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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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[pag.32 F1]

della connotazione del concetto di intuito, sicché si deve muovere da questa connotazione non per stabilire la sua legittimità generica inferibile di diritto dalla legittimità generica del pensamento di nozioni che siano concetti-limiti ma non di fatto non essendo dimostrata legittima l’esistenza dei concetti-limiti, bensì per rendersi conto se la negazione delle note che la costituiscano sia un dato soggettivo o un dato oggettivo, sia cioè la conseguenza di un processo straordinario del pensiero, o sia un modo ordinario della grande classe delle negazioni.

Il fenomeno della negazione può essere riguardato da due punti di vista differenti e quindi analizzati con due diverse finalità operative. Muovendo da quella separazione del reale ontico, che nessun pensatore rifiuta e tutti o esplicitamente o implicitamente accolgono, perché anche coloro che la espungono di essa di fatto negano una certa connotazione dei due ontici disgiunti e non una disgiunzione in genere di due ontici dall’eterogenea connotazione, di fenomenico e di naturale e definendo il primo come l’esistente per l’intuizione sensoriale e secondo i modi dell’intuizione sensoriale e il secondo come l’esistente in sé i cui modi qualificativi, qualsivogliano siano o equivalenti o non equivalenti alle modalità dell’intuizione sensoriale, sono quel che sono indipendentemente da un condizionamento funzionale dall’intuizione sensoriale, e insieme come l’esistente pensato come intuibile, nella sfera del primo si il fatto della negazione che non necessariamente è pensabile presente nella sfera del naturale. Il principio del discorso sulla negazione è un giudizio che predica al concetto di negazione la qualità del fenomenico, la qualità cioè dell’essere per altro e dell’essere conosciuto per altro; da questo primo enunciato divaricano, come in un trivio, due processi indagativi: il primo di essi si propone come oggetto il dato della negazione per quel che è, un fenomenico che come tutti i fenomenici può essere analizzato in sé senza timore che l’intuizione che di esso si , cioè l’intuizione di esso in quanto intuito, introduca quella separazione tra condizionato dall’intuizione e incondizionato perché in sé e per sé, che ci ha costretto sopra a differenziare il fenomenico come un modificatore, secondo una o altra modalità di deformazione, di quanto esso traduce nel proprio linguaggio; e a liberarsi da questo timore interviene il canone primo, assioma o postulato che sia, che l’intuizione dell’intuito fenomenico

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è libera da qualsivoglia deformazione fin che si limiti ad analizzare l’intuito dell’intuito ossia la rappresentazione immediata delle rappresentazioni immediate e sensoriali, patendo tuttavia quelle deformazioni cui un qualunque lavoro condotto su dati immediati deve assoggettarsi quando non attui in sé le condizioni e i canoni formali del lavoro che in genere è lecito condurre su un dato immediato in genere, deformazioni che investono quindi anche il lavoro di analisi non però in funzione dell’intuizione in sé dell’intuito ma in funzione dei modi con cui il pensiero s’accinge ad elaborarla; l’intuizione dell’intuizione è sempre pura in sé, nel senso che stabilisce tra sé come rappresentazione e l’intuizione da essa intuita come rappresentato o oggetto una connessione di puntuale e assolutamente simmetrica corrispondenza quantitativa e qualitativa; il pensiero del pensiero, per dirla con Aristotele, la riflessione per chiamarla come vuole Locke, il senso interno kantiano, l’introspezione degli psicologici, che sono tutte descrizioni dell’intuizione degli intuiti, sono tutte da assumersi come connotate da quell’eterogeneità dall’intuizione fenomenica, che fa di questo un deformatore sotto una qualsiasi visuale o qualitativa o quantitativa per eccesso o per difetto, e l’assunzione è un canone primo tolto il quale qualsiasi discorso diviene impossibile ed inutile; il secondo processo indagativo presuppone un panorama ben più vasto in quanto esso, anche ammettendo una necessaria eterogeneità tra il fenomenico e il naturale, pretende a giusto diritto che il fenomenico sia un ontico al pari del naturale e con ciò si vede costretto a portarsi al di sopra delle due classi di eterogenei per risalire a quell’unica classe di reale ontico cui entrambi rimandano, indipendentemente dalla loro eterogeneità e nonostante la loro eterogeneità, proprio per il fatto che l’eterogeneo che li connota è una differenza specifica che modifica l’estensione e la determinazione del generico che è in essi coessenziale identificandosi in entrambi con la realtà ontica, o realtà in sé e per sé; siffatto angolo di visuale del tutto legittimo sposta i termini del lavoro che si deve compiere in seguito alla postazione del giudizio primo “la negazione è un fenomenico”, in quanto mentre il primo processo indagativo fa di questo enunciato la premessa

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minore di un sillogismo che al suo vertice ha la proposizione-imperativo che ogni fenomenico è unità per sintesi di un molteplice che deve essere analizzato, e dal quale è da dedursi un certo compito e una certa finalità che viene ad imporsi alla generale laboriosità del pensiero orientandolo nel senso di un lavoro di analisi fatto sulla negazione, il secondo processo inserisce ancora l’enunciato primo entro un sillogismo con le medesime funzioni di premessa minore, ma dal predicato di questa inferisce la legittimità di coinvolgere quella nota di realtà ontica che la premessa maggiore, da esso assunta a strutturatrice del nuovo sillogismo, impone di attribuire al suo soggetto; ma questo secondo processo discorsivo, nell’atto in cui dalla premessa maggiore determinante l’ontità del fenomenico deduce l’ontità di tutte le classi del fenomenico e quindi della negazione in quanto classe del fenomenico, viene a divaricarsi dal primo in quanto trova la sua premessa maggiore subordinata a condizioni che sono differenti da quelle che si sovraordinano alla premessa maggiore del sillogismo che è avvio all’altro processo, in quanto cioè deve dedurre dalla sua premessa maggiore tutte le denotazioni che ad esso spettano dal fatto di porsi a conclusione di una serie di sillogismi che sono altrettante determinazioni della problematica che insorge di fronte al reale come reale, denotazioni che son ben altre da quelle di fronte a cui viene a trovarsi il primo processo che le inferisce da tutte le premesse maggiori che determinano come loro propria conclusione la premessa maggiore del sillogismo da cui è mosso. Il primo discorso, infatti, una volta definito il fenomenico come un analizzabile e un analizzando, deve presupporre tutti i canoni regolatori di un’analisi in generale, tra cui primo quel canone primo, di cui sopra, che l’intuizione di un intuito instaura tra sé e l’intuito di cui è intuizione un rapporto cognitivo assoluto e totalmente simmetrico; il secondo discorso, invece, deve risalire dalla sua premessa maggiore a tutte quelle che offrono la connotazione di un reale in genere e le condizioni e norme di validità di una siffatta connotazione: poiché un reale è pensabile, ossia connotabile e predicabile, come un distinto o un indistinguibile in eterogenei, come una ragion sufficiente che è causa o fine, come un oggetto la cui nozione

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si fa intelligibile entrando in una relazione con altro intelligibile la quale sia di conseguenza a principio essendo il principio o un reale totalmente omogeneo con la conseguenza nel qual caso il principio ha i modi della causa o un reale omogeneo solo parzialmente con la conseguenza nel qual caso parliamo di un principio che ha i modi del fine, come un oggetto la cui nozione è legittima nella sua connotazione solo alla condizione di trovare le sue note denotate in uno o altro modo da una o più note connotanti la nozione del reale ontico primo, insomma come un oggetto che non basta sia pensato che è, ma deve essere pure pensato nel perché è, nel se è qui o anche , nel se è il perché di un altro reale, e infine nel come è rispetto all’oggetto reale primo, è naturale che la distinguibilità o indistinguibilità, la causalità o finalità, l’intelligibilità per causalità o finalità, l’essenza metafisica che sono tutte note del reale, si estendano al fenomenico o alla negazione, suscitando per questa una serie di indagini che si differenziano dalle analisi del primo processo, come quelle che inseriscono la negazione in una serie di rapporti con molteplici fenomenici che sono altri dai fenomenici negativi con cui esso primo processo si limita a relazionare il fatto fenomenico della negazione. Evidentemente tra i rapporti interfenomenici che il secondo processo discorsivo deve utilizzare si trovano anche tutte le connessioni tra la negazione in genere e i fenomenici negativi in particolare che sono il privilegiato fatto utilizzato dal primo processo, come pure è evidente che il secondo processo dovrà adottare tutti i canoni condizionanti un lavoro di analisi che anche il primo processo ha fatto suoi; ma, nonostante questa sfera in comune, tra i due c’è una notevole differenza, costituita appunto sia dal fatto che l’utilizzazione delle interrelazioni tra la negazione e i fenomenici negativi è per il primo processo l’unico mezzo per conseguire quell’unico scopo che esso si propone, ossia la definizione in sé della negazione, mentre la stessa utilizzazione da parte del secondo processo non è che una delle molte sorgenti cognitive cui deve ricorrere per procurarsi dati di risposta ai numerosi interrogativi che insorgono su di una negazione in quanto reale ontico, sia dal fatto che il primo processo subordina alla normatività dei canoni l’unica indagine che esso persegue, mentre l’altro processo deve estendere tale normatività ad indagini




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