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relazioni tra fenomenico intuito e funzioni soggettive: indicate con a1
a2 a3...an le funzioni soggettive
gnoseologicamente valide il fenomenico intuito è assunto come totalmente
elaborabile da tutte le funzioni e tale da soddisfare a tutte le esigenze,
condizioni, finalità che le funzioni accolgono in sé, oppure è assunto come
totalmente elaborabile solo da alcune funzioni o da alcuni momenti di ciascuna
funzione tale da lasciare insoddisfatte alcune delle esigenze, condizioni,
finalità proprie delle funzioni, oppure è assunto come troppo ampio per poter
essere totalmente elaborato dalle funzioni e quindi tale ancora da non riuscire
a soddisfare tutte le esigenze, condizioni, finalità proprie delle funzioni,
essendo d’altra parte questi ultimi due casi in sostanza equivalenti perché, se
una funzione soggettiva è posta gnoseologicamente valida quando i prodotti
delle sue elaborazioni si rivelano, ad uno o altro segno o carattere, dotati di
veridicità o simmetria rappresentativa o soggettiva col reale in sé o
oggettivo, il fatto che tutto il fenomenico venga elaborato senza che il
soggetto avverta che tutte le capacità sue gnoseologiche sono esaurite o il
fatto che una parte del fenomenico non possa per uno o altro motivo venir
elaborato nei meccanismi funzionali significano entrambi la stessa cosa, che il
possibile cognitivo di cui la coscienza è capace non raggiunge la perfetta
simmetria rappresentativa con l’oggettivo reale, o per eccesso o per difetto; e
allora delle due l’una: o il fenomenico intuito ed elaborato si traduce in una
conoscenza coestensiva del naturale, o il fenomenico intuito ed elaborato
abbraccia zone o non elaborabili o formalmente concrete e materialmente vuote,
e, con ciò, equivale a una conoscenza non coestensiva del naturale. Di
conseguenza, i due concetti del naturale e del fenomenico debbono essere
pensati come autonomi e irriducibili l’uno all’altro - e questo
indipendentemente da qualsivoglia deduzione metafisica che attribuisca
all’oggetto del primo un certo valore ontico eterogeneo dall’oggetto del
secondo o che li giustapponga entrambi sullo stesso livello ontico,
indipendentemente cioè da un realismo qual è quello della metafisica”istintiva”
o da un fenomenismo alla Hume o alla Kant, e perciò in modo formalmente
ineccepibile perché alieno da pericoli di circoli viziosi, o di petizioni di
principio, e quindi con una portata universale e puramente razionale; giacché
qualunque
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sia il modo di esistere dell’oggetto corrispondente al concetto di
natura, o modo sostanziale o modo di inerenza a un altro sostanziale dotato di
questi o di quegli attributi, e in qualunque rapporto debbano essere pensati
gli oggetti corrispondenti ai concetti di natura e di fenomeno, o rapporto di
coessenzialità o rapporto di coinerenza o rapporto di eterogeneità riducibile o
irriducibile, resta pur sempre che il secondo oggetto dovrà pensarsi come
inerente al soggetto conoscente e quindi arricchito di tutte le determinazioni
di questo, e il concetto di fenomeno sarà allora il concetto di un soggettivo
in generale, mentre il primo oggetto dovrà pensarsi come ricco di tutte le
determinazioni di un soggetto conoscente e di un soggettivo solo in quanto però
le possieda di per sé e indipendentemente dalla sua inerenza al soggetto
conoscente che è fatto puramente possibile e non assumibile a ragion
sufficiente di siffatte determinazioni: così ad esempio, nella visione kantiana
del mondo si insiste nel negare oggettività, come sostanzialità, alla natura e
nel fondare la coessenzialità della natura e del fenomeno come quelli che sono
tutt’e due rappresentazioni di un conoscente sicché si perviene ad asserire
fenomenica la natura e a negare un’eterogeneità dei due e un’eterogeneità dei
rispettivi concetti; ma quando si tratta di procedere alla loro assoluta
identificazione ciò pare impossibile perché il concetto della natura si rivela
essere il concetto di un’entità, inerente fin che si vuole al soggetto
conoscente, ma che racchiude le determinazioni tipiche del soggettivo grazie a
un’elaborazione che tuttavia è avvenuta fuor della sfera del consapevole e che
quindi il soggetto conoscente in quanto fenomenico, ossia intuente se stesso, è
costretto a dichiarare possedute dall’entità ((ontità??)) in sé, mentre il
concetto del fenomenico si rivela concetto di un ente che pure inerisce al
soggetto conoscente e che si
arricchisce di tutte le determinazioni di questo appunto perché il soggetto
conoscente, empirico si badi bene, ha la consapevolezza di essere lui ad
introdurle nell’ente stesso. Ed è appunto in virtù di questa differenza
fondamentale che il concetto del fenomenico si fa più ampio sotto l’aspetto
formale di quanto non sia il concetto di natura in quanto questa, anche assunta
come fenomenica ossia coessenziale al fenomeno, non pare essere ricca
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di tutte le determinazioni soggettive possibili, ad esempio non è mai
sdoppiabile in una rappresentazione attuale e sensorialmente intuita e in una
rappresentazione attuale ed intuita indipendentemente da quelle
rappresentazioni fenomeniche che chiamiamo modificazioni sensoriali e il cui
esercizio funzionale sulla conoscenza immediata fa di questa un sensorialmente
intuito. Se allora i nostri tre concetti si son ridotti nel loro essere formale
a due, il concetto di reale in quanto principio e natura e il concetto di fenomeno,
la cui riduzione reciproca è per quanto si è detto impossibile, non essendo
lecito riportare il concetto di reale all’altro come quello che è un ente il
cui essere è apoditticamente indipendente dal conoscere, non essendo lecito
riportare il concetto di fenomeno all’altro come quello che è apoditticamente
dipendente dall’essere, le loro combinazioni possibili saranno due, e la polarità dipenderà da ciò
che distingue il fenomenico dal reale; l’eccedenza formale del fenomenico sul
reale in nulla incide sulla differenza cognitiva, in quanto il fenomenico è un
reale che è in un reale altro e per un reale altro con la conseguenza che
quanto di più il fenomenico racchiude in sé non è attributo della sua essenza,
ma è un modo derivato dall’essenza del conoscente in cui immane e quindi nulla
ha che fare col fenomenico stesso e con il tesoro cognitivo che esso
essenzialmente racchiude in sé; tutt’al più quel di più formale che ritroviamo
nel fenomenico esigerà una spiegazione che potrà o non essere fornita, ma che
coinvolgerà il soggetto conoscente di cui si dovrà dire perché sia atto ad
immaginare, a fantasticare, a pragmaticizzare, ecc., e al massimo toccherà il
fenomenico per stabilire se e in che misura sia atto a divenire oggetto di
siffatte funzioni: l’eccedenza formale è fatto di struttura del fenomenico e
non riguarda la carica di “energia” cognitiva che esso porta con sé. E poiché
il fenomenico è ciò che media i due fatti reali del principio e della natura in
sé, da un lato, e del soggetto conoscente e agente, dall’altro, in quanto
momento del primo e della seconda, e poiché tale funzione di medio esplica con
la carica cognitiva che reca in sé, sarà questa carica a determinare la
possibile combinazione dei due concetti: si è già visto che
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la portata cognitiva del fenomenico è pensabile o come atta ad
esaurire la natura e quindi il reale o come destinata a rimanere costantemente
al di sotto di tale esigenza. Donde la possibile combinazione formale dei tre
concetti: il concetto del principio ontico trae la sua connotazione da un
concetto di natura il quale risulta totalmente intelligibile per la portata
cognitiva esauriente del concetto del fenomenico, pensato come totalmente
elaborabile dalle funzioni cognitive del soggetto e totalmente soddisfacente le
esigenze di queste sì che nel fenomenico, in quanto rappresentazione per
intuizione della natura, nulla resta di oscuro e di inintelligibile e dal
fenomenico nulla è lasciato inintelligibile in ciò che le facoltà cognitive in
sé e nell’elaborazione del fenomenico debbono pensare esistente nella natura;
oppure il concetto della natura, nell’atto stesso in cui il pensiero si accinge
a valersene per connotare qualitativamente il concetto del principio, risulta
essere a connotazione non totalmente adeguata dal concetto del fenomenico, il
quale, postosi come oggetto delle funzioni elaboratrici del pensiero pensante a
modalità umane, non è riuscito a soddisfare totalmente le esigenze di queste o
perché ha manifestato in sé spazi irriducibili a intelligibilità qualunque modo
di qualunque facoltà si utilizzi, o perché non riesce a offrire note di
conoscenza per quegli aspetti che le facoltà, muovendo o da sé o
dall’elaborazione del fenomenico stesso, dichiarano presenti necessariamente
nella natura, o per entrambi i motivi; da un lato abbiamo il concetto di
principio ontico dalla connotazione totalmente esaurita dalla connotazione del
concetto di natura che il concetto di fenomenico offre interamente nota e
intelligibile, e quindi abbiamo l’identità qualitativa e quantitativa delle tre
connotazioni con la conseguente liceità di una predicazione esaustiva del
naturale-fenomenico al metafisico; dal lato opposto, in assoluta contrarietà o
contradditorietà formale e reale, troviamo il concetto di principio ontico la
cui connotazione non viene se non parzialmente coperta dalla connotazione del
concetto di natura la quale a sua volta eccede il fenomenico, sicché le tre
connotazioni restano qualitativamente
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