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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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[pag.29 F1]

con siffatta funzione esplica il ruolo di immobilizzatore di rappresentazione in uno stato di mobilismo rappresentativo, mentre il principio di identità esplicherebbe analoga funzione ma con effetti di immobilizzazione di rappresentazione ma in uno stato di immobilismo rappresentativo. Non credo di sbagliarmi se affermo che lo stesso Hegel avrebbe accettato il principio di contraddizione, e quindi quello di identità, con siffatte medesime funzioni nei confronti della sua dialettica e di tutte le proposizioni di questa costitutive le quali anche se negano una certa utilizzazione dei due principi non si fanno scrupolo di utilizzarli a loro volta come premesse maggiori di quei sillogismi in cui esse entrano come premesse minori e da cui ottengono pel medio della conclusione la garanzia di rimanere costantemente identiche a se stesse, immutabili, eternamente valide, eternamente universali e necessarie sia per un pensiero mobile come quello umano sia per un pensiero che mai si cambia nella sua legge come quello ideale e metafisico. Ma la funzione di immobilizzazione rappresentativa, non pare essere l’unica di cui il principio di contraddizione è dotato: come già aveva osservato Kant, quando dimostriamo la tesi di un qualsivoglia teorema, l’intero discorso ha valore cognitivo, ossia argomentativo di quella tesi, a due condizioni a) che la premessa maggiore del sillogismo o la premessa maggiore prima del polisillogismo o del sorite da cui la tesi scaturisce come conclusione, siano vere, b) che nella dialettica del raziocinio ciascun concetto, una volta introdotto, permanga costantemente identico a se stesso, nella connotazione quantitativa e qualitativa con cui è stato assunto da principio, nel caso che debba essere ripetuto, ossia inserito in una relazione che comunque è diversa da quella primordiale o perché muta l’altro relazionato o perché muta la funzione discorsiva nel caso che i concetti relati permangano immutati; il che allora vale per tutti i concetti in quanto in un sillogismo, e quindi in un polisillogismo, e quindi implicitamente in un sorite, tutti i concetti vengono utilizzati almeno due volte; per questa condizione b) di validità del raziocinio, la mente è tenuta ad operare movimenti che sono dialettici in quanto processi da diverso a diverso, i quali tuttavia debbono rigorosamente limitare la loro diversità alla mera variazione del rapporto predicativo in genere, rimanendo in essi costantemente invariata la connotazione, e qualitativa e quantitativa, di tutti i concetti ogniqualvolta entrino in uno qualsiasi dei molteplici rapporti predicativi

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componenti il discorso; appare evidente, allora, che questa immutabilità cui debbono assoggettarsi alcuni aspetti dell’intero processo è in sé, in quanto immutabilità in assoluto e per un pensiero che non possa infrangere un’immutabilità apodittica, ottemperanza al principio di identità, conclusione cioè ancora una volta di un sillogismo che abbia a premessa maggiore o il principio di identità o una sua inferenza canonico-operativa e a premessa minore il concetto entrante nel discorso, considerato sotto i differenti punti di vista da cui esso ci costringe a guardarlo in seguito alla varietà dei rapporti predicativi che lo legano ad altro -secondo la formula, Se un intelligibile entra in differenti rapporti predicativi con altri intelligibili, la sua connotazione è immutabile e statica, A e B (e C e D...ed n) sono intelligibili connessi ad altri intelligibili secondo differenti rapporti predicativi, A e B (e C e D...ed n) hanno connotazione immutabile e statica; in cui B= A connesso ad X dal rapporto predicativo a (alfa), C=A connesso ad x dal rapporto predicativo b (beta), C=A connesso ad Y dal rapporto predicativo o a (alfa) o b (beta) o g (gamma), ecc. -; e appare, d’altro canto, evidente che la medesima immutabilità di cui sopra è per altro, per il pensiero di tipo umano che la deve accettare, in quanto cioè immutabilità relativa ad un pensiero che può infrangere un’immutabilità apodittica, ottemperanza al principio di contraddizione, conclusione, per ciò, anche questa volta di un sillogismo la cui premessa maggiore è questo principio stesso o meglio quella sua determinazione che pone come illecita e svalorizzatrice della pretesa cognitiva del processo discorsivo la mutevolezza e variazione di connotazione di un intelligibile, sempre lecita di fatto per un pensiero di tipo umano, mentre assume a premessa minore l’attribuzione di intelligibilità a uno dei concetti del discorso -secondo la formula, Se in un suo discorso entro un intelligibile connesso a vari altri intelligibili da differenti rapporti predicativi, il pensiero ha la facoltà di fatto ma non la legittimità di diritto di variarne la connotazione, A e B (e C e D...ed n) è un intelligible siffatto, il pensiero può ma non deve modificarne la connotazione; in cui vale per A, per B C ecc. quanto si è stabilito sopra -. Per Kant questa funzione del principio di contraddizione non è affatto equivalente alla precedente, in quanto nel primo caso il nostro principio aveva una funzione gnoseologica,

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era principio di un certo modo del conoscere, mentre in questo secondo caso avrebbe soltanto una funzione operativa, sarebbe principio soltanto di un certo modo dialettico; nella prima funzione il principio di contraddizione sarebbe determinatore di conoscenza, in quanto godrebbe di una energia imperativa agente sul conoscere, ossia sulla connotazione effettiva di un concetto, mentre nella seconda funzione il medesimo principio sarebbe determinatore di elaborazione, in quanto godrebbe di una energia imperativa agente sulle modalità di trasferimento dialettico dell’attenzione analizzatrice del pensiero da un ente che è in sé e insieme è per quell’altro intelligibile cui è rapportato,

al medesimo ente che è in sé e insieme é o per un altro intelligibile differente dal secondo della prima coppia o per un altro rapporto predicativo, ente che comunque non è più del tutto identico a quanto era prima del movimento dialettico; l’energia imperativa del principio di contraddizione sarebbe cognitiva - il concetto A connotato da A1, A2, A3...An è secondo A1, A2, A3...An ed è predicato da A1, A2, A3...An, per la forza della legge di contraddizione che impone che un intelligibile conosciuto tale in funzione di una determinata sintesi di intelligibili che lo compongono deve essere sempre conosciuto secondo la medesima sintesi -; qui l’energia imperativa del principio di contraddizione sarebbe semplicemente operazionale -il concetto A, connotato da A1 A2 A3...An, connesso dal rapporto predicativo a (alfa) al concetto B o dal rapporto predicativo a (alfa) a C o dal rapporto predicativo b (beta) a B, o che si dia a) A -a (alfa)- b (beta) o che si dia b) A -a (alfa)-C o che si dia c) A- b (beta)- B, è conosciuto sempre secondo la medesima connotazione e i mutamenti dialettici da a) a b) o da a) (alfa) a c) o da b) a c) ecc, riguardano o a (alfa) o b (beta) o la connotazione di B e di C o la connotazione di A stesso in quel che, però, di ignoto si aveva in a), in b), in c), non mai in quel che di noto si nella predicazione di partenza, o((e??)) questo per la forza della legge di contraddizione che impone che la mente sposti la sua attenzione da intelligibile ad intelligibile senza in nulla variare il noto della loro comprensione. Che veramente e sostanzialmente una differenza tra le due funzioni e i due imperativi ci sia, che vera e ((o??))sostanziale sia la differenza di valore tra il principio di contraddizione quando agisce

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su un intelligibile astratto dall’intero contesto concettuale, e il medesimo principio quando s’impone a un movimento di pensiero da un intelligibile in un contesto concettuale e il medesimo intelligibile in diverso contesto, che il sillogismo assunto a prima formula sia altro dal sillogismo assunto a seconda formula, che la legge di contraddizione abbia una sfera e denoti certe classi di intelligibili nell’un caso e ne abbia un’altra e denoti altre classi di intelligibili nell’altro caso, è discutibile e da discutersi - in altro momento, però-, non solo non apparendo tutto ciò né evidentedimostrabile una volta negate nozioni innate di qualsivoglia tipo, ma anche non verificandosievidenzaargomentazione anche se si ammettono idee innate: perché anche il movimento dialettico con le sue modalità determinate in un certo modo dal principio di contraddizione null’altro è che un intelligibile predicabile con la sua stessa connotazione e impredicabile con note che non lo denotino, e, come tale, destinato ad entrare nella giurisdizione della funzione cognitiva del principio di contraddizione e a lasciarsi denotare dalla forza imperativa del principio di contraddizione a funzione cognitiva. Ma intendo troncare, almeno in questo lavoro, a questo punto l’attuale discorso, per concludere nell’osservazione che tale polarità funzionale del principio di contraddizione è accettata da Kant e lo è pure da Hegel, il quale però distingue entro le funzioni del medesimo principio con lo scopo ben preciso di ripudiare come invalida la seconda e quindi con fini che sono tutt’altri da quelli di Kant: sicché, se per caso qualcosa di vero ci fosse in quella mia osservazione che la distinzione delle due funzioni è puramente apparente, chi l’accettasse con gli intendimenti e la finalità hegeliane si troverebbe nel dilemma o di ricondurre la prima funzione a semplice ed epidermica determinazione della seconda, con le conseguenze di estendere alla prima quell’invalidità che è propria della seconda, di espungere dal pensiero una qualsiasi validità del principio di contraddizione e quindi di identità, di promuovere una serie di enunciazioni per le quali la mente non ha né un imperio di immutabilità se non puramente induttivo né un appello ad altro che al fenomenico, o di ricondurre la seconda funzione a semplice ed epidermica determinazione della prima con le conseguenze di restituire al principio di contraddizione e al confratello principio di identità




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