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di equivalenza della quantità parzialmente indeterminata alla quantità
determinata e quindi di predicazione della prima alla seconda e con ciò di
dipendenza funzionale della seconda dalla prima, primato non già intellettivo o
di intelligibilità, ma di discorsivo ossia di ricerca di intelligibilità, vale
a dire il primato di un problema non il primato di una ragion sufficiente [il
dichiarare che la proposizione a2 +2ab + b2 = (a + b)2
è prima rispetto alla proposizione (a + b)2 = a2 +2ab + b2
non significa che il predicato (a + b)2 immane nel soggetto come
connotazione totalmente dispiegata e tale quindi da trarre da esso esistenza e
da dare ad esso intelligibilità piena, ma significa proprio il contrario ossia
che il predicato (a + b)2 immane nel soggetto come essenza
autosufficiente ma non esplicitata, sì che è esso predicato a dare esistenza al
soggetto, così come ogni implicito qualitativo è ragione di esistenza della sua
esplicitazione, e a riceverne intelligibilità piena; donde deriva che la sua
enunciazione è prima solo alla condizione di essere una questione ossia una
tesi che attende argomento e lo riceve dall’argomentazione dimostrante la
proposizione reciproca, affermante che (a + b)2 = a2 +2ab
+b2 che diviene in tal modo il primo di cui il secondo è semplice
inferenza; tant’è vero che la geometria euclidea si dà pena di erigere a
teorema soltanto l’enunciato della proposizione (a + b)2 =a2
+ 2ab + b2, che è prova della liceità di considerare un qualsivoglia
quadrato una giustapposizione per adiacenza di due quadrati, aventi
rispettivamente proprio a lato una delle due quantità che sommate danno il lato
del quadrato dato, e di due rettangoli aventi a propri lati entrambi le due
quantità in cui il lato del quadrato dato si è suddiviso, e destinati a divenir
essi pure quadrati nel caso che queste ultime due quantità siano identiche,
tralasciando la dimostrazione del reciproco che tutt’al più può argomentare la
liceità di considerare quattro spazi quadrangolari godenti di particolari
relazioni nei loro rispettivi lati un unico e solo quadrato, e con ciò
riducendo il teorema reciproco del teorema fondamentale nulla più che un
semplice problema]; la stessa cosa deve ripetersi nel caso dell’equivalenza tra
due qualità, per le quali o è data a priori un’identità e in questo caso
l’equivalenza non è un discorso ma una tautologia e non dà luogo a nessuna
conoscenza, essendo
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allora assolutamente indifferente o il primato dell’un enunciato sul
reciproco o il primato opposto o la comprimarietà dei due enunciati, oppure non
è lecita a priori un’identità e allora delle tre l’una o l’indagine rivela
un’identità, e in questo caso si ritorna alla situazione di cui immediatamente
sopra, o l’indagine rivela una dipendenza ontica del primo equivalente (A) al
secondo (B), e in questo caso sarà legittimo il primato dell’enunciazione “B è
A” sull’enunciato convertito “A è B e non il primato opposto, o l’indagine
rivela una dipendenza ontica del secondo equivalente (B) dal primo (A), e
allora è unicamente lecito dichiarare “A è B” primo rispetto a “B è A” e non
viceversa -. Ora è appunto questa legge dell’equivalenza qualitativa che
dobbiamo considerare per mettere in luce il circolo vizioso: per essa, di due
proposizioni reciproche che connettano per equivalenza due concetti
qualitativamente connotati, si ha indifferenza di primato nel caso che i due
concetti risultino apriori assolutamente omogenei, ossia siano di diritto un
solo concetto che di fatto è ripetuto o per esigenze discorsive o per una
eterogeneità puramente apparente - secondo la formula: [(A=B) → (B= A)] =
[(B=A) →(A=B)], in cui B1 (=comprensione di B)=A1
(= comprensione di A) -; si ha differenza di primato nel caso che i due concetti
non risultino apriori assolutamente omogenei, ma la loro assoluta omogeneità
non possa essere dimostrata affatto o venga dimostrata irreale e impossibile
dovendo con ciò continuare a sussistere quella parziale eterogenità che pone l’equivalenza,
oppure possa essere affermata ma solo previa dimostrazione - secondo la
formula: [(A = B) →(B=A)]
≠ [(B=A) → (A=B)], in cui o [B1 (= comprensione di B)
≠ A1 (=comprensione di A)]o [B1 (=comprensione di
B) → = A1 (= comprensione di A)]; nel caso di differenza di
primato, il primato spetta alla proposizione enunciante equivalenza il cui
soggetto risulti di comprensione maggiore del predicato nella somma di
conoscenze dalle quali necessariamente si deve muovere perché nota - secondo la
formula: [(A=B) → (B=A)] se [A1 (=comprensione nota di A) >
B1 (=comprensione nota di B1)]oppure [(B=A) →
(A=B)] se [B1 (=comprensione nota di B) > A1
(=comprensione nota di A)]. Della legge dell’equivalenza qualitativa
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può essere data dimostrazione: muovendo dalle proposizioni o
assiomatiche o poste come già dimostrate, che in un rapporto di parte a tutto è
il tutto che dà esistenza alla parte e che nel medesimo rapporto la conoscenza
del tutto o è data immediatamente o, non è essendo data affatto, vien
conseguita con la conoscenza progressiva delle parti costitutive, sì che
l’assunzione di un ente come parte di un tutto è lecita solo previa conoscenza
della natura dell’ente e conoscenza della sua modalità di esistenza come parte
del tutto e con ciò è momento del progresso di conoscenza nel tutto, due enti i
cui concetti siano totalmente noti per ipotesi e sempre per ipotesi o abbiano
entrambi una connotazione medesima e nella quantità e nella qualità delle note
denotanti o possano essere dimostrati dotati di siffatta connotazione, nel caso
che per un qualsivoglia debbano essere pensati come due differenti, saranno
sempre due identici, ciascuno dei quali ha la sua connotazione coincidente col
tutto della connotazione dell’altro, ed è quindi tale da potersi porre come
principio di esistenza per l’altro e insieme oggetto di conoscibilità ed
intelligibilità ad opera dell’altro; se si chiama principio gnoseologico un
enunciato che per l’esistere e l’intelligere non dipenda da nulla fuor che da
se stesso, qualora il rapporto di equivalenza tra siffatti due enti debba
assumersi a principio è indifferente che questa funzione sia attribuita
all’enunciato in cui il secondo è predicato al primo o all’enunciato in cui il
primo è predicato al secondo, dovendosi anzi, in nome delle stesse ragioni per
le quali i due concetti di diritto polarizzati solo nell’espressione, di fatto
polarizzati anche nel discorso, i due enunciati assumersi a complanari ossia
dovendosi erigere a principio non un enunciato solo ma entrambi -in formula: da
A<B deriva che B1 (=connotazione nota di B)→ A1
(=connotazione ignorata di A) e che A2 (=connotazione di A in quanto
esistente ) → B2 (=connotazione di B in quanto esistente);
siano dati N ed M, N=A, M=B, N1 =A1 =, M1 = B1,
N2 =A2, M2 =B2;sarà che N<M, M1
→ N1, N2 → M2; sia o sia
dimostrato che N1 =M1; si avrà che N=M, N1 →
M1, N2 → M2; sia o sia dimostrato che N1
= M1, ma non che N=M, si avrà che: a) tesi prima è che [(N=M)
→ (M=N)] perché [(N= M) = (M1 → N1)+
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(N2 → M2)] e b) che tesi seconda è [(M=N)
→ (N=M)] perché [(N=M) → (M=N)]; ma N1=M1 e N2=M2,
donde [(N1 → M1) = (M1 → N1)]
e che [(N2 → M2) = (M2 →N2)],
donde che a) = b).- Assunte ancora a principio le stesse proposizioni, due enti
i cui concetti siano dati o siano dimostrati di comprensione qualitativamente
identica e quantitativamente diversa, potranno essere enunciati equivalenti
alla condizione che l’enunciato stabilisca la relazione di inerenza che
necessariamente connette il concetto a comprensione minore al concetto a
comprensione maggiore, relazione di inerenza che fissa il rapporto di parte a
tutto tra i due e quindi la funzione di ragion sufficiente di esistenza che il
concetto a comprensione maggiore esplica nei confronti con l’altro e la
funzione di ragion sufficiente di intelligibilità che il concetto a
comprensione minore esplica nei riguardi del primo; qualora la relazione di
equivalenza debba assumersi a principio, l’enunciato reciproco non potrà mai
esplicare le funzioni richieste di principio a) perché la relazione di
equivalenza nella proposizione convertita modifica i rapporti di inerenza, o
assumendo nel predicato una nota soltanto della comprensione del soggetto, la
nota cioè dell’esistenza per sé e non per il suo predicato, o attribuendo al
predicato una funzione di intelligibilità, ossia di universalità e necessità,
che non è quella che il predicato del
primo giudizio, essendo la funzione di intelligibilità nel giudizio convertito
di offrire le ragioni dell’universalità e necessità esistenziale del tutto,
essendo la funzione di intelligibilità nel giudizio da convertirsi quella di
offrire le ragioni dell’universalità e necessità dei modi qualitativi
dell’esistenza del tutto, e b) perché i rapporti di inerenza così modificati
non possono essere ragione e principio di se stessi e debbono ricercare la loro
ragione e il loro principio nei rapporti di inerenza del giudizio da
convertirsi - in formula: posti A<B con B1 → A1
e A2 → B2, siano dati N=A, M=B, N1=A1,
M1=B1, N2=A2, M2=B2,
e siano N3 (=esistenza in sé di N, indipendentemente da M, e quindi
N3 → (N2 → M2)], N4 (=
universalità e necessità dell’esistenza di N, e quindi N4 →N3),
M3 (= universalità e necessità di M1, e
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