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con siffatta funzione esplica il ruolo di immobilizzatore di
rappresentazione in uno stato di mobilismo rappresentativo, mentre il principio
di identità esplicherebbe analoga funzione ma con effetti di immobilizzazione
di rappresentazione ma in uno stato di immobilismo rappresentativo. Non credo
di sbagliarmi se affermo che lo stesso Hegel avrebbe accettato il principio di
contraddizione, e quindi quello di identità, con siffatte medesime funzioni nei
confronti della sua dialettica e di tutte le proposizioni di questa costitutive
le quali anche se negano una certa utilizzazione dei due principi non si fanno
scrupolo di utilizzarli a loro volta come premesse maggiori di quei sillogismi
in cui esse entrano come premesse minori e da cui ottengono pel medio della
conclusione la garanzia di rimanere costantemente identiche a se stesse,
immutabili, eternamente valide, eternamente universali e necessarie sia per un
pensiero mobile come quello umano sia per un pensiero che mai si cambia nella
sua legge come quello ideale e metafisico. Ma la funzione di immobilizzazione
rappresentativa, non pare essere l’unica di cui il principio di contraddizione
è dotato: come già aveva osservato Kant, quando dimostriamo la tesi di un qualsivoglia
teorema, l’intero discorso ha valore cognitivo, ossia argomentativo di quella
tesi, a due condizioni a) che la premessa maggiore del sillogismo o la premessa
maggiore prima del polisillogismo o del sorite da cui la tesi scaturisce come
conclusione, siano vere, b) che nella dialettica del raziocinio ciascun
concetto, una volta introdotto, permanga costantemente identico a se stesso,
nella connotazione quantitativa e qualitativa con cui è stato assunto da
principio, nel caso che debba essere ripetuto, ossia inserito in una relazione
che comunque è diversa da quella primordiale o perché muta l’altro relazionato
o perché muta la funzione discorsiva nel caso che i concetti relati permangano
immutati; il che allora vale per tutti i concetti in quanto in un sillogismo, e
quindi in un polisillogismo, e quindi implicitamente in un sorite, tutti i
concetti vengono utilizzati almeno due volte; per questa condizione b) di
validità del raziocinio, la mente è tenuta ad operare movimenti che sono
dialettici in quanto processi da diverso a diverso, i quali tuttavia debbono
rigorosamente limitare la loro diversità alla mera variazione del rapporto
predicativo in genere, rimanendo in essi costantemente invariata la
connotazione, e qualitativa e quantitativa, di tutti i concetti ogniqualvolta
entrino in uno qualsiasi dei molteplici rapporti predicativi
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componenti il discorso; appare evidente, allora, che questa
immutabilità cui debbono assoggettarsi alcuni aspetti dell’intero processo è in
sé, in quanto immutabilità in assoluto e per un pensiero che non possa
infrangere un’immutabilità apodittica, ottemperanza al principio di identità,
conclusione cioè ancora una volta di un sillogismo che abbia a premessa
maggiore o il principio di identità o una sua inferenza canonico-operativa e a
premessa minore il concetto entrante nel discorso, considerato sotto i
differenti punti di vista da cui esso ci costringe a guardarlo in seguito alla
varietà dei rapporti predicativi che lo legano ad altro -secondo la formula, Se
un intelligibile entra in differenti rapporti predicativi con altri
intelligibili, la sua connotazione è immutabile e statica, A e B (e C e D...ed
n) sono intelligibili connessi ad altri intelligibili secondo differenti
rapporti predicativi, A e B (e C e D...ed n) hanno connotazione immutabile e
statica; in cui B= A connesso ad X dal rapporto predicativo a (alfa), C=A
connesso ad x dal rapporto predicativo b (beta), C=A connesso ad Y
dal rapporto predicativo o a (alfa) o b (beta) o g (gamma), ecc. -; e appare, d’altro canto, evidente che
la medesima immutabilità di cui sopra è per altro, per il pensiero di tipo
umano che la deve accettare, in quanto cioè immutabilità relativa ad un
pensiero che può infrangere un’immutabilità apodittica, ottemperanza al principio
di contraddizione, conclusione, per ciò, anche questa volta di un sillogismo la
cui premessa maggiore è questo principio stesso o meglio quella sua
determinazione che pone come illecita e svalorizzatrice della pretesa cognitiva
del processo discorsivo la mutevolezza e variazione di connotazione di un
intelligibile, sempre lecita di fatto per un pensiero di tipo umano, mentre
assume a premessa minore l’attribuzione di intelligibilità a uno dei concetti
del discorso -secondo la formula, Se in un suo discorso entro un intelligibile
connesso a vari altri intelligibili da differenti rapporti predicativi, il
pensiero ha la facoltà di fatto ma non la legittimità di diritto di variarne la
connotazione, A e B (e C e D...ed n) è un intelligible siffatto, il pensiero
può ma non deve modificarne la connotazione; in cui vale per A, per B C ecc.
quanto si è stabilito sopra -. Per Kant questa funzione del principio di
contraddizione non è affatto equivalente alla precedente, in quanto nel primo
caso il nostro principio aveva una funzione gnoseologica,
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era principio di un certo modo del conoscere, mentre in
questo secondo caso avrebbe soltanto una funzione operativa, sarebbe principio
soltanto di un certo modo dialettico; nella prima funzione il principio di
contraddizione sarebbe determinatore di conoscenza, in quanto godrebbe di una
energia imperativa agente sul conoscere, ossia sulla connotazione effettiva di
un concetto, mentre nella seconda funzione il medesimo principio sarebbe
determinatore di elaborazione, in quanto godrebbe di una energia imperativa
agente sulle modalità di trasferimento dialettico dell’attenzione analizzatrice
del pensiero da un ente che è in sé e insieme è per quell’altro intelligibile
cui è rapportato,
al medesimo ente che è in sé e insieme é o per un altro intelligibile
differente dal secondo della prima coppia o per un altro rapporto predicativo,
ente che comunque non è più del tutto identico a quanto era prima del movimento
dialettico; là l’energia imperativa del principio di contraddizione sarebbe
cognitiva - il concetto A connotato da A1, A2, A3...An
è secondo A1, A2, A3...An ed è
predicato da A1, A2, A3...An, per
la forza della legge di contraddizione che impone che un intelligibile
conosciuto tale in funzione di una determinata sintesi di intelligibili che lo
compongono deve essere sempre conosciuto secondo la medesima sintesi -; qui
l’energia imperativa del principio di contraddizione sarebbe semplicemente
operazionale -il concetto A, connotato da A1 A2 A3...An,
connesso dal rapporto predicativo a (alfa) al concetto B o dal rapporto predicativo a (alfa) a C
o dal rapporto predicativo b (beta) a B, o che si dia a) A -a (alfa)- b
(beta) o che si dia b) A -a (alfa)-C o che si dia c) A- b (beta)- B, è conosciuto
sempre secondo la medesima connotazione e i mutamenti dialettici da a) a b) o
da a)
(alfa) a c) o da b) a c) ecc, riguardano o a (alfa) o b
(beta) o la connotazione di B e di C o la connotazione di A stesso in quel che,
però, di ignoto si aveva in a), in b), in c), non mai in quel che di noto si dà
nella predicazione di partenza, o((e??)) questo per la forza della legge di
contraddizione che impone che la mente sposti la sua attenzione da
intelligibile ad intelligibile senza in nulla variare il noto della loro
comprensione. Che veramente e sostanzialmente una differenza tra le due
funzioni e i due imperativi ci sia, che vera e ((o??))sostanziale sia la
differenza di valore tra il principio di contraddizione quando agisce
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su un intelligibile astratto dall’intero contesto concettuale, e il
medesimo principio quando s’impone a un movimento di pensiero da un
intelligibile in un contesto concettuale e il medesimo intelligibile in diverso
contesto, che il sillogismo assunto a prima formula sia altro dal sillogismo
assunto a seconda formula, che la legge di contraddizione abbia una sfera e
denoti certe classi di intelligibili nell’un caso e ne abbia un’altra e denoti
altre classi di intelligibili nell’altro caso, è discutibile e da discutersi -
in altro momento, però-, non solo non apparendo tutto ciò né evidente né
dimostrabile una volta negate nozioni innate di qualsivoglia tipo, ma anche non
verificandosi né evidenza né argomentazione anche se si ammettono idee innate:
perché anche il movimento dialettico con le sue modalità determinate in un
certo modo dal principio di contraddizione null’altro è che un intelligibile
predicabile con la sua stessa connotazione e impredicabile con note che non lo
denotino, e, come tale, destinato ad entrare nella giurisdizione della funzione
cognitiva del principio di contraddizione e a lasciarsi denotare dalla forza
imperativa del principio di contraddizione a funzione cognitiva. Ma intendo
troncare, almeno in questo lavoro, a questo punto l’attuale discorso, per
concludere nell’osservazione che tale polarità funzionale del principio di
contraddizione è accettata da Kant e lo è pure da Hegel, il quale però
distingue entro le funzioni del medesimo principio con lo scopo ben preciso di
ripudiare come invalida la seconda e quindi con fini che sono tutt’altri da
quelli di Kant: sicché, se per caso qualcosa di vero ci fosse in quella mia
osservazione che la distinzione delle due funzioni è puramente apparente, chi
l’accettasse con gli intendimenti e la finalità hegeliane si troverebbe nel
dilemma o di ricondurre la prima funzione a semplice ed epidermica
determinazione della seconda, con le conseguenze di estendere alla prima
quell’invalidità che è propria della seconda, di espungere dal pensiero una
qualsiasi validità del principio di contraddizione e quindi di identità, di
promuovere una serie di enunciazioni per le quali la mente non ha né un imperio
di immutabilità se non puramente induttivo né un appello ad altro che al
fenomenico, o di ricondurre la seconda funzione a semplice ed epidermica
determinazione della prima con le conseguenze di restituire al principio di
contraddizione e al confratello principio di identità
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