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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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medesimo, che essa è costretta per uno o per altro motivo ad accettare come parimenti necessaria: l’analisi di tutte le metafisiche a conoscibilità totale e a predicabilità parziale dimostra che esse cadono o nell’uno o nell’altro di questi due errori: son tenute a dedurre dal principio totalmente noto tutto il fenomenico conoscibile e riconoscono lecita dalla struttura stessa del fenomenico siffatta deduzione e in questo caso pur dovendo riconoscere legittima la predicabilità totale  del fenomenico al principio, non lo fanno, ed errano per ripudio di rigore logico; son tenute alla medesima deduzione, alla medesima liceità, ma son costrette dalla struttura del fenomenico a dichiarare illegittima la predicabilità di tutto il fenomenico, e peccano, in questo caso, di paralogismo perché il principio di deduzione del fenomenico è altro dal principio da essi assunto, essendo a conoscibilità parziale. Se ora consideriamo Spinoza, ci si presenta qualcosa di analogo: noi abbiamo il diritto di predicare tutto il fenomenico alla sostanza-principio, ma non ne abbiamo uno identico ad affermare la connotazione fenomenica esaustiva della connotazione reale di essa, ossia a dichiarare la conoscenza del principio per altro equivalente alla conoscenza del principio per sé; d’altra parte, a questo modo a predicabilità totale del fenomenico a un primo nell’essere conoscibile solo parzialmente appartengono pure la maggior parte delle metafisiche romantiche e tutte le metafisiche che vogliano inferirsi da un’ interpretazione positivistica della natura. Lo spinozismo solo in apparenza è il capovolgimento ((?? cavolgimento??)) di una metafisica a struttura eleatica, solo in apparenza si oppone con la sua conoscibilità parziale del primo nell’essere e la sua predicabilità totale del noto fenomenico alla parmenidea conoscibilità totale del primo metafisico con la correlativa predicabilità parziale del fenomenico; in realtà, qualcosa di diverso interviene che impedisce di considerarlo un semplice opposto per rovesciamento dei termini relazioni; le due dottrine infatti non sono cogeneri e quindi neppure contrarie. Il pensiero di Elea presuppone una razionalità il cui lavoro apriori è produttivo di nozioni simmetriche del reale anche se nessuna intuizione del reale stesso interviene a convalidarla; questo postulato, fondamento di un razionalismo in generale, non necessariamente si determina in dedotti univoci, essendo ad esso data la liceità, una volta posti i quattro concetti, nozione del reale in sé, nozione della natura come reale per il reale in sé, nozione delle rappresentazioni razionali come riproduttive del reale in sé e delle inferenze ontiche da questo, nozione delle rappresentazioni fenomeniche come intuizioni sensoriali della natura e come dati razionali indotti da queste intuizioni, a) o di

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argomentare la perfetta equivalenza qualitativa e quantitativa della quarta nozione e della terza, la simmetria assoluta tra le rappresentazioni fenomeniche propriamente dette e il complesso di nozioni riguardanti la natura - in questo caso il reale che si pensa derivato, in uno o altro modo, dal primo nell’essere è tradotto in tutta la sua estensione e in tutti i suoi attributi e accidenti dal fenomenico - b) di dimostrare un costante e insuperabile sconfinamento della terza nozione rispetto alla quarta, l’asimmetria totale per difetto tra il pensato fenomenico e il pensabile intorno alla natura - in questo caso il reale che è, secondo uno o altro modo di derivazione, non per ma per il primo metafisico, vien concepito in sé secondo modi che sono puramente pensabili, ma mai potranno essere pensati in perfetta determinatezza, con la conseguenza che oltre il noto fenomenico sta una sfera di naturale che mai entrerà a farne parte, senza peraltro che in questo ci sia contraddizione, e non soltanto da un punto di vista razionalistico cui è dato inferire a priori non solo intorno al primo ontico bensì anche intorno alla natura indipendentemente da un ricorso all’intuizione e al quale è lecito, con ciò, asserire reali naturali non intuiti perché non intuibili e quindi non fenomenici, ma inoltre da una posizione naturalistica la quale può o addirittura deve concludere nell’intraducibilità di naturali in fenomenici di fronte, tra l’altro, a certi rapporti tra il quanto e il quale la cui interpretazione resta fatto di parole, non dato intelligibile -. Dunque, una posizione razionalistica può presupporre un primo metafisico per il quale si pone un conoscere di tipo umano che esaurisce l’essere e la natura e pel quale noto razionale e noto fenomenico costituiscono una regione cognitiva coestensiva della regione ontica, come anche può presupporre un primo metafisico per il quale si pone una conoscenza umana che non esaurisce né l’essere né la natura, per la quale il noto razionale e il noto fenomenico coprono una parte soltanto rispettivamente dell’essere in sé e della natura come essere per altro, e secondo cui, in ultima analisi, le nozioni che essa possiede sono tutte veridiche e valide e quindi tutte predicabili al principio nell’essere, che verrà così connotato da tutto ciò che di razionale o di fenomenico troviamo in noi, benché non siano affatto coestensive né del principio né della natura, i cui concetti quindi godranno di una connotazione destinata a non venir mai totalmente

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coperta dalle cognizioni umane. E’ logico allora che il razionalismo della prima determinazione sia tenuto a giustapporre alla conoscibilità totale del metafisico la predicabilità totale del fenomenico, e che il razionalismo della seconda determinazione debba muovere da una predicabilità totale del fenomenico che non ha nulla che fare, tuttavia, con l’impossibile predicabilità totale di un intuito naturale che non è dato, lasciando per altro il primo metafisico parzialmente inconoscibile se non altro perché al pensiero di condizione umana sfugge un parte di ciò che deriva dal principio. Ma tale presupposto non è necessariamente proprio soltanto di uno spinozismo, ossia di un razionalismo a modalità matematica pel quale è la mancata intuizione della totalità delle determinazioni possibili, in cui il primo ontico deve necessariamente distendersi e necessariamente si distende ab aeterno, che provoca l’inconoscibilità parziale del primo ontico senza impedire la predicabilità totale del fenomenico; anche altri razionalismi, i quali ammettano l’intuibilità di tutte le determinazioni in cui il primo ontico si espande, ma negano la rappresentazione delle connessioni ontiche tra il primo e le sue determinazioni e quindi tra determinazione e determinazione - un razionalismo alla Cusano, ad esempio, -, debbono concludere nel medesimo modo - e così, infatti, concludono la teoria romantica di Schelling e le metafisiche positivistiche, per le quali il fenomenico non esaurisce tutta la natura, se per natura è da intendersi tutto ciò che è per il principio ontico, ivi compresi i nessi che vincolano l’essenza pura di esso con le sue determinazioni e per le quali, allora, potrà sempre dirsi che il principio è forza, è bene, è male, è maschio ed è femmina, è materia, è spirito, ecc. alla condizione di tener presente che predicazioni tali sono di diritto, ma non esauriscono tutto il conoscibile del principio e quindi non valgono ad illuminare né il reale rapporto che intercorre tra le note, destinate a rimaner sconosciute, dell’intera connotazione del concetto metafisico e le note fenomeniche immerse legittimamente in essa, né la concreta intelligibilità della predicazione stessa. In conclusione esiste un rapporto tra le soluzioni dei due problemi metafisici fondamentali, allo stesso modo che esiste un rapporto tra i problemi stessi. Solo l’indagine storica conduce all’inintelligibile

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di due problemi connessi a soluzione indipendente; la quantità di conoscenza attribuita al pensiero di tipo umano sul principio ontico richiama necessariamente il problema del quanto di fenomenico si abbia il diritto di predicare al principio stesso e insieme ne determina la soluzione: nel caso di una conoscibilità totale la predicabilità del fenomenico non può essere che totale, essendo la sua parzialità un errore o di principio discorsivo o di inferenza delle conseguenze da questo, ed essendo il principio discorsivo, ossia l’asserita conoscibilità totale metafisica strumento di intellezione totale del fenomenico e della natura, frutto appunto di una predicazione di tutto il fenomenico al principio con una intellezione perfetta ed assoluta del fenomenico stesso divenuto nota del concetto primo metafisico; presupposto di questa teoria è un’identità totale del fenomeno, come intuizione del naturale e come elaborazione razionale dell’intuito, e della natura, come reale per il primo ontico e come determinazione completa dei nessi di derivazione tra reale in sé e reale per il reale in sé. Nel caso di una conoscibilità meramente parziale del primo ontico la predicabilità del fenomenico è totale, ma non necessariamente: e qui descrizione storica e formalità razionale coincidono. Per intendere questo, dobbiamo ancora rifarci alla considerazione puramente formale dei tre concetti fra cui siamo costretti a giostrare: il concetto di principio come nozione di un primo ontico connotata dall’unica nota veridica e valida dell’esistenza del suo oggetto, il concetto di natura come nozione dell’intera realtà che è per il primo ontico e che abbraccia sia la realtà che comunque deve essere pensata derivata da esso sia i rapporti di derivazione o immediati o mediati, sia la nostra stessa individualità empirica in quanto ricca di realtà derivata e di nessi primi o secondi di derivazione, il concetto di fenomeno come intuizione della natura, intuizione che può ma non necessariamente deve essere pensata onticamente altra dalla natura stessa, si pongono in due combinazioni possibili in quanto di fatto non sono né tre né riducibili ad uno. Il concetto di natura e il concetto di principio non sono formalmente due eterogenei, il che non è per nulla un impegno apriori a livello metafisico e in nulla determina apriori una teoria metafisica, e tanto meno suona blasfemo




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