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ai suoni che ode; e del pari il dubbio non interviene ad impedire
l’assenso per quelle immagini che sogniamo in un sogno e la certezza che esse
abbiano il diritto di pretendere quel che siamo consapevoli che esse pretendono
di essere nell’atto stesso del sogno, ossia nulla più che immagini: e nulla
libera l’ossesso dalle sue ossessioni, il visionario dai suoi miraggi, il pazzo
dall’intuizione delle sue interiori reazioni abnormi all’intuito, tranne che un
intervento, ab intra o ab extra, annullatore o istantaneo o progressivo
dell’ossessione della visione dell’intuizione affettiva, perché l’unica
autoconsapevolezza con cui esse si presentano dotate e per cui le possiam dire
cosciente è l’autoconsapevolezza del loro essere, del loro esistere in quanto
esistere, e l’apoditticità di questo è diritto di legittimità della loro
pretesa ad essa, così come l’immediatezza ed irriflessività della loro
apoditticità esistenziale dona a questo diritto legittimante identiche
immediatezza ed irriflessività -; ma la qualificazione dell’immagine conosciuta
ed intelletta non solo da parte dell’autoconsapevolezza del suo esistere come
immagine ma anche da parte dell’autoconsapevolezza di una certa sua modalità di
esistenza assegna all’immagine intellettiva due pretese, la prima delle quali è
automaticamente soddisfatta dal porsi dell’intellezione stessa dell’immagine,
intellezione che è anch’essa intuizione percettiva e quindi dotata
dell’identità tra l’immediatezza ed irriflessività del diritto legittimante la
pretesa ad esistere in genere come immagine intuita- sicché si presenterà poi
per tutte le immagini cognitive ed intellette quella medesima possibilità di
processo cognitivo che si dà per le intuizioni percettive in genere e che
coincide nei risultati con una teoria del conoscere - e l’immediatezza ed
irriflessività della sua esistenza in quanto apodittica, la seconda delle quali
invece, essendo proclamazione sia di una certa struttura, dualità di unitario e
di molteplice in relazione distributiva per connessione di immanenza di ciascun
molteplice nell’unitario, sia di un’equivalenza tra sé e la percezione
intuitiva di cui la rappresentazione cognitiva sarebbe trasfigurazione, ed
essendo quindi autoconsapevolezza di un esistere, di un esistere secondo certi
modi, di un esistere di modi che sono di un altro, si vedrà legittimata nel suo
diritto a porsi tale da sé stessa per ciò che riguarda l’autoconsapevolezza del
suo esistere, che in
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fondo non è che la prima pretesa conglobata nella seconda, da se
stessa ancora per ciò che riguarda la consapevolezza del suo modo di esistere,
ma da un altro per ciò che riguarda l’autoconsapevolezza dell’esistere secondo
modi che sono dell’altro. La intuizione percettiva ritrova nella propria
autoconsapevolezza i vari diritti legittimanti tutte le sue pretese; la
rappresentazione cognita ed intelletta ritroverà alcuni dei diritti
legittimanti alcune delle sue pretese fuori dell’autoconsapevolezza di se
stessa, nell’autoconsapevolezza dell’altro e di tutti quei rapporti che
distributivamente consentono il confronto tra l’unità, i vari molteplici, la
connessione di inerenza tra ciascun molteplice e l’unitario, e il sintetico di
quell’altro che è poi la intuizione percettiva di cui la rappresentazione
cognita si pone a simmetrico. Questa differenza è il confine che disgiunge la
percezione dall’intellezione e che sottopone l’intellezione a quel lavoro di
confronto con il percepito che è garanzia della validità della pretesa del cognito
di essere equivalente del percepito; siffatto limite è il principio di ragion
sufficiente - o che nessuna differenza ci sia tra il principio di ragion
sufficiente in sé e il limite-differenza tra i due, sicché quella norma
razionale che viene assunta come uno dei
canone primo del pensiero conoscente per intelligibili null’altro
sarebbe che una condizione apodittica essenziale a certi stati del pensiero
intelligente stesso e non ci sarebbe bisogno di postulare un’innatezza o
illuminazione particolari per quei principi supremi senza le quali non ci
sarebbe ragion sufficiente per la razionalità effettuale essendo la norma una
condizione inerente al fenomenico in quanto cognitivo e intellettivo, o che il
rinvio della pretesa seconda della rappresentazione cognitiva all’attuazione
del raffronto non riesca a trovar giustificazione di apoditticità al di là
della sussunzione consapevole della pretesa sotto la norma di ragione la cui
indipendenza autosufficiente dal fenomenico postulerebbe l’innatezza o l’illuminazione,
trattandosi nel primo caso di una razionalità imperante sul fenomenico con moto
dal fenomenico al fenomenico stesso e inducibile da questo con un’analisi che è
pensamento della norma di ragione come uno dei principi sommi del conoscere,
trattandosi nel secondo caso di una razionalità imperante dall’esterno sul
fenomenico e
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di una rappresentazione della norma stessa, in quanto uno tra i
principi sommi dell’intelligere, ininferibile dal fenomenico in quanto da essa
denotato contingentemente e non necessariamente -. Il passaggio del confine e
quindi la trasmutazione dell’immagine da intuito a conosciuto, ossia a quello
stato di affermazione per denotazione della specie dal genere, provoca,
comunque, l’intervento del principio di ragione, e conduce il pensiero dallo
stato cognitivo primo allo stato secondo, ossia al confronto tra il cognito
intelletto e l’intuito, al rapporto di comparazione tra l’affermazione, che è
connessione per unità sotterranea tra l’unitario e il molteplice in quanto disgiunti,
e la percezione sintesi assoluta e insolubile; la comparazione non sarà fine a
se stessa e non troverà linea di arresto in una mera descrizione, ma avrà il
proprio termine e il proprio esaurimento in una inferenza, che costituisce il
terzo stadio del processo cognitivo, la quale è affermazione di presenza
nell’intuito percepito dell’intera connotazione del concetto che
nell’affermazione, stato primo ed assoluto del processo, fa da soggetto, o
almeno di quella parte della sua connotazione che riguarda il
concetto-predicato, che cioè può porsi a tutto coabracciante il predicato anche
se non s’identifica col tutto in atto della connotazione del soggetto e della
sintesi del percepito, essendo siffatta affermazione o acquisizione di
conoscenza, cioè di nuovo, nel caso che la connotazione intelligibile del
soggetto non sia data, richiedente quindi a sua volta la ripetizione delle fasi
discorsive seconda e terza, o semplice verificazione di un già conosciuto, nel
caso che già sia posseduta la connotazione parziale o totale per intelligibili
del noto. A quest’ultima affermazione, che è momento terzo e non definitivo del
cammino imposto dal principio di ragione, viene ricondotto il predicato:
l’esserci o non esserci del predicato entro la connotazione di cui la terza
affermazione è enunciazione, conducono rispettivamente all’affermazione di
presenza o all’affermazione di assenza della nota offerta dal concetto del
predicato entro il concetto del soggetto, essendo quest’ ultima affermazione
l’essenza della negazione, e quindi fatto ultimo e relativo di un processo di
conoscenza che trova alle sue origini ben altro dalla negazione stessa. E’
opportuno
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a questo punto mettere in rilievo in primo luogo che l’enunciato
“affermazione di assenza” non solo è generico e indeterminato a tal punto da
non dar luogo a conoscenza, ma è anche destinato a porre il pensiero in una
condizione tautologica quando venga predicato del concetto di negazione per
farsene definizione, in secondo luogo che quel passaggio ultimo dalla nozione
della connotazione del soggetto della prima proposizione in seguito al
confronto con l’intuizione percettiva, all’affermazione, eventuale, di assenza
del predicato dalla connotazione ultima, che è negazione del predicato stesso,
non è immediato e non dà affatto all’affermazione eventuale il quarto posto
nell’ordine del discorso. L’essenza, di cui abbiamo parlato, è termine positivo
determinato in sé come quello che indica uno stato separazione assoluta o
totale irrelatezza di una certa esistenza da un ‘altra, ma è termine positivo
indeterminato quando si ponga come un indeterminato la cui determinazione è
offerta da ciò che nella negazione vede la propria esistenza separata
dall’esistenza di qualcosa d’altro; i fattori che entrano in siffatto stato di
separazione sono il predicato in quanto concetto a sé stante ed esistente
intellettivo in sé; si tratta di vedere se la separazione colpisca i due
esistenti immediatamente o mediatamente; a prima vista, appare e tutti siam
convinti di vedere disgiungersi l’uno dall’altro il concetto del soggetto e il
concetto del predicato e il conseguente erigersi di ciascuno a nozione a se
stante irrelata con l’altra; ma le cose non sono tanto semplici; in primo luogo
non esiste nessun concetto che sia assolutamente irrelato con un altro: avendo
la pazienza di prendere due nozioni del tutto eterogenee, di analizzarle per
analizzare poi ciascuna nota sciolta dalla prima analisi dal contesto della
connotazione complessiva fino ai termini ultimi elementari, di sussumere negli
ordinati rapporti generici i concetti risultanti, si otterranno serie di triangoli sistemativi di nozioni
intellettive, i quali però vedono i loro generi sommi non giustapporsi irrelati
ma patire la sussunzione sotto altri generi sovraordinati, che sono o generi
sommi di uno o alcuni dei triangoli così costruiti o generi sommi cui si
pervenuti nell’analisi di altri concetti, e si vedrà che si deve sempre
pervenire a una categoria suprema che denota tutti i generi sommi particolari,
la quale con questa sua portata non consente di concepire i due eterogenei e
nessuna coppia o delle loro note o delle note delle loro note come due
assolutamente irrelati - a parte il fatto
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