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quindi M3 → (M1 → N1);
tesi prima: a) [(N=M)]=[(N2 → M2)+ (M1 →N1)]
perché [N4 →N3 → (N2 → M2)],
M3 → (M1 → N1), e [(N2 →
M2)+(M1→N1)] →(N=M)]; tesi
seconda: b) [(M=N)] ≠ [N=M], perché M=N, in cui (N=N4) = [N=N4
→ N3 (N2 → M2)], ma (M=N)
≠ [M3 → (M1 →N1)]; tesi
terza: c) [(N=M) → (M=N)], perché (N=M) → N3, (N=M)
→ N4, (N=M) → M3 e N3 →[M=N
(=N3)], N4 → [M=N (=N4)], (M=N) ≠
[M3 → (M1→N1)]; tesi quarta: d)
{[(M=N) →(N=M)]}≠
{[(N=M) → (M=N)]}, perché [N4 → N3 → (N2
→ M2)]+[M3 →(M1 → N1)]
→ (N=M) e [(N=M) → (M=N)].
Riprendiamo ora in considerazione i due concetti di reale e di
razionale. Si può ammettere in linea di pura possibilità che essi abbiano connotazione
uniforme e omogenea limitatamente però alla qualità, ma non alla quantità nei
riguardi della quale nulla offre ragion sufficienti per garantire alla
connotazione del concetto di razionalità un’ampiezza perfettamente identica a
quella dell’altro concetto - a guardare ben in fondo alle cose, nessun dato di
conoscenza immediata si dà che garantisca
in generale a una razionalità di inerire necessariamente alla
connotazione del reale in quanto primo ontico; poiché d’altra parte
l’affrontare questa questione darebbe vita a una digressione che ci porterebbe
troppo lontano e addirittura alla meta ultima prima ancora che abbiamo fatto i
vari gradini intermedi, ci limitiamo a un argomento meramente indiretto, che,
escluse le forme di conoscenza immediata straordinaria, le conoscenze intuite
sensorialmente sarebbero destinate a rimanere bagliori transeunti ed accecanti
di sapere se non venissero assunte in uno o altro modo da una funzione che le
elabora secondo una certa legislazione e che fa di essi strumenti di
intelligibilità e di predicabilità non solo per il fenomenico in genere e con
ciò per la natura che il fenomenico pretende riflettere, ma anche per il
principio metafisico stesso -. Infatti, il razionale
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ridotto alla sua purezza è organismo di norme che sono relazioni
universali e necessarie e già dentro di noi, nella nostra conoscenza
fenomenica, esso è zero senza una materia che in esso s’inquadri; nell’atto in
cui noi pensiamo il razionale come denotante necessariamente il primo metafisico,
in forza di un discorso che attribuisce al razionale il primato nell’ordine
cognitivo e, subordinandogli in tal modo tutto il conosciuto, ne fa la
condizione prima del conoscere che in nessun modo possiamo dedurre dal
conoscere in quanto materiato secondo certi modi sicché per esso non resta che
fare quel che si fa per tutto ciò che, pur non essendo argomentabile
nell’esistere da sé pure non è argomentabile nell’esistere da altro che sia
coessenziale ad esso in quanto fenomenico, ad esempio per ciò che si fa per le
sensazioni, per l’autocoscienza, per le funzioni soggettive in genere,
argomentarne l’esistenza dall’esistenza del primo metafisico, in quello stesso
istante noi attribuiamo al reale ontico primo un attributo puramente formale
che per quanto analizzato e ridotto a complessi ulteriormente riducibili in
composti ancora analizzabili e così via, mai porta fuori da entità che sono
rapporti, sicché al reale si deve pure attribuire una qualche altra
connotazione che serva di materia alla forma relazionale della razionalità. Per
questo, al concetto di primo metafisico non si può non riservare una
connotazione a comprensione eccedente quella del mero razionale. Dunque, ci
troviamo di fronte due equivalenti, il concetto di reale e il concetto di razionale,
che per la loro parziale eterogeneità cadono sotto il secondo imperativo della
legge dell’equivalenza qualitativa; non pare che un ulteriore indagine riesca a
dimostrare una loro essenziale assoluta omogeneità; comunque questo aspetto
della questione qui non ci riguarda, perché, come di qui a poco vedremo, i due
concetti dell’ordine metafisico pur venendo a cadere sotto l’imperio di una
delle tante leggi della normatività razionale, si trovano in una condizione
gnoseologica particolare che non consente di attendere un ulteriore indagine
per vedere quale delle due determinazioni possibili della legge sia qui il caso
di scegliere; in altri termini, per quella particolare situazione gnoseologica,
che fa dei due concetti due equivalenti eccezionali, al pensiero non resta che
assumerli immediatamente come parzialmente
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eterogenei, con la conseguenza di dover obbedire in tutto alla seconda
determinazione, rimandando a più avanti, quando la conoscenza offerta da
quest’ultima applicazione abbia cominciato ad offrirsi, se per caso i due
equivalenti non divengano due assolutamente omogenei. L’applicazione di
siffatta determinazione impone che si introducano i due concetti in un giudizio
nel quale il concetto a comprensione più estesa, con le sue funzioni di
soggetto, garantisca, com’è logico, con la propria l’esistenza del concetto a
comprensione meno estesa che null’altro è se non una parte del suo tutto e
riceva da questo limitato alle funzioni di predicato attraverso l’analisi delle
sue note e quindi l’intelligibilità o conoscenza per universali e necessari
della connotazione di ciascuna di esse, la propria intelligibilità; impone
inoltre che siffatto giudizio goda di primato assoluto su tutti gli altri - si
tenga presente che qui siamo già usciti da quell’indagine puramente
quantitativa che presupponeva a primi i problemi puramente quantitativi della
conoscibilità del soggetto e della predicabilità del fenomenico nel giudizio
metafisico primo, e siamo già entrati in area qualificativa -, essendo quindi
principio di conoscenza metafisica e di intellezione fenomenica; di qui deriva
che di fronte a siffatto giudizio -”il reale è razionale” - il pensiero debba
sottomettersi a un movimento diciamo così unidirezionale che dal soggetto porta
al predicato, secondo una univocità di verso che non riguarda soltanto il
diritto di esistenza, ma anche le ragioni della connotazione qualitativa. E qui
insorge l’aporia. La legge dell’equivalenza qualitativa, come tutti i rapporti
razionali, ha una portata puramente formale ed indica le condizioni di certe
operazioni che la mente opera ed i limiti entro cui l’operazione deve essere
condotta per sfociare in risultati validi; ma al pari delle altre della
ragione, anche questa legge prescinde dai modi particolari che qualificano la
materia di cui essa normalizza le elaborazioni, così come prescinde dai modi
qualificatori dei risultati e, quel che qui interessa, dalle condizioni in cui
la materia da elaborarsi si dà; essa legge, infatti, nell’atto stesso in cui si
pone come determinazione apodittica di elaborazioni cognitive, stabilisce non
solo modalità operative, ma anche condizioni
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imprescindibili al procedere del’operazione e nei suoi inizi e
nell’intero corso del suo processo; nella fattispecie, essa impone, è vero, che
gli equivalenti siano inseriti in un rapporto di predicazione in cui il
concetto a comprensione più estesa funga da soggetto e l’altro da predicato,
impone che tale giudizio sia primo e sia fonte di validità per il giudizio da
questo ottenuto per conversione; e ancora impone che il pensiero muova dal
soggetto al predicato, sia per garantire a questo il diritto di esistenza
inferendolo dalla sua inerenza alla connotazione del soggetto che si dà
esistente di per sé o per un altro che non è il predicato, sia per ritrovare
effettivamente presenti nella conotazione del soggetto quelle connotazioni
universali e necessarie che inerendo a tutte le note del predicato
costituiscono l’intera comprensione intelligibile di questo, tollerando che il
pensiero si valga di connotazioni trovate altrove alla condizione però che
siano effettivamente esistenti nella connotazione del soggetto considerato; ma
è anche vero che essa fissa delle condizioni che devono essere date entro il
materiale da elaborarsi come enti che offrono liceità di esecuzione alle
medesime imposizioni formali, e nella fattispecie essa legge di equivalenza
impone che il concetto del soggetto abbia oltre alle note dell’esistenza in sé
del suo oggetto, oltre alla nota della sua denotazione da parte del predicato,
oltre alle note, che possono essere anche al tutto indeterminato, della
necessità di una eccedenza della propria sulla comprensione del predicato,
anche, se non altro, tutte le note del predicato stesso, e quindi corrisponda
alla rappresentazione immediata dell’oggetto illuminata per dir così almeno in
quella zona in cui si possano riscontrare gli universali e necessari del
predicato, potendo per il resto giacere nella più totale delle oscurità; senza
tale condizione materiale le imposizioni formali restano branche destinate a
stringere il vuoto cognitivo. E’ logico, quindi, che o la materia con la
propria situazione corrisponde alle condizioni e vede almeno alcune delle
proprie modalità qualitative coincidere con le condizioni materiali richieste
dalla legge, e la legge sarà un esecutabile, o nella materia mancano in tutte o
in parte le condizioni, essendo le situazioni particolari della materia
totalmente o parzialmente altre dalle
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