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tutta la loro sovranità dispotica, di escludere come fittizia dal
pensiero la distinzione tra un conoscere per staticità e un conoscere per
dialettica, di sottrarre ad alcune delle sue proposizioni fondamentali tutto il
loro fondamento; ma questo è impegno che riguarda Hegel e gli hegeliani, non la
nostra difesa per cui siamo stati chiamati in causa. E perciò noi non spostiamo
i termini e non facciamo una questione di principi, di diritti, di deduzioni
trascendentali. Accettiamo la distinzione tra un principio di identità ad
imperio cognitivo, il quale sia legge sovrana di immobilità del sapere razionale,
e un principio di identità ad imperio discorsivo od operativo, il quale
pretenda di essere legge sovrana di immutabilità in quella dialettica che è
mobile per essenza. E prendiamo in considerazione l’accusa che da tale
distinzione ci vien mossa, aver noi fatto appello al principio di identità in
generale per ritrovare l’errore del circolo vizioso in un discorso dialettico
il quale per questa natura sarebbe fatto razionale da doversi ricondurre non
alla funzionalità in generale del principio, ma a quella sua funzione operativa
che non è valida per nessun discorso dialettico in generale - e in questo caso
il nostro non è un diritto, ma una surrezione -, oppure aver noi preteso
condannare per circolo un discorso dialettico muovendo dalla funzione operativa
del principio di contraddizione per poi argomentare questa con l’opposta
funzione cognitiva - e in questo caso dal nostro circolo vizioso argomentano il
circolo vizioso altrui. Quando diciamo che inferire dal principio “il reale è
razionale” l’equipollenza predicativa, o di conoscenza, e l’equipollenza
operativa, o di principio, del giudizio “il razionale è reale” per darsi i
diritti a) di definire il razionale in sé, o fenomenico, perché null’altra
razionalità possiamo noi astrarre ed elevare all’inseità che non sia quella
intuita o comunque argomentata immanente nel fenomenico, b) di predicare il
razionale così definito e connotate al “reale” del giudizio primo dando vita a
un giudizio metafisico primo che qualifica il reale primo nell’essere secondo i
modi del razionale nel fenomenico, significa dimostrare che il fenomeno
connotato dalla razionalità fenomenica deriva, secondo uno o altro modo
processuale dal primo nell’essere e inferire l’intero discorso di questa
dimostrazione da un giudizio-principio del tipo “il reale è razionale secondo
questa razionalità A”, in cui A è questo particolare
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modo di razionalità indotto dal fenomenico, e significa
contemporaneamente dimostrare che il razionale immanente nel fenomenico è
legittimamente da predicarsi al reale primo nell’essere e trarre l’intero
discorso di questa dimostrazione dal giudizio-principio “ il fenomeno in quanto
denotato da questa particolare razionalità A e quindi il razionale A è derivato
dal principio secondo la processualità o B o C o D o... n”, quando cioè
affermiamo che le metafisiche determinate a conoscibilità parziale del
principio metafisico e a predicabilità totale del fenomenico sono classi in
genere del razionalismo e che questo è formalmente preda di un circolo vizioso ineluttabile,
il nostro asserto viene da una serie di osservazioni, a) che un giudizio
categorico - e il giudizio “il reale è razionale” è giudizio categorico - è di
diritto valido quando il predicato sia stato conosciuto nella sua connotazione
per analisi del soggetto immediatamente e intuitivamente dato al pensiero
analizzante, b) che per un giudizio categorico il predicato, connotato da una
sintesi di denotazioni inferite dall’analisi di conosciuti intuiti altri dal
soggetto del giudizio stesso, è di diritto attributo del soggetto solo nel caso
che esso predicato denoti il soggetto stesso in quanto immediatamente intuito e
legittimamente sussunto, previa analisi, sotto la classe dei predicati, e con
ciò reso cogenere, logico e non ontico, degli altri intuiti, c) che un giudizio
categorico è il distintivo o fenomeno di un movimento dialettico che dal
soggetto muove al predicato, sia nel caso che il movimento sia semplice,
essendo dato e noto solo il soggetto e con ciò avendosi la dialettica di
soggetto→ soggetto→soggetto equivalente al discorso soggetto
intuito e non analizzato →soggetto intuito e analizzato in una parte
della sua connotazione → soggetto intuito e conosciuto pel tramite di
questa sua parziale connotazione eretta ad intelligibilità, sia nel caso che il
movimento sia complesso, essendo dati e noti altri concetti oltre il soggetto e
con ciò avendosi una dialettica di soggetto-predicato-soggetto, in cui il
predicato è intellezione per altro dal soggetto, mentre il soggetto, linea di
partenza, è l’ente reale per intuizione e conoscibile per analisi, e il
soggetto, punto di traguardo, è il medesimo reale ma analizzato e ritrovato
affetto da quella intelligibilità che è del predicato, d) che il principio
della intellezione e della conoscenza di un
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giudizio categorico è sempre e solamente il soggetto, tranne nel caso
che tali funzioni di principio possano essere assunte da un altro reale che sia
intuito in sé e nella sua inferenza immediata dal soggetto, secondo
un’intuizione però che non può prescindere dall’intuizione del soggetto stesso
come quella che riguarda non un ente sostanziale ma un rapporto tra due
eterogenei, e) che, dato un giudizio categorico - del tipo, tanto per mantenere
sott’occhio il punto di riferimento cui siamo interessati, “il reale è
razionale”- e data la mancanza di un’intuizione del suo soggetto mancanza che
non impedisce la nozione dell’esistenza del suo soggetto -ad esempio, “ il naso
di Cleopatra è storico “-, è illegittima la sussunzione del soggetto sotto il
predicato, qualora il predicato sia non già una classe di reali ma una
categoria mediata rispetto alla sua connessione con la sfera dei reali sussunti
da differenti livelli di classi, ossia una classe di classi o a maggior ragione
una classe di classi di classi o una classe di classi di classi di classi, e
qualora si voglia connotare il predicato non già secondo la comprensione della
categoria in quanto preda di una tale indeterminazione da essere inutile, ma
secondo la comprensione di una delle classi medianti - ad esempio, “il naso di
Cleopatra è storico”≠ “il naso di Cleopatra è del passato dell’umanità
“=“ il naso di Cleopatra è del passato attivo dell’umanità “-, f) che, dato un
giudizio categorico l’utilizzazione dei cogeneri del soggetto per inferire da
essi una predicazione per il soggetto non intuita è sempre legittima quando
salga ai livelli di massima astrazione possibile e non s’arresti ai livelli
medi di astrazione;- e tutte le suelencate osservazioni sono per noi
proposizioni universali e necessarie, degli intelligibili la cui connotazione,
denotata da nozioni universali e necessarie, è sempre descrittiva di una
situazione propria del loro soggetto, ossia della comprensione di questo;
abbiamo cioè che fare con dei giudizi categorici ed apodittici, e quindi
razionali, che hanno ottenuto la loro intelligibilità da un discorso condotto
unicamente sull’unico oggetto intuito che li riguarda e che è il giudizio
categorico stesso nella sua genericità formale; essi hanno come
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predicato classi o denotazioni della comprensione del soggetto, e nel
caso che abbiano a predicato degli enti che sono di fatto operazioni da potersi
legittimamente compiere sul loro soggetto, tali operazioni non sono che
inferenze necessarie o dalla comprensione del soggetto o dal rapporto cognitivo
che s’inserisce tra il pensiero e la comprensione stessa; essi sono il
risultato operativo di vari discorsi dialettici i quali però mai hanno
incontrato dei termini contrari, ossia contraddittori per contraddittorietà
reale, e perciò mai si sono trovati in quella certa situazione discorsiva in
cui per un hegeliano il principio di contraddizione deve deporre la sua
sovranità - e di tutto ciò chiedo di risparmiarmi la dimostrazione; essi,
infine, ed è quello che essenzialmente ci riguarda e a cui vogliamo arrivare,
come intelligibili sono degli immutabili, conclusioni, per quel che riguarda la
loro situazione terminale, non per quel che riguarda il loro discorso
produttore, in assoluto di un sillogismo avente il principio di identità a
premessa maggiore, in relativo di un sillogismo la cui premessa maggiore è il
principio di contraddizione dotata della funzione cognitiva, ossia
determinatrice dell’illegittimità logica e cognitiva di un mutamento in genere
nel rapporto predicativo dei termini della conclusione, di quella funzione che
l’hegelismo non può non accettare e di fatto accetta. Che se le osservazioni
sono intelligibili, legittime e canoniche, la loro contravvenzione non può non
dar luogo a un sofisma che nella fattispecie è un circolo vizioso.
Quantunque il nostro discorso sia valido e, di conseguenza, convalidi
l’accusa di circolo vizioso mossa ai razionalismi, c’è tuttavia una situazione
il cui darsi consente ad essi di determinare il genericissimo predicato
di”razionale”, nel giudizio metafisico primo del tipo “il reale è razionale”,
connotandolo con denotazioni del fenomenico senza che la macchia del sofisma
renda vano tutto il discorso. Se si assume il concetto di razionalità o come
una categoria o come una specie immediatamente sussunta sotto la categoria
della qualità o come una specie mediatamente sussunta sussunta sotto la
categoria denotante il concetto del qualitativo, ossia come un genere altissimo
denotante tutti i concetti che siano sue determinazioni e sussumibile o
soltanto sotto se stesso o sotto un concetto che escluda dalla propria
connotazione quelle note
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