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molto più numerose e molto più varie. Tuttavia una qualsiasi ricerca
che debba valersi della nozione di negazione in genere come funzione cognitiva
generica può, se vuole, tener conto di quelle determinazioni che su di essa i
risultati delle attuazioni determinate del secondo processo hanno conseguito
limitatamente però alla luce che essi possono ulteriormente gettare sulla
connotazione della nozione, mai in funzione del loro contenuto ontologico e
metafisico; deve, invece, procurarsi la più completa definizione della nozione
e la più estensiva descrizione dell’oggetto negazione in quanto funzione, il
che ottiene solo con un processo che è del primo tipo; e poiché noi qui
utilizziamo il concetto di negazione per comprendere un certo discorso che è
della classe dei fenomenici intuitivi e, di conseguenza, facciamo corrispondere
alla nozione di negazione un oggetto la cui intellezione illumina quel certo
discorso solo perché ne fa parte e per la cui natura è quindi da porsi entro la
stessa classe, non siamo tenuti ad aggiungere alla definizione della nozione e
alla descrizione della funzione nulla che sia da inferirsi da sfere più vaste
del fenomenico intuito, potendo in tal modo ignorare sia la problematica sia i
metodi sia i risultati che hanno che fare con il processo discorsivo del
secondo tipo. Dunque, si tratta di stabilire che cosa sia la negazione come
fenomeno intuito ed intuibile e in sé e nei rapporti che lo legano a tutti gli
altri omogenei della grande sfera dei fenomenici intuiti. Tutti i fenomenici
negativi ritrovano il proprio essenziale in quanto negativi da un lato in una
qualificazione determinata della connotazione della loro classe, dall’altro in
una condizione determinata che impone il loro arricchimento da parte di
quell’essenza e che attua l’essenza a livello degli enti passibili di
intuizione. L’essenziale di un fenomenico negativo è la sua natura di
affermazione di assenza entro un altro fenomenico di una certa componente
costitutiva, affermazione valida non in assoluto ma in relazione a una
situazione determinata di tempo, ossia a una certa connessione di coesistenza
con altri fenomenici, e in relazione a una sussunzione determinata del fenomenico
altro sotto un altro conosciuto determinato, ossia a in relazione a una delle
tante rappresentazioni che possono essere predicate del fenomenico altro -
siano A un certo fenomenico, B un fenomenico la cui unità sintetica è priva di
A, a lo stato di coesistenza di B con C D E...N, fenomenici simultanei di B, b
il rapporto di sussunzione che connette B con a (alfa), b
(beta), g
(gamma)....w
(omega) predicabili di B, A è un negativo se è affermato assente in B ab -.
L’espressione
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di tale essenziale è costituita da particolari sintesi fonetiche di
cui la fondamentale è”non”,- essendo tutte le altre, ad esempio i prefissi in-,
dis-, ab-, abs-, a-, ecc. o gli avverbi affatto, per nulla, in nulla, ecc.
particolari distintivi designanti una determinazione del fondamento essenziale
ma generico della negazione, vale a dire l’erigibilità della generica
affermazione di assenza a essenziale o qualificativo, la condizione di effetto
da un certo antecedente che l’assenza affermata può assumere, l’aspetto di disgiunzione
o di separazione sotto cui l’assenza affermata può presentarsi, lo stato
deficitario o di impoverimento che l’assenza affermata trascina seco, lo stato
di assolutezza che affetta l’assenza affermata ecc., oppure da convenzionali
segni grafici in sé afonetici, di cui quello tipicamente adottato dalla
matematica è ≠. La connotazione quindi di un negativo coinvolge tre
nozioni fondamentali, l’affermazione di un’assenza, il riferimento a uno stato
cronologico particolare, l’appello a una denotazione particolare. Poiché una
negazione è sempre l’affermazione di un’assenza essa non è nel conoscere né un
fatto primo né un fatto assoluto: nell’ordine cognitivo abbiamo un primo quando
sia offerta all’apprendere e al rappresentare un’immagine che all’atto del suo
porsi pone immediatamente se stessa e tutte le altre immagini che da essa
possono inferirsi, con la conseguenza che il primato di tale immagine ha una
portata assolutamente ed esclusivamente cronologica, essendo essa in ordine
alle conoscenze o rappresentazioni che la costituiscono o in essa o per essa,
un primo anteriormente al quale si dà, sempre in ordine e limitatamente a
siffatte conoscenze, un conosciuto-zero; nell’ordine cognitivo, d’altra parte,
parliamo di fatti assoluti quando abbiamo che fare con rappresentazioni la cui
conoscenza è funzione delle rappresentazioni stesse in sé, sì da non esigere
come ragioni del loro essere in quanto noti e del loro modo di essere in quanto
connotati di null’altro se non di se stesse: i primi cogniti sono dei primi in
una serie di conoscenze considerata dal punto di vista della situazione
temporale del soggetto conoscente, gli assoluti cogniti sono degli irrelati o
sussistenti fuor di un rapporto da conseguenza a principio dal punto di vista
della intelligibilità esistenziale o ragion sufficiente del loro essere, ragion
sufficiente che implicitamente, nonostante ciò che di diverso si può affermare
muovendo da una considerazione puramente apparente delle condizioni della loro
generale
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intelligibilità, abbraccia anche le modalità del loro esistere.
Un’affermazione di assenza, già lo aveva osservato Bergson, in sé in quanto
affermazione di assenza è il punto di arrivo di un processo discorsivo che si
origina dalla posizione di una predicazione particolare in funzione della quale
si stabilisce una denotazione in generale di un conosciuto fenomenico, a
qualunque livello gnoseologico questo sia ritrovato - da parte di un
qualsivoglia altro conosciuto fenomenico -sottolineiamo quella qualificazione
di “in generale” con cui abbiamo determinato la denotazione in parola, perché
essa qualificazione distingue decisamente la nostra analisi da quella di
Bergson, al quale va riconosciuta la legittima paternità solamente
dell’ossatura indeterminata e non evidente dello schema formale del fenomeno
della negazione -; si muove, dunque, da una certa affermazione, che in sé è un
giudizio o assertorio o apodittico, affermativo o in universale o in
particolare, in virtù della quale vien stabilito un certo rapporto tra due noti
fenomenici di livello a piacere l’uno dei quali, il predicato, è dichiarato
inerente all’altro, il soggetto, ed è quindi assunto a denotare l’altro in
quella connessione che, in quanto
mediata dalle condizioni generiche di un processo discorsivo - e l’affermazione
in quanto tale è processo discorsivo - deve sussumersi sotto le relazioni di
genere a specie; l’affermazione della connessione intelligibili, o di specie a
genere, tra i due noti può anche essere preceduta dall’intuizione, che in
questo caso sarà conoscenza immediata per percezione di un molteplice dato
comunque nella sua unità o di sintesi o di giustapposizione e insieme nella
pluralità sintetizzata o giustapposta; ma la percezione non è conoscenza se non
sale a una distinzione tra l’unità e il molteplice che la costituisce, se cioè
non si trasfigura in una costituzione che affianca all’unitario, assunto con la
medesima unità che affetta il percepito, il frazionamento dell’uno nelle
componenti eterogenee rilevate nella loro eterogeneità essenziale, e che
ricostituisce la sintesi dell’unitario e dell’atomisticamente disgiunto
attraverso una connessione puntuale di ciascuno dei disgiunti all’unitario,
connessione o processo di connessioni che oltrepassa il livello dell’intuitivo
con la sua incontrollabile e insignificante sintesi sia col scindere le
componenti in entità autonome sia col lasciare l’unitario nella sua
autosussistenza spontanea e il molteplice disgregato nella sua autosussistenza
artificiale sia coll’ovviare a questo stato di artificio sottintendendo il
vincolo di connessione tra il molteplice e il percepito come parte al tutto; o
che questo processo avvenga per semplici
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immagini che non ricevano traduzione e identificazione immediata con
la rispettiva parola o il rispettivo segno di comunicazione o che avvenga per
immagini tradotte e identificate con parole e con segni comunicativi, la
percezione di per sé non è conoscenza perché difetta di qualunque possibilità
di rapporto fuor del quale non mi pare si possa parlare di un conoscere ma solo
di un’affezione; ma se la percezione diviene conoscenza non appena patisce
l’elaborazione di cui immediatamente sopra, la percezione non è di per sé né
conoscenza né fatto primo ed assoluto del conoscere; la conoscenza ha luogo
soltanto con quel dividere alla superficie l’unitario dal molteplice e con quel
riconnettere sotterraneamente il molteplice all’unitario che è affermazione in
quanto connessione intelligibile per genere a specie. Con quest’affermazione la
percezione entra nella sfera dell’intellezione - se dicessimo del razionale,
ossia del non-fenomenico, saremmo nel giusto, ma cadremmo nella petizione di
principio di dare per scontato un conosciuto di cui tutto questo attuale
discorso vuol essere dimostrazione, sicché ci limitiamo a parlare di
un’intellezione nel senso di una conoscenza che è autoconsapevolezza del
pensiero di essere entrato con il conosciuto sovraggiunto in possesso di
qualcosa di nuovo -, e ritrova in essa il primo modo nuovo del conoscere,
ignoto al livello dell’intuizione percettiva, di esistenza apodittica e
ineluttabile o di modalità immodificabile, e costituito dall’imperio del
principio di ragione, che segna i limiti di validità di un conosciuto per
intelligibilità e li identica con il confine che separa lo stato intuitivo di
un appreso e lo stato cognitivo o intelligibile di un noto, essendo lo stato
intuitivo una rappresentazione che è sottratta all’autoconsapevolezza del suo
modo di essere e vede ridotta l’autoconsapevolezza solo al suo essere, ossia al
suo esistere come rappresentazione, essendo lo stato cognitivo-intelligibile
una rappresentazione ricca di autoconsapevolezza nel suo essere e nei modi del
suo essere; l’autoconsapevolezza della rappresentazione in quanto esistenza
assicura a questa l’assenso del pensiero a ciò che essa pretende di essere,
cioè una pura immagine - il veggente è libero dal dubbio dell’esistente dei
colori che vede in quanto colori determinati secondo la determinazione
dell’intuizione visione in atto, e lo stesso si dà per l’udente riguardo
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