni simmetriche del reale anche se
nessuna intuizione del reale stesso interviene a convalidarla; questo
postulato, fondamento di un razionalismo in generale, non necessariamente si
determina in dedotti univoci, essendo ad esso data la liceità, una volta posti
i quattro concetti, nozione del reale in sé, nozione della natura come reale
per il reale in sé, nozione delle rappresentazioni razionali come riproduttive
del reale in sé e delle inferenze ontiche da questo, nozione delle
rappresentazioni fenomeniche come intuizioni sensoriali della natura e come
dati razionali indotti da queste intuizioni, a) o di
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argomentare
la perfetta equivalenza qualitativa e quantitativa della quarta nozione e della
terza, la simmetria assoluta tra le rappresentazioni fenomeniche propriamente
dette e il complesso di nozioni riguardanti la natura - in questo caso il reale
che si pensa derivato, in uno o altro modo, dal primo nell’essere è tradotto in
tutta la sua estensione e in tutti i suoi attributi e accidenti dal fenomenico
- b) di dimostrare un costante e insuperabile sconfinamento della terza nozione
rispetto alla quarta, l’asimmetria totale per difetto tra il pensato fenomenico
e il pensabile intorno alla natura - in questo caso il reale che è, secondo uno
o altro modo di derivazione, non per sè ma per il primo metafisico, vien
concepito in sé secondo modi che sono puramente pensabili, ma mai potranno
essere pensati in perfetta determinatezza, con la conseguenza che oltre il noto
fenomenico sta una sfera di naturale che mai entrerà a farne parte, senza
peraltro che in questo ci sia contraddizione, e non soltanto da un punto di
vista razionalistico cui è dato inferire a priori non solo intorno al primo
ontico bensì anche intorno alla natura indipendentemente da un ricorso
all’intuizione e al quale è lecito, con ciò, asserire reali naturali non
intuiti perché non intuibili e quindi non fenomenici, ma inoltre da una posizione
naturalistica la quale può o addirittura deve concludere nell’intraducibilità
di naturali in fenomenici di fronte, tra l’altro, a certi rapporti tra il
quanto e il quale la cui interpretazione resta fatto di parole, non dato
intelligibile -. Dunque, una posizione razionalistica può presupporre un primo
metafisico per il quale si pone un conoscere di tipo umano che esaurisce
l’essere e la natura e pel quale noto razionale e noto fenomenico costituiscono
una regione cognitiva coestensiva della regione ontica, come anche può
presupporre un primo metafisico per il quale si pone una conoscenza umana che
non esaurisce né l’essere né la natura, per la quale il noto razionale e il
noto fenomenico coprono una parte soltanto rispettivamente dell’essere in sé e
della natura come essere per altro, e secondo cui, in ultima analisi, le
nozioni che essa possiede sono tutte veridiche e valide e quindi tutte
predicabili al principio nell’essere, che verrà così connotato da tutto ciò che
di razionale o di fenomenico troviamo in noi, benché non siano affatto
coestensive né del principio né della natura, i cui concetti quindi godranno di
una connotazione destinata a non venir mai totalmente
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coperta
dalle cognizioni umane. E’ logico allora che il razionalismo della prima
determinazione sia tenuto a giustapporre alla conoscibilità totale del
metafisico la predicabilità totale del fenomenico, e che il razionalismo della
seconda determinazione debba muovere da una predicabilità totale del fenomenico
che non ha nulla che fare, tuttavia, con l’impossibile predicabilità totale di
un intuito naturale che non è dato, lasciando per altro il primo metafisico
parzialmente inconoscibile se non altro perché al pensiero di condizione umana
sfugge un parte di ciò che deriva dal principio. Ma tale presupposto non è
necessariamente proprio soltanto di uno spinozismo, ossia di un razionalismo a
modalità matematica pel quale è la mancata intuizione della totalità delle
determinazioni possibili, in cui il primo ontico deve necessariamente
distendersi e necessariamente si distende ab aeterno, che provoca
l’inconoscibilità parziale del primo ontico senza impedire la predicabilità
totale del fenomenico; anche altri razionalismi, i quali ammettano
l’intuibilità di tutte le determinazioni in cui il primo ontico si espande, ma
negano la rappresentazione delle connessioni ontiche tra il primo e le sue
determinazioni e quindi tra determinazione e determinazione - un razionalismo
alla Cusano, ad esempio, -, debbono concludere nel medesimo modo - e così,
infatti, concludono la teoria romantica di Schelling e le metafisiche
positivistiche, per le quali il fenomenico non esaurisce tutta la natura, se
per natura è da intendersi tutto ciò che è per il principio ontico, ivi
compresi i nessi che vincolano l’essenza pura di esso con le sue determinazioni
e per le quali, allora, potrà sempre dirsi che il principio è forza, è bene, è
male, è maschio ed è femmina, è materia, è spirito, ecc. alla condizione di
tener presente che predicazioni tali sono di diritto, ma non esauriscono tutto
il conoscibile del principio e quindi non valgono ad illuminare né il reale
rapporto che intercorre tra le note, destinate a rimaner sconosciute,
dell’intera connotazione del concetto metafisico e le note fenomeniche immerse
legittimamente in essa, né la concreta intelligibilità della predicazione
stessa. In conclusione esiste un rapporto tra le soluzioni dei due problemi
metafisici fondamentali, allo stesso modo che esiste un rapporto tra i problemi
stessi. Solo l’indagine storica conduce all’inintelligibile
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di due
problemi connessi a soluzione indipendente; la quantità di conoscenza
attribuita al pensiero di tipo umano sul principio ontico richiama
necessariamente il problema del quanto di fenomenico si abbia il diritto di
predicare al principio stesso e insieme ne determina la soluzione: nel caso di
una conoscibilità totale la predicabilità del fenomenico non può essere che
totale, essendo la sua parzialità un errore o di principio discorsivo o di
inferenza delle conseguenze da questo, ed essendo il principio discorsivo,
ossia l’asserita conoscibilità totale metafisica strumento di intellezione
totale del fenomenico e della natura, frutto appunto di una predicazione di
tutto il fenomenico al principio con una intellezione perfetta ed assoluta del
fenomenico stesso divenuto nota del concetto primo metafisico; presupposto di
questa teoria è un’identità totale del fenomeno, come intuizione del naturale e
come elaborazione razionale dell’intuito, e della natura, come reale per il
primo ontico e come determinazione completa dei nessi di derivazione tra reale
in sé e reale per il reale in sé. Nel caso di una conoscibilità meramente
parziale del primo ontico la predicabilità del fenomenico è totale, ma non
necessariamente: e qui descrizione storica e formalità razionale coincidono.
Per intendere questo, dobbiamo ancora rifarci alla considerazione puramente
formale dei tre concetti fra cui siamo costretti a giostrare: il concetto di
principio come nozione di un primo ontico connotata dall’unica nota veridica e
valida dell’esistenza del suo oggetto, il concetto di natura come nozione
dell’intera realtà che è per il primo ontico e che abbraccia sia la realtà che
comunque deve essere pensata derivata da esso sia i rapporti di derivazione o
immediati o mediati, sia la nostra stessa individualità empirica in quanto
ricca di realtà derivata e di nessi primi o secondi di derivazione, il concetto
di fenomeno come intuizione della natura, intuizione che può ma non
necessariamente deve essere pensata onticamente altra dalla natura stessa, si
pongono in due combinazioni possibili in quanto di fatto non sono né tre né
riducibili ad uno. Il concetto di natura e il concetto di principio non sono
formalmente due eterogenei, il che non è per nulla un impegno apriori a livello
metafisico e in nulla determina apriori una teoria metafisica, e tanto meno
suona blasfemo
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